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 Amiata Piano Festival 2017 - Dionisus - 25 Agosto Riduci

 

 

AMIATA MUSIC MASTER - STRAUSS FÜR BLASER

Richard Strauss (1864-1949)
Serenata in Mi bemolle maggiore per tredici strumenti a fiato Op. 7
   Andante

Suite in Si bemolle maggiore per tredici strumenti a fiato Op. 4
   1. Praeludium
   2. Romanze
   3. Gavotte
   4. Introduction un Fuge

Sonatina N. 1 in Fa maggiore per sedici strumenti a fiato
"Aus der Werkstatt eines Invaliden"
   1. Allegro moderato
   2. Romance and Minuet: Andante - Tempo di menuetto
   3. Finale: Allegro molto



Ensemble di fiati del Conservatorio di Milano
diretto da Alessandro Bombonati

 

 

 

Con la premura di esplorare il fenomeno musicale ad ampio raggio, con l'unico vincolo della qualità e della focalizzazione su determinati generi musicali, nasce nel 2015 l'Amiata Music Master. Un progetto filiazione dell'Amiata Piano Festival che ha l'ambizione di offrire alle nuove generazioni l'opportunità di condividere lo stesso spazio artistico con musicisti già ampiamente affermati. Il format ha esordito con uno stimolante accostamento tra maestri e allievi, dove veniva "annullata" la distanza esistente tra gli uni e gli altri in un confronto rivelatosi estremamente interessante, comunque inconsueto perché le due "tipologie" seguono di solito binari diversi. Anno 2017, tranche Dionisus, a distanza di due anni dal debutto l'esperimento si replica con uno spirito compendiato nel motto "largo ai giovani" ma che al festival assume una valenza particolare, del tutto priva d'intenti propagandistici. Su questo punto il direttore artistico Maurizio Baglini è estremamente chiaro, i giovani vengono accolti con entusiasmo ma non sotto l'egida di un aprioristico empito giovanilistico, salgono sul palco del Forum Bertarelli solo se lo meritano. Essere valenti: è l'unico modo possibile per sostenere la sfida (che poi sfida non è) e condividere l'illustre palco con concertisti conclamati. E quest'anno tocca non a dei singoli interpreti ma a un laboratorio musicale, l'Ensemble di fiati del Conservatorio di Milano condotto dal maestro Alessandro Bombonati, istituzione che meritoriamente ha scelto di battere una strada analoga a quella della kermesse amiatina, cioè consentire ai giovani di misurarsi con rinomati artisti, con tutta la "suspence" del caso.

Nell'interessante intervista fatta al maestro Bombonati, vengono chiariti alcuni fondamentali nodi che si devono affrontare nel costruire una realtà come questa, fatta di elementi attentamente selezionati, "pescati" nel fertile vivaio del Conservatorio "Giuseppe Verdi" di Milano. Una rinomata istituzione che ha da tempo creato dei progetti e, fra questi, proprio quello condotto dal maestro Bombonati è risultato particolarmente significativo. Quali sono le doti che questi giovani devono dimostrare di avere? Certamente la saldezza esecutiva, che da sola non basta, quindi anche l'entusiasmo, il brio interpretativo e la non facile conquista del linguaggio proprio dell'autore che affrontano. Basti un nome solo, Richard Strauss, per capire immediatamente come il cimento di questa serata farebbe tremare le vene ai polsi anche al più navigato degli strumentisti. Nota è la complessità compositiva dell'autore tedesco, altrettanto l'assoluta mancanza di rigidità con cui devono essere eseguite le sue intricate trame sonore, pena la perdita della proverbiale freschezza. Inoltre, un'autorevole caratura timbrica deve sostenere un lessico di grandiosa concezione sinfonica. Il maestro Bombonati, stimolato da una domanda rivoltagli da Maurizio Baglini circa la differenza tra il lavorare con i Wiener Philharmoniker e l'ensemble milanese, illumina il pubblico con diverse interessanti considerazioni. Delle riflessioni di vita artistica vissuta che certamente hanno predisposto a un ascolto più consapevole. Il maestro è reduce da un'importante esperienza al Festival di Salisburgo, fatta con l'Orchestra Filarmonica di Vienna (la più prestigiosa del mondo?), una produzione realizzata con loro in qualità di assistente.

 



La testimonianza di una persona che ha preparato e diretto questa compagine nell'Elektra di Richard Strauss può toglierci, appunto, la curiosità di sapere che differenza esista tra lavorare a livelli stratosferici, con quel tipo di musicisti, e con giovani selezionati tra gli allievi degli ultimi corsi, appena diplomati, da poco usciti dagli ultimi corsi o dai master di perfezionamento che normalmente si tengono in conservatorio. Vale la pena ricordare che diversi di loro suonano e hanno già suonato come aggiunti in orchestre molto blasonate, altri sicuramente ci arriveranno perché hanno tutte le qualità per poterlo fare. Ogni elemento possiede l'indiscutibile merito di aver lavorato duramente per raggiungere il livello di oggi, tra l'altro a confronto con un repertorio molto particolare, di nicchia, come le composizioni presentate stasera, cioè la musica da camera per fiati di Strauss, a onor del vero non particolarmente eseguita se non in determinate occasioni, per esempio in festival dedicati alla musica per fiati. Non è affatto semplice "montare" dei pezzi del genere, così esposti, così plasticamente complessi, che richiedono un'energia e un impegno non indifferenti. L'Ensemble di fiati del Conservatorio di Milano e i Wiener Philharmoniker sono due realtà completamente diverse, ben può dirlo chi ha avuto la fortuna, come il maestro Bombonati, di poterli confrontare. I Wiener... la relazione che s'instaura con un'orchestra di questa personalità è molto confidenziale. Loro entrano immediatamente in sintonia con il direttore, capiscono al volo cosa vuole, seguono subito le sue indicazioni e hanno un carattere, un modo di suonare evidente.

Quando si entra nel merito della comunicazione con un gruppo di musicisti di quella caratura e di quell'esperienza, maturata anche con la lunga abitudine a stare insieme, la risposta alle desiderata del direttore è immediata. Diversamente, con un insieme come quello del Conservatorio di Milano, il lavoro per conquistare un elevato grado di confidenza, per strutturare il gruppo, per entrare in sintonia con la gestualità del direttore (ma anche con il linguaggio musicale) diventa un po' più difficile. Questo è naturale perché ci troviamo alla presenza di allievi che non possono certamente avere il livello di esperienza che vantano i componenti di un'orchestra come i Wiener. Si tratta di un "problema" comune alle orchestre giovanili, meno abituate ad avere un certo approccio con la musica sinfonica. Conta molto in questi casi il bagaglio esperienziale che un musicista si porta dietro, maturato nel corso degli anni. L'Ensemble di fiati del Conservatorio di Milano nasce come laboratorio cameristico-orchestrale, l'anno scorso ha affrontato il progetto "Stravinsky e i fiati". Non con questi ma con altri allievi ne è stato seguito un altro, il lavoro si è poi concretizzato in un concerto finale. Alessandro Bombonati è convinto che questo di stasera è un momento "topico" nell'iter realizzativo del laboratorio milanese perché riprende il concerto che è stato fatto tre mesi fa con un repertorio straussiano, calato però in una cornice così bella ed eccitante.

Il programma di sala del 25 agosto inizia con la Serenata in Mi bemolle maggiore per tredici strumenti a fiato Op. 7, prosegue con la Suite in Si bemolle maggiore per tredici strumenti a fiato Op. 4 e si conclude con la Sonatina N. 1 in Fa maggiore per sedici strumenti a fiato "Aus der Werkstatt eines Invaliden". Queste sono le opere impavidamente fronteggiate dall'ensemble. La prima appartiene alla produzione giovanile di Strauss, risale al novembre 1881, quando l'autore aveva soltanto diciassette anni ed è chiaramente ispirata ai grandi modelli classici, soprattutto mozartiani (come non pensare alla magnifica Serenata "Gran Partita" K 361?). Nonostante il suo sapore di "primizia", essa dimostra già una rimarchevole maturità nella sensibilità sonora, nell'eleganza e raffinatezza dell'amalgama timbrica. In essa è già riconoscibilissimo lo stile inconfondibile di Richard Strauss, la sua enorme perizia compositiva. Strutturato in un tempo unico, questo "Andante" dalle tinte eteree esordisce con un tema esposto dai legni che porta verso un secondo motivo, più mosso. Esposizione, sviluppo, ripresa e coda si muovono in un clima incantevole, delicatissimo, di sapore quasi bucolico. Un esempio della sapienza timbrica di Strauss sta nella ripresa, dove corni e fagotti riespongono il primo tema, caratterialmente però trasfigurato dal diverso colore strumentale, in questo caso più scuro e penetrante. Molti anni dopo la sua composizione, nel 1909, l'autore fu tutt'altro che tenero nei confronti di questa sua prova giovanile, definendola "nient'altro che un decoroso lavoro di uno studente di Conservatorio", segno di un lucido (e forse eccessivo) senso autocritico.

 



In realtà la Serenata in mi bemolle maggiore si presenta alle nostre orecchie come una piccola gemma melodica, ricca di serenità e pace di stampo "domestico", la stessa che in diverse occasioni è dato apprezzare nella sua prima produzione. Di differente temperie espressiva si mostra la Suite in Si bemolle maggiore per tredici strumenti a fiato Op. 4, che vide la sua prima esecuzione a Dresda il 27 febbraio 1884. Articolata in quattro movimenti, rispetto alla precedente propone intrecci più complessi, in un fitto dialogo tra gli strumenti. Notevole è anche la sua trama contrappuntistica, che non si pone in competizione con la vena melodica, piuttosto collabora con essa rendendo il tutto notevolmente coeso. Dopo il trionfante "Praeludium" è la volta della "Romanze", un raffinato andante in tempo 3/4 caratterizzato dalla leggiadria del disegno di terzine del clarinetto, il dialogo si estende poco dopo agli altri strumenti in un elegante gioco. Stessa manifestazione di buon gusto ritroviamo nel tempo seguente, la Gavotte, giocato sul diverso carattere timbrico dell'oboe, flauti, clarinetti, corni, fagotti e controfagotto. Esordisce con un andamento spigliato e frizzante, vitalissimo nelle sue screziature melodico-dinamiche; orientaleggiante si presenta la parte centrale, che non manca anche di un fine umorismo e di una sorprendente mobilità nel variare umori e stati d'animo. La Gavotte si conclude perentoriamente, riproponendo il tema con maggior intensità da parte degli strumenti. La composizione si conclude con la "Introduction un Fuge", uno di quei tempi che richiedono grande impegno tecnico e di affiatamento dell'insieme.

Dopo una paciosa introduzione si affaccia la fuga, avviata dal corno e seguita dal clarinetto, oboe, flauto, fagotto e controfagotto, forieri di un'intricata dialogica contrappuntistica che porta all'esternazione di sonorità intense, a tratti trionfanti, sempre ornate di una sorprendente mutevolezza e mobilità espressiva, vero e irripetibile fascino di questa musica. Nella Sonatina N. 1 "Aus der Werkstatt eines Invaliden" troviamo un artista più maturo, incline all'introversione ma sempre animato da quell'insopprimibile afflato vitalistico che è costantemente presente nella sua produzione. Questa composizione risale al 1943, periodo in cui Strauss era reduce da una grave malattia e sei anni lo separavano dalla morte. Lavoro complesso, lungo (circa 35 minuti) è scritto per un organico composto da sedici strumenti a fiato: due flauti, due oboi, tre clarinetti, corno di bassetto, clarinetto basso, quattro corni, due fagotti e un controfagotto. Emblematica (e anche commovente) è la dedica scritta dal compositore per quest'ultimo lavoro: "allo spirito immortale di Mozart alla fine di una vita piena di gratitudine", quello stesso Mozart che lo aveva ispirato, appena diciassettenne, nella Serenata in Mi bemolle maggiore Op. 7. Nello snodarsi dei quattro movimenti troviamo, ancora una volta, quell'ammaliante miscela di freschezza e disinvolta musicalità che sorge dalla mirabile attitudine compositiva e dall'acutissimo senso timbrico di Richard Strauss. Il contrappunto fa subito il suo debutto nel primo tempo.

Il taglio della composizione è classico in questo come nei movimenti che seguono: "Romance and Minuet: Andante - Tempo di menuetto" e il "Finale: Allegro molto". Nella romanza emerge una nobile melodia esposta dal corno, con il suo nitore e potenza di suono, ripresa poi dagli altri strumenti secondo uno stile imitativo. La ricetta che Strauss segue è fatta d'ingredienti miscelati con sapienza, perfettamente dosati, che sono le sonorità complesse e corpose, la mobilità espressiva, la straordinaria e imprevedibile capacità di modulazione armonica, un freschissimo senso di vita fiorente che si sviluppa estemporaneamente davanti a noi. Possiamo considerare l'elettrizzante "Finale: Allegro molto" un vero e proprio "tour de force" per i nostri interpreti e una dimostrazione dell'altissima maestria tecnico-contrappuntistica raggiunta dall'autore. Un vero tripudio di arguzia, brillantezza e vivacità dove il virtuosismo strumentale tocca il suo massimo. Nell'Ensemble di fiati del Conservatorio di Milano ho scorto volti giovani, determinati a dare il massimo, senza risparmio, in questo difficile programma estivo, trapelanti l'emozione ma anche la tensione dell'arduo compito che avevano davanti. Hanno portato nel Forum Bertarelli il fascino della loro gioventù, una gioventù spesa bene tra l'amore per la grande musica e l'orgoglio di partecipare uniti alla grande impresa di comunicare, risvegliare in tutti noi delle belle emozioni. Qualcuno di loro ha tradito nello sguardo un pizzico di apprensione, umana e toccante perché realmente sentita.

 



Sempre lontani da una fredda, distaccata professionalità, nel concerto di stasera hanno dato l'anima. Tenuto saldamente in mano le redini di partiture impervie, dove il minimo errore di concentrazione, un piccolo sfasamento di coordinazione ritmica, li avrebbe portati fuori strada. Il loro direttore, maestro e mentore, li ha guidati con mano ferma ed esemplare chiarezza. Da spettatore, anche se non avessi sentito la musica, avrei comunque letto sul volto di Alessandro Bombonati e su quello di ognuno di questi diciassette meravigliosi strumentisti tutta la bellezza e la vita che scorre in queste note. Alla fine è pervenuto il risultato di tanto strenuo lavoro: sarò un ascoltatore disattento, ma non ho colto nella loro esecuzione una sola indecisione, una sola evidente imperfezione, ma un flusso autorevole di note. Ho avvertito tanta nobiltà espressiva nella Serenata Op. 7, necessaria per tenere lontana la sensazione di ascoltare una minestrina sentimentale. Stupisce l'ensemble milanese nella coesione, nella tensione verso un'ideale amalgama ritmica, sorprende nella precisione e perfezione degli incastri strumentali, sintomo di un ciclopico lavoro a monte svolto dal direttore (che per loro è stato molto più di un "semplice" direttore) e di ognuno di loro. Nei momenti di maggior affollamento contrappuntistico si sono fatti valere con un comportamento analitico, mai confusionario, anche se la difficoltà della partitura avrebbe potuto in qualche modo giustificarlo. E che emozione vedere il primo clarinetto suonare con accanto una custodia contenente delle ance!

Non sono un critico ufficiale, un recensore dalla voce impostata e mi posso permettere qualche addentellato tutto mio di vita vissuta, compreso il ricordo di quando, ragazzo, studiavo il clarinetto. Avevo un Buffet Crampon e usavo ance Vandoren... Alla fine un pubblico entusiasta ha tributato una lunga "standing ovation" ai nostri prodi artisti, che hanno proseguito l'incanto ancora per qualche minuto, suonando come bis la coda del Finale: Allegro molto dalla Sonatina "Aus der Werkstatt eines Invaliden".

Cos'altro dire se non "largo ai giovani", a questi giovani?


INTERVISTA AL MAESTRO ALESSANDRO BOMBONATI

 



Alfredo Di Pietro: Maestro, desidero iniziare quest'intervista con un complimento e una domanda. È quasi commovente assistere a un concerto in cui dei giovani e valentissimi strumentisti hanno dimostrato un tale affiatamento e sicurezza anche nelle parti più impegnative di queste difficili partiture. Mi riferisco, per esempio, all'"Introduzione e Fuga", movimento finale della Suite in Si bemolle maggiore Op. 4 di Richard Strauss. Com'è riuscito a raggiungere un tale livello di armonia, di coesione nella compagine dell'"Ensemble di fiati del Conservatorio di Milano"?

Alessandro Bombonati: Lavorando molto perché i ragazzi hanno messo tutto il loro impegno e serietà nello studio. Quando però si affronta un repertorio di questo tipo, con allievi che non hanno un'importante esperienza e un notevole bagaglio da portarsi dietro, il lavoro di montaggio, di affiatamento nell'affrontare un programma così impegnativo diventa molto arduo. Bisogna operare di cesello, fare prove a sezioni, al di là del fatto che, tecnicamente, questa è musica che anche singolarmente è difficile.

ADP: Lei è clarinettista, compositore e direttore d'orchestra, dal 2006 insegna al Conservatorio di Milano. L'Ensemble di fiati nasce e cresce all'interno dello stesso Istituto. Si tratta di una realtà che sboccia da un laboratorio, dedita sotto la sua direzione all'analisi, studio e interpretazione di repertori anche poco praticati. La giovane età degli strumentisti e la novità delle composizioni proposte crede possano essere da stimolo a un rinnovato interesse del pubblico per i concerti e la musica in genere?

AB: Io penso proprio di si. Già il fatto che dei ragazzi si approccino a un linguaggio per strumentisti navigati è di grande stimolo per loro. In più, il pubblico si trova a frequentare dei repertori poco praticati, molto dispendiosi sia in termini di energie sia di montaggio del programma per strumentisti e direttore. Ciò vale anche dal punto di vista delle singole istituzioni, le quali devono impegnare sostanze e risorse per programmi così di nicchia e selettivi. Per queste ragioni, una musica del genere non viene mai, o difficilmente, frequentata. La Sonatina di Strauss equivale a un poema sinfonico, sono trentacinque minuti di musica dove i fiati suonano continuamente, entrano in un'autostrada e si trovano alla fine del pezzo. Questo risulta molto più efficace se eseguito da un'orchestra intera per un'istituzione sinfonica o musicale. Si tratta di un repertorio che richiede lo stesso impegno e la stessa fatica di una sinfonia, non risultando certo economico, per noi invece lo è perché ha un valore in più. Gli strumentisti che partecipano a questo laboratorio sono è vero giovani, ma già strutturati: non dimentichi che all'interno del gruppo ci sono persone che già hanno avuto modo di frequentare come aggiunti orchestre anche blasonate. Sono esperienze che hanno un altissimo valore formativo

ADP: Si parla spesso di suono delle orchestre. C'è stato in passato un "suono" Karajan, un "suono" Celibidache, giusto per fare due esempi. Lei ritiene che la creazione di una stoffa timbrica ben riconoscibile possa essere un valido biglietto da visita per ogni compagine? Quali sono le maggiori difficoltà cui si va incontro per ottenerla, pur nel rispetto delle singole individualità dei componenti.

AB: Lo deve assolutamente, diversamente la compagine che suona perde di personalità. Il fatto che questa abbia un suo suono, una sua riconoscibilità è fondamentale per discernerne il colore e l'espressività, questo vale sia per il singolo musicista che per il grande gruppo. È come riconoscere il suono di Pollini da quello di Gould nell'interpretazione, di conseguenza è fondamentale che esista. Naturalmente, le più grandi orchestre del mondo hanno già una loro personalità strutturata che deriva dalla tradizione, per esempio i Wiener e i Berliner Philharmoniker si portano dietro una loro leggenda che è ormai secolare. Per quanto riguarda gli insiemi come il nostro, è tutto da costruire. Lo spirito con cui nasce questo laboratorio è quello di dare delle opportunità e di affrontare certi repertori molto particolari e anche complessi. L'anno scorso abbiamo suonato Stravinsky, quest'anno Strauss, con dei ragazzi che devono costruirsi una loro identità. In questo percorso le difficoltà sono tante perché, come giustamente dice lei, il rispetto delle individualità anche in questo caso è fondamentale e dev'essere valorizzato. È come piantare un seme e innaffiarlo con l'acqua giusta, in modo da poter creare un qualcosa che sia riconoscibile e di valore.

ADP: Nel repertorio presentato la sera del 25 agosto è emersa non solo una fantastica qualità d'insieme ma anche un'attitudine all'approccio solistico, come richiesto da alcuni frangenti delle partiture. Cosa si rischia e qual è il livello di tensione che s'instaura tra direttore ed ensemble nell'affrontare partiture così complesse come le straussiane?

AB: Questa è una domanda molto sofisticata. Quando un direttore si confronta con un'orchestra dalla tradizione già consolidata, parliamo delle grandi ma anche di quelle di media caratura, lavora comunque con realtà che hanno già una loro identità e acquisisce quei parametri che gli servono per dotare il repertorio di una certa libertà. Prendiamo il caso dello straussiano, questo certamente necessita di doti come l'elasticità, la plasticità, diversamente da quello di Stravinsky, dove la ritmica, la precisione e la sincronia sono già scritte nella partitura. Bisogna riuscire a creare nei ragazzi la consapevolezza di un certo modo di suonare e chiaramente questa musica, nella grande elasticità degli interventi solistici, che sono molto complessi e articolati, così come lo è la partitura, richiede un elevato grado di confidenza con il linguaggio dell'autore. Bisogna riuscire a instaurare quella dimestichezza tale per cui poi si crei la libertà necessaria all'espressività di questa musica. L'anno scorso, con il repertorio stravinskyano, questo problema c'era ma era di minor entità. Il concerto per pianoforte e fiati oppure le sinfonie per fiati dell'autore russo sono molto "dattilografici", dotati di uno spiccato stile percussivo del pianoforte. Con Richard Strauss, una delle maggiori difficoltà che ho avuto nel montare il programma è stata proprio quella di creare la coscienza nel gruppo di giovani strumentisti, valenti dal punto di vista strumentale, di un certo modo di suonare. La tensione è tanta perché durante il concerto, ma anche nelle prove, mentre nei professionisti c'è una notevole esperienza alle spalle, nei giovani questa è ovviamente minore. Il direttore che lavora con compagini professionistiche può allora concentrarsi sulla musica pensando all'idea generale dell'opera, con i ragazzi invece bisogna sempre stare all'erta poiché qualsiasi slittamento può essere interpretato, proprio a causa della mancanza di esperienza pregressa, in modo diverso e con delle reazioni differenti. La prova parte e arriva a uno stadio di crescita progressivo, sino a quando il grado di confidenza è tale da rendere tutto più agevole, in questo caso basta un cenno o uno sguardo del direttore per avere una determinata risposta nell'ensemble.

ADP: Lei si è dimostrato un direttore dall'esemplare chiarezza di gesto, palpabilissima era la "corrente elettrica" che scorreva tra lei e gli strumentisti. È un dato fondamentale per emozionarsi reciprocamente, comunicando questo stato d'intensa partecipazione anche al pubblico?

AB: Assolutamente si. La capacità di comunicare e di esprimere in questo lavoro è fondamentale. Diversamente, o si batte il tempo o vengono fuori delle esecuzioni parecchio piatte. Io, visto che questa è una domanda molto personale, vedo il direttore come l'anello di congiunzione tra il testo scritto è il pubblico. Nel concerto del 25 agosto suonavamo di fronte a un pubblico molto competente, selezionato, e questo è di grande soddisfazione. Spesso però non è così e la responsabilità del direttore d'orchestra è quella di riuscire a interpretare al meglio la partitura, comunicare la propria idea a chi sta suonando, cioè musicisti altrettanto validi ma che leggono la loro parte e hanno bisogno di essere coinvolti e convogliati verso la propria idea interpretativa, la quale dev'essere poi automaticamente trasmessa al pubblico. Perdere la percezione e l'attenzione dello spettatore è la cosa peggiore che un direttore o un orchestrale possa provare su un palcoscenico. Il pubblico va raccolto, convogliato e portato sino in fondo. Questo è possibile ottenerlo soltanto se la tensione tra il direttore d'orchestra e gli elementi della compagine rimane alta.

ADP: Può raccontarci il percorso artistico che ha seguito questo ensemble di fiati e come lei ha vissuto il suo nascere, crescere e affermarsi?

AB: Questo ensemble nasce all'interno del Conservatorio di Milano dall'idea di costituire un laboratorio dedicato alla musica per fiati, considerata nel suo repertorio meno frequentato, ma anche per l'acquisizione, didatticamente parlando, di un modo di suonare e di un certo tipo di approccio alla musica. Non è un caso se l'anno scorso abbiamo affrontato un repertorio monografico stravinskyano, dove l'avvicinamento diretto alla ritmica e all'essenzialità di questa musica porta allo sviluppo di certe competenze, adatte a superare precipue difficoltà. Quest'anno ci siamo invece dedicati a un qualcosa di assolutamente diverso, molto più plastico nonché elastico, con l'acquisizione di un linguaggio differente che implica un altro modo di suonare. L'obiettivo artistico è sempre di stampo laboratoriale, teso a offrire delle possibilità di miglioramento di allievi, per'altro selezionati, non i primi o gli unici che si presentano ma quelli che si possono permettere di affrontare un repertorio del genere. Per conquistare uno "step" in più occorre tuttavia fare delle proposte che abbiano un valore aggiunto

ADP: Il direttore Alessandro Bombonati è aperto alle istanze, agli eventuali pareri dei suoi orchestrali?

AB: Assolutamente si perché io intendo la musica come un qualcosa da fare insieme. Il direttore d'orchestra chiaramente dirige e detta la sua linea interpretativa, che può essere più o meno profonda (da questo non si può prescindere). Se vogliamo parlare del nostro concerto qui all'Amiata Piano Festival, nel secondo tempo della sonatina c'è una strumentazione che non ho mai trovato nel repertorio straussiano, pur avendone fatto molto in vent'anni: un raddoppio all'unisono di flauto, oboe e clarinetto. La proposta che è venuta dagli stessi allievi, sulla quale abbiamo lavorato insieme è stata quella di identificare un nuovo strumento, cioè un grande canto lirico formato dalla fusione dei tre strumenti, che diventavano uno nuovo, e non semplicemente l'idea di avere tre sovrapposizioni, tre linee all'unisono, omoritmiche, prodotte da tre strumenti diversi. La confidenza nel montaggio e l'interpretazione di un brano sta anche nella collaborazione con gli strumentisti. Si tratta sempre e comunque di un valore aggiunto.

ADP: Maestro, mi consenta un'ultima domanda a coronamento di quest'intervista. Nell'attività direttoriale quanto conta l'istinto e quanto un metodico studio?

AB: Non si può dividere in percentuali, tutte e due sono parti fondamentali della nostra professione. Non si può prescindere dall'istinto di un musicista perché è la natura che guida la "performance", cosa diversa dalla prova. Quando si suona su un palcoscenico nel momento del concerto, si manifesta una vibrazione in più rispetto alla fase di studio e lavoro sulla partitura, che per'altro può essere altrettanto comunicativa e tensiva. Lo studio preliminare, non solo tecnico ma anche interpretativo, è quello che supporta poi l'idea musicale. Nulla deve essere fatto a caso ma tutto deve avere una giustificazione ed essere basato su un pensiero logico, il quale può partire o da un
'espressività del momento musicale o anche dalla forma. Ogni brano ha la sua, insieme a una peculiare architettura che dev'essere coerente dall'inizio alla fine, in un risultato che si può ottenere solo se alla base c'è un'analisi compositiva del pezzo molto profonda. Una concezione a monte che detta le regole dell'interpretazione. Ecco perché quelle di grandi direttori alle prese con opere celebri sono così diverse tra loro, sgorgate da studi, letture di tipo differente ma anche da nature che lo sono altrettanto. Penso ad Abbado, a Kleiber, Muti, che nel repertorio beethoveniano hanno approcci diametralmente opposti. Sono letture diverse mediate da nature discordanti. Questo è il bello della musica, che può essere fatta in modi disparati e altrettanto validi.

Alfredo Di Pietro


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