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 Amiata Piano Festival 2016 - Baccus - Venerdì 1 luglio Minimizar

 


 

 

"Scores!"

Paolo Fresu: tromba, flicorno, effetti

Quartetto Alborada:
Anton Berovsky: violino I
Sonia Peana: violino II
Nicola Ciricugno: viola
Piero Salvatori: violoncello

 

 

 

PAOLO FRESU: IL MUSICISTA DAL VOLTO MITE

Maurizio Baglini nel discorso preliminare era stato chiaro: quasiasi tipo di ripresa durante il concerto (foto, video e audio) era tassativamente vietata, pena l'intervento della sicurezza. Strettissime norme di copyright lo impedivano, evidentemente. Di fronte a un'avvertenza così determinata si è dovuta fermare la mia voglia compulsiva di fare scatti. Anche il mio fido voice recorder è dovuto rientrare subito in tasca, non l'avevo nemmeno accesso mettendolo in stand-by, pronto a registrare le parole di presentazione di Paolo Fresu a ogni brano. Un concerto dove l'unica traccia mnemonica è stata quella registrata nel cervello e nell'anima. Eppure, forse nessuna delle serate di Baccus ha lasciato in me un segno tanto indelebile. Nel programma di sala di "Scores!" non era nemmeno riportata la canonica scaletta di brani. Un concerto "al buio", anche nelle luci, tenute bassissime. A corredo di questo memorabile appuntamento "solo" il ricordo di un artista immenso, dal volto umanissimo, ricco di storie intagliate nel suo viso, oltre che raccontate dalla sua tromba e flicorno. L'ho incontrato nel corso della degustazione dopo il concerto, emozionato gli ho stretto la mano, lui mi ha sorriso. Gli ho confessato che raramente avevo trovato in un musicista una tale aderenza tra vissuto e suono, nessuno scollamento tra i due né fittizi atteggiamenti da divo in carriera, di quelli che ti dicono di star lontani, di ammirare "senza toccare". Si schermisce alle mie parole: "Dovrebbe essere sempre così"... ero emozionato, le parole si affastellavano aritmicamente, non sono riuscito a reggere il suo sguardo penetrante. Prima di allontanarmi gli dico che avrei voluto fargli un'intervista, ma ciò non è stato possibile, me l'ha concessa invece, assai gentilmente, sua moglie Sonia Peana, del quartetto Alborada. Una risposta la sua che vale più di mille interviste...

Non posso fare diversamente, per il mio articolo "rubo" due foto dalla pagina Facebook dell'Amiata Piano Festival. La musica di "Scores!" nasce per accompagnare i due film "Ilaria Alpi. Il più crudele dei giorni" e "L'isola". Traccia un percorso di ricerca dal sapore mediterraneo, dove s'inserisce in maniera naturalissima l'arte sopraffina del quartetto d'archi Alborada. Presentando questo disco Paolo Fresu ha detto: "Si potrebbe affermare che il Jazz abbia spartito con il Cinema lo scettro della più grande e rivoluzionaria invenzione linguistico/artistica del Novecento". Ha dichiarato in un'intervista per una rivista francese che "noi musicisti di jazz siamo dei voleurs de musique, dei "ladri di musica". Perché la cogliamo dal quotidiano e la restituiamo metabolizzata, già con il nostro timbro e in un divenire che ci appartiene irrimediabilmente". La musica di Fresu ha una personalità inconfondibile, già alla prima nota emessa fa dire: "Si, è lui!" Crocevia di esperienze disparatissime, riesce a sintetizzarle, le assimila facendole diventare un'altra cosa, una cosa che può essere solo e soltanto sua. Più che costruita la sua musica sembra rinvenuta, in ogni angolo del pianeta, sulle spiagge, sui monti, nel verde della campagna, trovata a volte quasi per caso nascosta tra i fili d'erba di un prato, inseguita sulle infinite onde di risacca del mare. Da qui la sua naturalezza disarmante, che penetra con irrisoria agevolezza in ogni fibra del nostro essere, percola dalla superficie raggiungendo il fondo più fondo del nostro animo. Dev'essere rimasto conquistato il regista Ferdinando Vicentini Orgnani di "Il più crudele dei giorni": "C'eravamo conosciuti a un suo concerto un anno prima, la sua umiltà, la sua discrezione e un evidente amore per la ricerca me lo avevano fatto sentire subito molto vicino", dichiara.

Paolo Fresu inizia lo studio dello strumento all'età di undici anni nella Banda Musicale del proprio paese natale. Dopo varie esperienze di musica leggera scopre il jazz nel 1980 e inizia l'attività professionale nel 1982 registrando per la RAI sotto la guida del maestro Bruno Tommaso, frequenta i Seminari di Siena jazz. Nel 1984 si diploma in tromba presso il Conservatorio di Cagliari. Da lì parte una carriera in crescendo, unica per la varietà dei generi musicali toccati e la vastità delle cooperazioni. Nel 2010 fonda la sua etichetta discografica Tŭk Music. Dirige il Festival "Time in jazz" di Berchidda. Musicista onnivoro, curiosissimo ed estremamente aperto a ogni collaborazione, ha via via arricchito le proprie esperienze. Ha incantato il pubblico di ogni continente suonando con i nomi più importanti della musica afroamericana degli ultimi trent'anni. Musicista infaticabile, oggi è impegnato in una quantità enorme di progetti, per più di duecento concerti l’anno, in ogni parte del pianeta Terra. La sua produzione discografica è impressionante: ha registrato oltre trecentocinquanta dischi di cui oltre ottanta a proprio nome o in leadership. Si è ingarellato in un'impresa incredibile, che ha dei connotati a metà strada tra l'epico e il titanico: nel 2011, in occasione del suo cinquantesimo compleanno, si esibisce per cinquanta giorni consecutivi in concerti live in altrettanti luoghi, diversi dai canonici per concerti e spettacoli, della sua amatissima terra natia: la Sardegna. Il tour evento di Paolo Fresu "¡50 anni suonati" diventa una raccolta che spazia dal jazz alla classica, dal pop alla sperimentazione, raccolta in cinque CD e un DVD.

Paolo Fresu si avvia sul palcoscenico con passo spedito. Al pubblico appare una figura minuta, una specie di mobilissimo folletto, agile e sfuggente, capace di trasportare con la sua musica verso un mondo dai sentimenti intensi, a tratti lancinanti. Cangiante, muta caleidoscopicamente espressione e accenti, alterna con disinvoltura tromba e flicorno, forse le sue due anime: una squillante e solare, intensa, più scura e malinconica la seconda. Accompagnare sulle ali della magia sonora è la sua vocazione più profonda, lo fa senza tentennamenti. Il suono del suo strumento viaggia lontano. Siede poggiando il dorso del piede destro nel cavo del ginocchio sinistro, in una posa raccolta e introversa. Quando non suona, il suo busto oscilla al ritmo del Quartetto Alborada. Lo guarda a volte con tenerezza, con approvazione e un lieve sorriso di compiacimento alla fine di ogni brano. A un certo punto sembra andar via, d'impulso si allontana sparendo nel corridoio laterale destro dell'auditorium. No, non ci ha abbandonati per qualche oscuro motivo, si è soltanto spostato sulla parte più alta della sala, con passo veloce e felpato. Da lì il suono del suo flicorno domina la valle, scende a pioggia su un pubblico ipnotizzato. Sfumano le onde sonore in una dolcissima ninnananna, soffusa e avvolgente. La sua musica è frutto di un incrocio tra mille emozioni, mille sensazioni, sussurrate, coacervo di sconfinate frequentazioni musicali, suggestioni assimilate e compendiate in un suono del tutto nuovo.

 




INTERVISTA A SONIA PEANA DEL QUARTETTO ALBORADA

 



Alfredo Di Pietro: Come nasce il Quartetto Alborada?

Sonia Peana: il Quartetto Alborada si presenta con una prima formazione che nasce nei primi anni '90, con la nuova siamo insieme dal luglio 2003. Nasce come quartetto classico ma già con una grande apertura verso le collaborazioni con altre musiche, dal jazz alla popolare e alla etnica. Abbiamo partecipato a vari progetti, soprattutto rivolgendo la nostra attenzione a un repertorio che partiva dalla musica barocca, dalla contemporanea. Ultimamente scriviamo dei pezzi, quindi ci sono molte musiche originali nel repertorio.

ADP: Un ensemble preminentemente classico come il vostro, con un repertorio che privilegia la musica barocca e quella del novecento, come concilia la sua attività classica abbinandola al genere jazz?

SP: In realtà la conciliamo bene, pur essendo noi un vero e proprio quartetto classico. Il nostro modello di suono nasce da un'idea d'insieme in cui le quattro voci si fondono in una sola, quindi c'è una grande attenzione a un suono unico, che non troviamo poi spesso in molti quartetti. E' la cosa che amiamo di più perché negli altri le quattro voci sono spesso separate, il primo violino tende a suonare di più, con un ruolo più evidente. Noi invece abbiamo un'impostazione quasi di coro, con un suono della stessa qualità e con la stessa voce. Siamo molto curiosi, il repertorio classico non ci basta, ci teniamo a far venire fuori tutte e quattro le anime. La musica classica con il suo spartito non permette certe cose, c'è sì l'interpretazione, ma non esiste una maniera di esprimersi improvvisando. Credo perciò che abbiamo trovato un bel modo di fare musica e riusciamo anche a improvvisare insieme. Se si è in quattro non è facile farlo però ormai abbiamo, dopo tanti anni, un po' lo stesso respiro, un ascolto attento di tutte e quattro le voci. Conoscendoci molto bene riusciamo a darci spazio e a improvvisare. È una cosa molto bella che ci è stata insegnata dai jazzisti con cui abbiamo suonato, tra cui Uri Caine, Paolo Fresu, Omar Sosa. Sono persone che ci hanno veramente educato a stare sul palco, godendo di quello che sapevamo fare. Cosa rara perché veniamo dal genere classico, dove c'è sempre paura, tensione, un'idea della perfezione che un po' blocca l'istinto e la naturalezza dell'esecuzione.

ADP: Forse è ancora opinione comune che questi due generi, il classico e il jazz, siano piuttosto distanti tra loro. Io sono convinto che la musica non debba avere steccati né compartimenti stagni e la vostra attività credo ne sia la dimostrazione lampante.

SP: Si, infatti, è proprio quello che dicevamo prima. Noi non pensiamo assolutamente che la musica abbia confini. Certo, ci sono dei musicisti che fanno molto bene in un quartetto classico e riescono comunque a comunicare molto. Se ci trovassimo in una situazione dove si fa del Bebop o altro sarebbe certamente più faticoso esprimerci, dipende quindi anche dal tipo di musica jazz, che deve poter mescolarsi bene, dove si riesca a trovare comunque una buona sinergia. Assolutamente noi non crediamo in nessun confine, anzi ci piace spaziare, avere molti stimoli in più. Questo è avvenuto recentemente, per esempio, nella registrazione del disco "Eros Mediterraneo" con Omar Sosa, Paolo Fresu e altri ospiti. Omar Sosa, che tra l'altro è anche un percussionista, ci ha scritto degli arrangiamenti veramente minimali, non avevamo mai suonato delle cose talmente ritmiche e belle. Ogni volta è comunque una prova, una maniera per metterci in gioco. Devo dire che ci conosciamo davvero bene, la stima che abbiamo uno dell'altro credo ci aiuti molto a inventare cose nuove.

ADP: La vostra collaborazione con Paolo Fresu in "Scores!" è stata salutata dalla critica come una ventata di aria fresca per il jazz. L'intesa con il trombettista e flicornista sardo appare perfetta nella ricreazione di atmosfere a volte rarefatte e a volte più dense ma sempre improntate a una rara intensità espressiva. Vuole parlarci di questo avvincente progetto?

SP: Certo. "Scores!" nasce dalla registrazione di colonne sonore che abbiamo fatto con Paolo Fresu. Le prime non sono solo di film ma anche di documentari, in cui molti dei compositori che conoscevamo hanno anche scritto per il nostro organico. Il lavoro quindi viene da un repertorio d'immagini ma alla fine spazia verso tante altre musiche e non si ferma a quello. Nasce così e ci piace tantissimo. Il Quartetto Alborada ha suonato tante colonne sonore di film, di documentari. Prendiamo in considerazione anche dei brani nostri, che ci portiamo dai nostri dischi fatti con altri musicisti e che poi proponiamo a Paolo. Dei pezzi addirittura di musica classica, fra Mozart e altri autori della tradizione barocca. Alla fine è una maniera per trovare delle atmosfere che ci emozionino e che ci coinvolgano.

ADP: Crede che la suggestiva atmosfera, architettonica e paesaggistica, dell'Amiata Piano Festival possa stimolare l'artista a esprimere dei sentimenti un po' particolari e diversi dal solito?

SP: Molto, molto! Gli ambienti influenzano tanto! Dove si suona, le emozioni, i luoghi, il pubblico... soprattutto in festival che sono frequentati da anni e in cui la cosa importante non è solo la musica. La gente viene anche per i luoghi, per aprirsi alla scoperta di nuovi posti. Quindi sicuramente è un fattore che influenza tantissimo. Il bello a volte e far diventare un concerto completamente diverso da un posto all'altro.

 



Alfredo Di Pietro

Segue alla Terza Serata...


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