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 La persistenza della memoria - Editoriale Riduci


 

Non sono una persona che propende molto per gli editoriali, mi sento inadeguato per questo tipo di articolo giornalistico in cui vengono trattati temi di particolare rilevanza. Per stilare un buon editoriale bisogna essere dei giornalisti molto esperti, in grado di esprimersi con stile sicuro e coinvolgere il lettore con la forza delle proprie argomentazioni. In uno scritto che voglia essere persuasivo, forma e sostanza devono coesistere senza sbilanciamenti, senza che una prevalga sull'altra. Io invece non sono un giornalista e nemmeno una "grande firma" (le due cose non necessariamente sono collegate), sono semplicemente uno a cui piace raccontarsi e raccontare, nella speranza di aver acquisito sufficiente abilità a farlo.

In Italia l'attività del giornalista è fondata su una precisa deontologia, regolamentata da una legge (N° 69 del 3 febbraio 1963) in base alla quale è stato creato un organismo, l'Ordine nazionale dei giornalisti, in cui tutti coloro che esercitano tale l'attività hanno l'obbligo di iscriversi. Ecco perché chi non fa parte dell'Ordine ma si spaccia per giornalista, commette di fatto un reato non potendo, ai sensi della legge, definirsi tale. C'è però un "ma" grosso come una casa... Dal punto di vista pratico esiste una messe di "scrittori", "giornalisti" e blogger che, grazie all'avvento del Web 2.0, hanno avuto la possibilità di esprimersi dando libero sfogo alla voglia di scrivere che è in loro. Al di là delle etichette, della legittimità, ve ne sono anche di molto bravi che scrivono superbamente, senza nulla togliere ai veri professionisti della penna.

E' reato quindi spacciarsi per quello che non si è ma, diversamente da altre professioni normate (tipo l'avvocato e il medico), chiunque può legittimamente impegnarsi in un'attività assimilabile a quella del giornalista. E' la stessa Costituzione italiana che tutela la libera manifestazione del pensiero, pur negando la possibilità di definirsi "giornalista" a chi non ha seguito un certo percorso e non è iscritto all'albo. Termino questo lungo inciso, l'avrei tranquillamente risparmiato al lettore se in rete non corressero alcune "schizofreniche" voci circa l'illiceità dello scrivere liberamente, le quali hanno investito anche la mia persona.

Il motivo profondo che mi spinge alla stesura di questo editoriale è in realtà riassumere le tappe essenziali della mia avventura di audiofilo/musicofilo, narrate sul mio sito personale. Intendiamoci, nessun lungo elenco di cose dette, per quello è sufficiente scorrere il contenuto del frame "Navigazione Sito". Il riassunto, se così possiamo chiamarlo, non riguarda gli articoli ma alcuni cambiamenti esistenziali che nel frattempo sono avvenuti, riflessi nel mio modo di pormi a chi legge.

Proprio in questi giorni la mia creatura "Non solo audiofili" compie sette anni di età, non sono poi così tanti ma i tempi dell'esordio con i reportage della Domus AudeA e il primo Milano Hi End mi sembrano davvero lontanissimi. Pensando agli inizi riaffiorano alla mente sensazioni ancora fresche, di una fragranza però distante, oggi irraggiungibile, che quasi si perdono nella fitta coltre del passato. In me si è creato un netto divario tra lo spirito di allora e quello con cui oggi proseguo il cammino di questa bellissima passione, da una specie di limbo in cui mi piaceva muovermi, anche con una discreta dose di autocompiacimento, sono pervenuto a una visione più realistica del pianeta audio, nell'ambito di un itinerario per la verità poco lineare.

Con il tempo è cresciuto l'impegno che metto in questa passione, compresa la voglia di staccarsi dallo "stile brochure", dal patinume di un certo tipo di recensioni audio tutto chiacchiere e distintivo, ma senza avere la presunzione di essermi ancora sufficientemente distanziato da esse. Mi è piaciuto avventurarmi su campi per me "sconosciuti" sino a pochi anni fa, ho voluto diventare l'autore, non più lo spettatore di quei grafici di misura che per anni ho guardato, con ammirazione.

Insomma, è in corso un tentativo di avventurarmi sull'erto e impervio sentiero delle misure, con la presunzione di voler traghettare l'ascoltatore verso orizzonti sospesi tra percezione e misura, nella convinzione che queste due realtà non siano antitetiche, ma che fisica e sensazione abbiano un legame profondo, ancor più forte di quello che si è portati a credere. Impresa velleitaria? Visionaria? Probabilmente si, ma la ritengo l'unica strada per giungere all'espressione di una cifra personale. Il futuro è però incerto, nebbioso, l'impresa potrebbe realizzarsi come fallire miseramente, ho messo in conto entrambe le eventualità. Io non ho una doppia vita, una reale e l'altra artificiosamente costruita a tavolino per essere esposta sulla ribalta del Web, le mie "presunzioni", i miei voli, le mie inadeguatezze, le mie ingenuità, le mie cadute di stile sono nude e crude di fronte al lettore.

Negli ultimi anni ho preso coscienza di un fattore prima solo debolmente intuito, oggi divenuto una convinzione: il tempo come entità elastica. Quando si vive intensamente una condizione (per me l'attivismo e l'entusiasmo nel campo dell'audio) il tempo sembra dilatarsi, il passare dei minuti, delle ore, dei giorni, perde la sua rigida scansione metronomica per assumere un carattere malleabile. Si allarga a dismisura o si restringe a seconda del coinvolgimento personale, si tratta di un fenomeno che vive all'interno non del tempo fisico ma del mio intimo, la percezione delle distanze temporali viene condizionata dal vissuto. Viene spontaneo pensare al capolavoro di Salvador Dalì "La persistenza della memoria".

Nel dipinto il surreale scenario degli orologi molli è immerso in una luce che rende tutto lucidamente incisivo, vivifica i colori a vantaggio di una surrealtà scolpita con incredibile dettaglio. Lo spazio perde la sua concezione di prospettiva definita da precise leggi geometriche, diventa asimmetrico, le sue coordinate sono stravolte. Anche gli oggetti subiscono la stessa deformazione, perdono la loro forma definita per diventare scioglievoli, gelatinosi, sfuggenti a una rigida concezione di realtà, illuminati da una vivida luce in un’atmosfera metafisica che invita a riflettere sul contrasto tra la cruda realtà e le nostre più recondite percezioni.

Di quest'opera Dawn Ades ha scritto: “Gli orologi molli sono un simbolo inconscio della relatività dello spazio e del tempo, una meditazione surrealistica sul crollo delle nostre nozioni riguardo un sistema cosmico immutabile” (Thames and Hudson, 1982).
Ciò che è avvenuto in questi sette anni vissuti con Non solo audiofili ha subito le stesse leggi metafisiche descritte nell'opera di Dalì. La sequenza temporale dei miei scritti oggi mi appare flessibile, molle, ora conclusa in rapide battute, ora illanguidita in questioni che faticano a essere risolte, quasi ferme nel tempo in attesa di giudizio.

Sull'onda di queste sensazioni, in Non solo audiofili prende forma una nuova rubrica che ha l'intento di tirare fuori tutto quello che per lungo tempo è rimasto nascosto nel cassetto. Ciò che nella mia militanza audio era rimasto al palo, inespresso a causa di sfavorevoli contingenze o semplicemente bloccato da un "non avevo voglia", ora verrà alla luce in questo nuovo spazio. Il tempo in quel cassetto che ho trascurato di aprire non si è fermato, si è soltanto deformato in ragione di circostanze di cui neanch'io so dare spiegazione. Sono motivazioni dotate di grande forza, ancora maggiore di quella che io potessi pensare e che hanno lavorato dentro di me incessantemente in questi anni. Ora reclamano visibilità con la vis recriminatoria di chi si è sentito ingiustamente trascurato.

Verrà quindi pubblicata una serie di articoli "postumi", conclusi i reportage incompiuti, il tutto ricomposto sotto il nome di "Quello che avevo dimenticato nel cassetto". Un amarcord, una sorta di proustiana "Recherche" che non rinnega, ma al contrario desidera ricostruire lo spirito di quei tempi nella consapevolezza della diversità di sguardo che oggi ha il suo autore.

Di prossima pubblicazione, l'articolo che inaugurerà questa nuova rubrica sarà un reportage risalente al Luglio 2012, riguardante l'Azienda biellese ACME di Germano Ricci.

Alfredo Di Pietro

Febbraio 2014


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