Search English (United States)  Italiano (Italia) Deutsch (Deutschland)  Español (España) Čeština (Česká Republika)
Monday, June 30, 2025 ..:: Händel - Opere per tastiera - Francesco Libetta ::..   Login
Site Navigation

 George F. Händel - Opere per tastiera - Francesco G. Libetta Minimize


 

 

Prima di accingermi a scrivere queste note, ho riflettuto molto a lungo su delle ragioni che probabilmente avrebbero persuaso chiunque a desistere dal proposito. La prima è che soltanto due persone al mondo posseggono il cofanetto di dieci CD "George F. Händel - Opere per tastiera - Francesco G. Libetta", malauguratamente non acquistabile perché fuori commercio. Per una di queste, Franco Battiato, bisogna coniugare il verbo possedere al passato remoto: il grande cantautore, compositore, musicista, regista, pittore e politico italiano ha purtroppo lasciato questa terra nel maggio dell'anno scorso. Il secondo uomo è lo stesso interprete, Francesco Libetta. Quale allora, ci si potrebbe chiedere, l'utilità del recensire un'edizione che niuno potrà apprezzare di persona, tra l'altro pubblicata tredici anni fa? Nessuna, secondo la logica del critico musicale professionista che scrive su un giornale per informare l'appassionato di una novità, massima invece per un "blogger" (termine che mi è poco simpatico ma rende l'idea) che altri scopi non ha se non quello di esternare delle emozioni che derivano dalla sua voracità musicale. Ma le domande retoriche sono destinate a moltiplicarsi. Come posso allora parlarne se non rientro nella diade eletta? Non ne faccio mistero, sono tra quei pochissimi fortunati che posseggono non quel cofanetto, ma i duecentoquattro file in formato Mp3 192 kbps rippati dalle tracce audio originali dei CD. È stato lo stesso maestro galatonese che con magnanimità ha voluto soddisfare il mio forte desiderio di conoscere la sua integrale, più volte manifestato su Facebook, in un mio articolo e a lui personalmente in messaggi privati.

Un altro scoglio da superare stava nella corposità del contenuto, oltre dodici ore di - bellissima - musica, articolata tra Suite, Arie, Partite, Allegri, Allemande, Capricci, Ciaccone, Concerti, Correnti, Gavotte, Gighe, Fantasie, Bourrée, Minuetti, Preludi, Passapiedi, Sonate e Sonatine, Fughe, Toccate, arrangiamenti, "lesson" e anche un Corale, l'HWV 480 in sol minore. Un elenco che al solo leggerlo fa venire i capogiri. Come si può condensare, poi distillandolo, il proprio pensiero su un insieme di composizioni così vasto senza cadere nelle plaghe dell'epidermico? Si capisce subito che è letteralmente impossibile prendere in esame ogni singolo pezzo perché, ben presto, ingenererebbe un insopportabile senso di "scrolling" da enciclopedia, una catena di montaggio fatta apposta per indurre chiunque a un tedio mortale, oltre a richiedere mesi e mesi di lavoro. Molto più assennato era dunque attenersi a pochi compendiosi esempi che potessero offrire il destro per rivelare certe qualità (o non qualità) dell'interprete, mettendone in luce quella condotta che sta a valle di un'idea interpretativa, nel caso di Francesco Libetta la luce che arriva sino a noi dalle trasparenze del suo animo. Chi scrive ha sempre nutrito per lui una profonda stima e ammirazione. Non sono, in buona sostanza, un musicologo nell'atto di elucubrare un trattato, ma un ascoltatore in istato di "trance" colpito dall'attimo più o meno fuggente. Credo sia un esercizio abbastanza inutile dire chi è Libetta, uno dei virtuosi più importanti del panorama pianistico mondiale, tanto grande è oggi la sua rinomanza presso gli amanti dello strumento a ottantotto tasti.

Ma sono altrettanto persuaso che una piccola ripetizione sia conveniente, non solo per chi ignora la sua figura ma anche per qualche esperto critico che con il passare del tempo ha "dimenticato" chi è. La fonte Wikipedia ci dice che la sua formazione artistica si è sviluppata soprattutto in Francia e in Russia. In Puglia, dov'è nato, ha studiato pianoforte con Vittoria De Donno (a Lecce), composizione con Gino Marinuzzi (a Roma) e Jacques Castérède (a Parigi). Nel 2000 si è imposto all'attenzione internazionale con il Miami International Piano Festival of Discovery, in seguito, grazie a questa rivelazione, è stato invitato in stagioni concertistiche negli Stati Uniti, a Londra, Parigi, Stoccolma, Oslo, Barcellona, Hong Kong, Tokyo e Osaka. Oggi si esibisce in alcune delle più prestigiose istituzioni musicali, quali il Teatro alla Scala di Milano, sia in veste solistica che cameristica, e la Carnegie Hall di New York. Non solo pianista ma anche interessante compositore e direttore d'orchestra, ricordiamo che ha collaborato con I Filarmonici di Verona, la Nuova Orchestra Scarlatti di Napoli, l'Orchestra del Teatro Nazionale di Tirana. Ha eseguito registrazioni (pubblicate anche negli Stati Uniti) delle Variazioni Diabelli di Beethoven, le trascrizioni di Liszt delle opere wagneriane, di Mozart, brani di Debussy, Brahms, Ravel e Chopin, numerose opere di Schumann, l'integrale della musica per tastiera di Georg Friedrich Händel (si, proprio quella di cui parlo in quest'articolo).

Ha eseguito inoltre le trentadue sonate per pianoforte di Beethoven, l'integrale pianistica di Chopin e la "prima assoluta", nel 1990, degli accidentatissimi 53 Studi di Leopold Godowsky sugli Studi di Chopin. Il regista Bruno Monsaingeon gli ha dedicato un filmato, premiato con il Diapason d'Or e lo CHOC - Le Monde de la Musique, al concerto da lui eseguito al Festival pianistico di Roque d'Anthéron. Consiglio caldamente di visionare quest'autentico capolavoro perché è uno dei modi più idonei per rendersi conto della sua straordinaria arte pianistica, meglio di qualsiasi critica o trattato cartaceo. Direttore dei master di pianoforte della Fondazione P. Grassi di Martina Franca, docente presso la Miami Piano Festival Academy in Florida, presso la AIMA di Roma e la Musical Arts di Madrid, ha insegnato per vent'anni musica da camera al Conservatorio "Tito Schipa" di Lecce, dimettendosi da questo nel 2020. Francesco Libetta ha lasciato un segno anche nel cinema, apparendo nel 2005 nel film "Musikanten" di Franco Battiato, con cui ha collaborato anche successivamente. Nel 2009 è stata prodotta la sua opera musicale "Ottocento", scritta in collaborazione con il coreografo e regista Fredy Franzutti (Otranto - Agosto 2009). Nel 2010 la casa discografica statunitense Marston lo include in un'antologia d'interpreti chopiniani storici, che a partire da Pabst include de Pachmann, Friedman, Paderewski, Rubinstein, Lipatti, Bartok e altri, insieme all'unico altro italiano Ferruccio Busoni.

È direttore artistico del "Miami International Piano Festival in Lecce" e dal 2003 è fondatore e presidente dell'Associazione Nireo, che promuove la riscoperta di brani e autori quasi dimenticati, anche attraverso la ripubblicazione discografica. In anni più recenti, nel 2018, ha pubblicato il libro "Musicista in pochi decenni - Idoli, opinioni, esperienze sulla strada del successo sicuro", una sorta di ironica, ma profondamente sincera, riflessione sul mondo pianistico odierno e sui suoi trascorsi artistici. Potremmo parlare di un incontro tra titani, poiché anche sul valore del personaggio coinvolto in quest'edizione monografica, Georg Friedrich Händel, non sussiste alcun dubbio. Tra i maggiori compositori del barocco, adorato dallo stesso L.v. Beethoven, era anche uno straordinario virtuoso di clavicembalo, come testimoniato dalla gara di virtuosismo svoltasi fra lui e Scarlatti nella casa romana del cardinale Ottoboni, pare conclusasi con un "ex aequo". La sua produzione per tastiera si offre all'ascoltatore come una delle più alate e ariose che mai mente umana abbia partorito. Nelle Suite, così come in altri pezzi, possiamo individuare quel carattere di sprezzatura che è ravvisabile nel primo Libetta. Tecnicamente dotatissimo sin da ragazzo e incline a temerari cimenti musicali, era allo stesso tempo un morigerato amministratore delle sue capacità, delle quali, con singolare distinzione non faceva mai eccessivo sfoggio. Nel Preludio della Suite HWV 426, un brano dal carattere meditativo, il nostro mette in campo tutto il suo estro improvvisativo, inseguendo con grande libertà una scrittura musicale che si avvale di arpeggi e giochi imitativi tra le due mani.

Sono qualità che tralucono anche nel sublime Adagio della Suite HWV 427, qui troviamo la medesima felicità inventiva, una rivitalizzazione del segno scritto che muove da una profonda comprensione, culturale e tecnica, della partitura. Più drammatica e stringente si fa la dialettica nel Preludio della Suite HWV 428, le cascate di note arpeggiate diventano quasi lacrime che imperlano il viso e non la delicata emulazione del volo di una farfalla. Dolente è l'Aria con variazioni, dove emerge quel fitto ordito di abbellimenti in grado di condizionare il nostro umore, conducendolo verso la regione della melanconia. Strumentista di grande intelligenza e densità ideativa, Francesco Libetta non si comporta mai come un mero macchinario da musica, per quanto perfetto sia, ma sa duttilmente adeguarsi a ogni frangente espressivo con sicura pertinenza, rende trasparente il carattere di ogni danza inclusa nelle Suite. Nelle Allemande lo stile processionale e le figurazioni ritmiche puntate "alla francese", vengono pennellate dal pianista con tratti invero poco teutonici, cioè con una garbatezza e insieme una diligenza che forse mitiga in certi momenti l'"imprinting" di un'insofferenza a formule interpretative già date. Per questo Libetta è sempre stato un pioniere piuttosto che un emulo di qualcuno. Più scorrevole l'andamento nella Corrente, danza in tempo ternario dall'indole mossa e vivace, soprattutto quella "italiana". In questa la sprezzatura di cui parlavo, quel senso di superiore distacco che porta alla percezione di un'aristocratica naturalezza, trova forse la sua maggior espressione.

Colpisce in tal senso l'estrema grazia che si materializza nella Corrente della Suite HWV 430, alternata a delle più seriose marezzature nella parte centrale, oppure quella in tonalità minore della Suite HWV 433, più ansiogena nella sua tensione verso un inquieto moto interno. Si tratta di un'irrequietezza che si scioglie nelle briose Gighe (danza in tempo ternario di andamento veloce molto in uso nel XVII e nel XVIII secolo). Qui Francesco Libetta, da provetto tessitore di atmosfere, trova il modo di coniugare un andamento molto lineare, tale da non impacciare in nessun modo la fluidità del vortice ternario, con quelle doti di compostezza costantemente presenti in quest'integrale. Una regolarità, attenzione, che non fa il paio con la monotonia. Occorre essere un ascoltatore abbastanza smaliziato e dotato della giusta minutezza percettiva per riuscire a cogliere le sottigliezze agogico/dinamiche di un eloquio musicale che a un orecchio poco allenato potrebbe apparire abbastanza piatto nel suo estricarsi. Non di sovente appare la Sarabanda nel variegato e libero avvicendarsi di brani nelle suite händeliane, danza lenta di carattere solenne che il pianista ammanta di un sofferto intimismo. Libetta non esita nell'avventurarsi in un percorso a sorpresa, che lascia la mente libera di vagare e aperta a ogni possibilità. Lo smalto eburneo del suo pianismo non coercisce la percezione dell'ascoltatore, ma la immerge in una morbida crema sonora dotata di virtù catartiche.

I brani racchiusi in quest'"opera omnia" tastieristica possono rappresentare una medicina, un vero antidoto contro la macchina oppressiva del vivere moderno, un sollievo per noi che rimaniamo intrappolati nei suoi ingranaggi. Un vertice d'intima confidenzialità è la Sarabanda della Suite HWV 432, suonata con una levità che rasenta l'imponderabile. Atmosfere rarefatte che portano a una nobile commozione. Ancor più rare delle Sarabande sono le Passacaglie; quella della Suite HWV 432 inizia con una linea melodica ben marcata, enunciata la prima volta da sola e poi palleggiata nelle funzioni di basso, canto e parte interna. La stessa mescolanza tra rispetto della forma e una personale intonazione interpretativa la scopriamo anche al di fuori delle Suite, in quei brani più brevi come le Sonate e Sonatine, i Capricci, le Fantasie, le Ouverture. Lampante esempio di questa produzione più parcellare è il Preludio e Capriccio HWV 571. Il Preludio iniziale si risolve in un nugolo di suoni arpeggiati, dove le mani sembrano seguire l'onda di onirici pensieri, nuvole di note che nascono e scompaiono nel volgere di ariose volute. Il Capriccio è incastonato in più metodiche architetture, veicola chi ascolta su un mezzo più spedito e regolare che deve rispettare un preciso cartellino di marcia. Le Sei Fughe HWV 605-610 riportano a un'austerità più bachiana che händeliana, ma la natura elegante e leggera del genio di Halle finisce per prevalere: il tono pensieroso della prima Fuga cede il passo alla disinvolta eleganza della seconda, dagli accenti più teneri e discorsivi, con il suo grazioso ribattuto.

La musica pare più fluttuare che essere sospinta con forza nella terza fuga, la superficie argentina è ben rappresentata dal pianismo di Libetta, creatore di chiaroscuri caravaggeschi grazie all'arma di stentorei affondi sulle note basse. La quarta, in tonalità minore, lascia una scia di colore viola con il suo tono accorato, si tratta tuttavia di una tristezza che non sconfina nello sconforto, in Händel l'espressione ha sempre una grande nobiltà intrinseca, una fierezza che non si lascia scoraggiare. Anche in questa ascoltiamo delle note di basso scandite con forza dal pianista, quasi a voler mettere in plastico rilievo i piani sonori. Ancora in tonalità minore è la quinta fuga, mentre la sesta si affaccia conclusiva come una sorta di "summa" di quanto precedentemente sentito. Un lungo lasso di tempo ci separa ormai dalla registrazione di quest'integrale. Oggi l'iter discografico del pianista salentino approda a un'incisione che sono convinto farà molto parlare di se: "Liszt - Années de pèlerinage - Francesco Libetta", tappa di un processo maturativo partito da lontano e che ha portato dei sensibili cambiamenti nella sua superba arte pianistica. Se Francesco Libetta è sempre stato consapevole dei suoi mezzi, ha oggi mutato il modo di proporli, l'esternazione di una lucida poetica si è così avvantaggiata di uno stacco più vigoroso che in passato, una maggior efficacia di comunicazione che finalmente rende evidente la sua statura a una più vasta platea di appassionati.

Il 12/09/2021 ho avuto la fortuna di ascoltare il maestro a Città di Castello, nel suo recital tenuto al Teatro Comunale degli Illuminati, dove ha affrontato con forza leonina un programma temibilissimo. Non è da tutti suonare nella stessa sera brani come i Trois mouvements de Petrouchka di Stravinskij e La Valse di Ravel, programma replicato a Milano il 30/09/2021. Grandi emozioni hanno percorso me e le altre persone presenti in sala, travolte dallo sprigionarsi di forze primordiali e incontenibili scatenate da un artista, un grande artista, sempre meno disposto a cedere a certi compromessi del passato. Un'ultima domanda urge allora spontanea: alla luce dell'attuale stato di evoluzione della sua arte pianistica, come risuonerebbe oggi Francesco Libetta queste magnifiche opere di G.F. Händel? È una risposta che ogni suo estimatore, ma anche no, vorrebbe esaudita con l'uscita di una sua nuova integrale händeliana.

 




Alfredo Di Pietro

Febbraio 2022


 Print   
Copyright (c) 2000-2006   Terms Of Use  Privacy Statement
DotNetNuke® is copyright 2002-2025 by DotNetNuke Corporation