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mercoledì 15 maggio 2024 ..:: APF 2018 - Introduzione ::..   Login
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 AMIATA PIANO FESTIVAL 2018 - STORIA DI UN SOGNO REALIZZATO Riduci


 

 

 

 



Sabato 28 luglio, ore 16,15, un appuntamento importante mi aspetta, quello con Maurizio Baglini, direttore artistico dell'Amiata Piano Festival. Non sono ancora svanite in me le singolari emozioni suscitate dal concerto di David Helbock con il suo "Piano Jazz", tenutosi il giorno precedente, mi accompagneranno ancora per parecchio tempo, proprio come un EBow prolunga la vibrazione di una corda. Sono nel territorio di Poggi del Sasso, nella provincia di Grosseto, a una distanza di circa otto chilometri dal comune di Cinigiano (di cui il paesello è frazione) e a poco più di trentacinque dalla provincia. Gironzolo, con la mia fida Panasonic Lumix appesa al collo e il voice recoder Sony in tasca, nei pressi di questo suggestivo borgo di origine medievale, sorto sotto la potente famiglia degli Ardengheschi. Oggi conta solo poche decine di abitanti ed è posto nella valle del fiume Ombrone tra Paganico, Campagnatico e Cinigiano. Come al mio solito arrivo di buon ora sul posto (chi mi conosce sa che odio fare tardi agli appuntamenti), in un clima estivo letteralmente arroventato. La bellezza della natura che mi sta intorno sembra attenuare gli afrori, ogni tanto una folata di vento mi accarezza, sembra quasi fermo il tempo in quest'incanto. Arrivo talmente presto che ho il tempo di recarmi nell'agriturismo Colle Massari a Montecucco, dove scatto diverse foto. Una bellissima tenuta mi si offre alla vista, dove tutto è curato meticolosamente, dall'erba del grande prato alle facciate rustiche del gruppo di edifici e della Villa Padronale. Vivono come splendido esempio delle antiche fattorie maremmane.

 



Al centro del vecchio borgo di questa proprietà terriera si alza la Chiesa di San Pietro e Sant'Antonio Abate. Mi prende la voglia di lasciar perdere l'incontro e soffermarmi a lungo in questo luogo ameno. Nonostante il caldo terribile vorrei rimanere lì sino a vedere il sole calare e poi scomparire all'orizzonte, ma non posso. Mi rimetto in auto e, dopo pochissimi minuti, arrivo sul luogo dell'appuntamento, il Podere San Giuseppe di Colle Massari, dove vengo accompagnato da una gentilissima amica. Confesso di sentirmi un po' emozionato quando Maurizio Baglini esce dalla Sala Musica per tendermi la mano. Tante volte ho visto e sentito il pianista pisano, ma in ognuna ha prevalso la mia timidezza, accentuata dal grande carisma che sprigiona l'uomo, ancor prima che l'artista. Per meglio comprendere la scaturigine dell'Amiata Piano Festival, giunto quest'anno alla quattordicesima edizione, la memoria deve necessariamente andare a un personaggio storico di riferimento: Gaio Cilnio Mecenate (68 a.C. - 8 d.C.). A seconda dell'epoca il termine di mecenatismo ha, pur nell'immutato significato di sostegno economico offerto agli artisti da signori, aristocratici e possidenti, assunto delle differenze dettate anche dal peculiare clima culturale. Così nell'antichità, quegli artisti che avevano goduto della possibilità di produrre e dare visibilità alle proprie opere, ricambiavano i benefici avuti rimettendo la propria arte al servizio del potente di turno, il quale a sua volta godeva così di un accresciuto prestigio.

 

Forum Bertarelli



Nel Rinascimento italiano tale fenomeno fu legato al concetto di "magnificenza". Significativo è l'esempio dell'antica famiglia fiorentina dei Medici, patrocinatrice di numerosi artisti che davano lustro alla nobile casata. Con un salto di oltre otto secoli, in epoca contemporanea la tradizione è proseguita con figure come Peggy Guggenheim, creatrice della nota collezione d'arte in Europa e in America. Ma gli esempi si potrebbero moltiplicare. L'illuminato principio torna a pieno a titolo anche nella realtà di questo Festival, dove però il musicista perde quella connotazione di asservimento al potente avuta nel passato, per riconquistare una dignità e riconoscimento senza vincoli. In questo senso i due mondi dell'arte e del generoso "soccorso" all'artista, che altrimenti rischia di rimanere inascoltato, decorrono paralleli. Ogni intervento di sostegno assume allora la valenza di una necessità nell'attualità e di una rinnovata attualità nella necessità, come forma d'investimento di risorse economiche finalizzate all'edificazione di un qualcosa di sublime. Ma ritorniamo all'assolato pomeriggio di sabato 28 luglio... Giungo di fronte al Podere San Giuseppe, l'unica parentesi architettonica appartenente all'azienda di Colle Massari, di fatto proprietà della famiglia Tipa-Bertarelli con la sua Fondazione, che non era stata progettata da loro nell'ambito del recupero territoriale del Montecucco. In realtà apparteneva a un altro produttore di vino, che all'inizio collaborava con i concerti domestici degli esordi. In seguito Claudio Tipa ha comprato questo podere allo scopo di creare una continuità territoriale.

 



La nostra conversazione inizia all'aperto, a un certo punto il maestro mi indica il Castello di Colle Massari, si staglia in lontananza quest'imponente complesso edificato in epoca medievale, originariamente possedimento dell'abbazia di San Galgano presso Siena. Nel corso dei secoli la struttura venne riconvertita in un convento, successivamente divenendo proprietà privata e, nel tardo XVII secolo, fu ristrutturata dai marchesi Patrizi che la trasformarono in una fattoria fortificata. Nel tempo andò purtroppo incontro a qualche disavventura: nel XIX secolo la torre sud-orientale subì un crollo, dovuto a uno smottamento del terreno e oggi se ne possono vedere soltanto delle tracce. In questo contesto pregno di storia e natura immacolata si affacciò, nel 2005, la prima edizione dell'Amiata Piano Festival, all'inizio con carattere itinerante, grazie alla fervida iniziativa dei fondatori Maurizio Baglini e Stefan Giesen. Galeotto fu un garage di Castel del Piano, l'ultimo comune che s'incontra prima di ascendere alla vetta del monte Amiata. La manifestazione esordì con un taglio "domestico", realizzata quasi informalmente grazie all'apporto in via di favore di amici. Successe però una cosa destinata a segnare il suo corso, come quello credo dell'intera vita musicale del nostro paese (e oltre). Durante il concerto Baglini conobbe Claudio Tipa, zio di Ernesto Bertarelli, noto imprenditore italiano naturalizzato svizzero. Una presenza che subito gli apparve come potenzialmente importante dal punto di vista economico.

 

Chiesa di San Pietro e Sant'Antonio Abate



In realtà tutto partì sotto i migliori auspici, nell'ambito dei concerti organizzati nel garage fu anche registrato un disco per la rivista Amadeus. Già però dal 2006 la Sala Musica del Podere San Giuseppe fu l'unica sede del Festival, a eccezione dei quattro concerti agostani che invece si svolgevano nella Cantina di Colle Massari. La vedo in lontananza, tra i rami di un albero, sempre indicatami dal direttore nel corso della nostra passeggiata all'esterno. Decisiva fu quindi la svolta verificatasi con la conoscenza di Claudio Tipa, che credette fortemente nel progetto. "I circa novanta concerti andati in onda su Radio RAI 3", racconta Baglini, "a tutt'oggi parte dell'archivio RAI, sono stati registrati qui". Fa un certo effetto oggi, per chi vede il Forum Bertarelli, tornare in questa Sala Musica. Mi sono sentito personalmente lusingato dal suo invito poiché non si può capire l'evoluzione progettuale e sociologica del Festival senza aver visitato questo luogo, non aperto a tutti. "Io credo di avere del talento artistico, Claudio Tipa ne ha uno imprenditoriale e dei mezzi. Bisognava mettere insieme queste due cose e così è stato fatto". Nel 2014 il Festival celebrava la sua decima edizione, quell'anno per l'ultima volta la sede dei concerti fu la Sala Musica del Podere San Giuseppe, la Chiesa della tenuta di Montecucco e la cantina dell'azienda vinicola Colle Massari. Nel successivo, questa splendida macchina da musica, cultura e convivialità si sarebbe spostata nel grandioso Forum Bertarelli.

 



Già ai tempi c'era la degustazione, che avveniva nello spazio antistante alla Sala Musica. Maurizio Baglini guarda assorto le mura del Podere, "avremmo a disposizione anche un altro spazio, dove poter magari ospitare stagisti o studenti di masterclass", dice mentre mi fa da Cicerone, "io sono pieno d'idee però, con un'elevazione così significativa del Festival sarebbe anche poco proponibile annacquare il tutto con queste attività. A me piacerebbe che il Forum lavorasse tutto l'anno, sogno di fare anche dei concerti invernali, perché no un "Lunch Time Concert" alle 13 nelle domeniche di gennaio. Ovviamente la realizzazione non dipende da me. Io posso fornire degli spunti ma poi è la proprietà che decide se concretizzarli o meno". Il successo dell'Amiata Piano Festival ha per certi versi del "miracoloso". Pensiamo al concerto di venerdì 27, protagonista quel David Helbock che mi ha traghettato verso mondi lontani, in cui su trecento posti disponibili ne erano occupati duecento. In proporzione, sarebbe come avere diecimila spettatori a Roma o Milano. Mi conduce nel locale adibito agli uffici, "ormai qui faccio venire soltanto pochissime persone, solo i veri appassionati che possono capire lo sforzo fatto in tutti questi anni". Mi porta in quella che ai tempi era la sala regia, un locale abbastanza piccolo che contiene un tavolo dov'erano collocate tutte le apparecchiature per la ripresa. Sulla parete opposta c'è la porta d'ingresso del bagno, se una persona doveva utilizzarlo era quindi costretta a passare attraverso la sala regia.

 



Un senso di grande tenerezza mi assale nel pensare alla perfetta logistica dell'odierno Forum Bertarelli. "In questo camerino", dice con un tono venato di malinconia, "sono passati eminenti artisti, Andrea Lucchesini, Pietro De Maria...". È avvenuto un qualcosa che forse nessuno poteva prevedere: pensato come azienda vinicola, il Podere San Giuseppe si è trasformato in una sala da concerto, sostanzialmente non dissimile da quella del Festival che si tiene a Schloss Elmau sotto la direzione di Silke Zimmermann. Una "scatola" con un grande rimbombo ma che diventa acusticamente perfetta quando si riempie di persone. "In questa sala", ricorda, "Gianluca Cascioli fece un concerto durato quasi tre ore, la gente soffocava dal caldo perché lui non voleva l'aria condizionata". Mi mostra dei cartelli segnaletici, ordinatamente disposti in un angolo della sala, venivano messi per indicare il luogo dove si svolgevano i concerti. Ci sono anche quelli dell'edizione 2010. "Andavo io personalmente con Silvia (Silvia Chiesa, violoncellista, compagna di Baglini e artista residente del Festival) a piantarli per strada. Li mettevamo ai bivi, da Paganico in poi, per mostrare alla gente in quale direzione andare. Sono convinto che ancora oggi sarebbe necessario avere dei cartelli, però Claudio Tipa dice - giustamente - che se il Festival viene recensito come uno dei "Top Ten" d'Italia, la gente deve trovare da se il posto". Entriamo all'interno della gloriosa Sala Musica, un ampio locale dove in fondo si vede un grande telone nero che riporta il logo dell'Amiata Piano Festival e quello della Fondazione Bertarelli.

 



È messo davanti a una porta e funge anche da schermo al sole. Il pavimento è rivestito di un curatissimo parquet, di legno è anche l'alto soffitto. Claudio Tipa è uno che ha le idee chiare, non vuole assolutamente che il Festival contenga al suo interno degli elementi commerciali. Il vino può quindi essere degustato ma non venduto al pubblico che, se lo desidera, dovrà recarsi presso gli appositi punti vendita. Il direttore artistico si era altresì battuto per un "Bookshop" adibito alla vendita dei CD che però Tipa non ha voluto, come nessun'altra attività commerciale. È un particolare importante che chiarisce come il concetto principe su cui si basa l'Amiata Piano Festival, il suo vero "leitmotiv", altro non dev'essere che quello del mecenatismo. C'è sicuramente, come dicevamo prima, un reciproco vantaggio per le due parti in causa, anche di visibilità, ma tutto viene fatto non per fini meramente commerciali. È un fiume in piena Maurizio Baglini, si accalcano nel suo racconto ricordi, emozioni, vita vissuta in un avvincente "mix" tra passato e presente. "Qui si viene per ascoltare dell'ottima musica. Per'altro noi facciamo pagare un biglietto dal prezzo esiguo, sono stato io però a essermi battuto per un ingresso a pagamento. In fondo diamo dei vini di altissimo pregio, gli snack offerti non saranno magari a livello di un gourmet ma i concerti sono tutti di altissimo livello, per cui è giusto pagare un prezzo. Questo tuttavia può essere compreso solo dagli appassionati o da coloro che fanno musica, che la organizzano".

 

Castello di Colle Massari

Monte Amiata

Il numero di concerti e registrazioni fatti nella Sala Musica dal 2006 al 2014, tocca circa quota novanta. Quattro erano gli annuali (gli agostani) tenuti nella stupenda cantina di Colle Massari, dove le botti fungevano da camera acustica, con la controindicazione però di essere un luogo molto freddo e oltremodo umido, come d'altronde è giusto che sia una cantina. Una sera Claudio Tipa disse a Silvia Chiesa che la location era si molto bella, ma piuttosto fredda e umida, lei di rimando confermò quest'impressione, rimarcando il dato dell'eccessiva umidità, che di certo non faceva bene agli strumenti. "E quindi come si potrebbe ovviare?", chiese Tipa, e Silvia: "Il nostro sogno nel cassetto è suonare in un auditorium". "Lo avrete", affermò allora lui perentoriamente. C'è una foto scattata il primo settembre 2013 che ritrae la violoncellista milanese mentre suona il suo Giovanni Grancino sulla prima pietra del Forum. A novembre del 2014 fu fatto il test acustico all'interno dell'auditorium. Il primo concerto con l'Orchestra è stato fatto con la Camerata Ducale, l'insieme strumentale della stagione concertistica Viotti Festival di Vercelli, diretta da Guido Rimonda. Il giorno della mia visita, il violinista saluzzese era presente nella Sala Musica insieme a sua moglie, la pianista Cristina Canziani, mentre le note emesse dal violino della loro figliola Giulia effondevano nell'aere di quella che è stata ribattezzata come sala prove. La rinnovata sede del Festival ha rappresentato un'occasione per aprire anche un nuovo filone discografico, sostenuto dall'etichetta Universal-Decca, intitolato "Live Amiata Piano Festival.

 

Podere San Giuseppe

La prima uscita è stato il CD "Franz Joseph Haydn Concertos", a brevissimo ne sarà pubblicato un altro con il Quartetto della Scala e Maurizio Baglini impegnati nell'interpretazione del quintetto di Schumann, nella registrazione c'è pure Silvia Chiesa, che suona nel quintetto di Schubert con due violoncelli. Si è quindi creato una sorta d'indotto artistico, non a tutti riservato, favorito dal direttore della divisione Universal Music Italia, Mirko Gratton, che ha dato la possibilità al direttore artistico di vedere il proprio Festival immortalato su disco. "È un punto di svolta", afferma, "dopodiché, sia quando eravamo qui che adesso non miro a fare il personaggio famoso, senza per carità denigrare lo star system. Noi paghiamo dei cachet di mercato, anzi spesso sottomercato, paradossalmente in una fondazione che può investire molti soldi, perché è l'ospitalità che conta. Il nostro primo proposito è far sentire coinvolto e parte del progetto chi partecipa al Festival. Non si viene come da tariffario e non tratto con gli agenti". È molto chiaro su questo punto Maurizio Baglini: chi viene all'Amiata Piano Festival deve credere innanzitutto in un progetto nell'ambito di un discorso comune. È ovvio che il lavoro va nobilitato e remunerato, ma è importante che gli artisti possano credere nel "miracolo" del Festival. "Chiamare qualcuno che pensi di venire qui per fare un concerto come tanti altri altrove non c'interessa, e parlo anche a nome della Fondazione. L'artista deve andare via contento e con la voglia di tornare".

 



La sera del 27, il concerto "Piano Jazz" con David Helbock ha ricevuto una splendida recensione sul giornale La Nazione da parte di Michele Manzotti, il quale "esecra" il comportamento di coloro i quali non sono venuti a sentirlo. "La gente è libera di scegliere ma deve scomparire il concetto che si va a sentire solo ciò che si conosce. Bisogna fidarsi perché quando negli archivi di Radio RAI 3 sono contenuti oltre cento concerti fatti all'Amiata Piano Festival (e andati in onda), nel momento in cui c'è una rassegna stampa che conta ottomila pagine scritte da giornalisti specializzati, bisogna fidarsi e accettare di andare al buio". Questi sono i contorni di un sogno donchisciottesco. "Io e Silvia non abbiamo figli ma questo Festival è realmente un nostro figlio", dice orgoglioso Maurizio Baglini. Un sogno nel sogno sarebbe poi portarlo nelle capitali europee. Nel giro di due anni, in qualità di suo ambasciatore vorrebbe farlo arrivare al Gasteig di Monaco di Baviera, al Victoria Hall di Ginevra. "Sto capendo che lo star system è completamente inutile in quanto deciso da altri. È ovvio che non rifiuterei la proposta di uno Yo Yo Ma che volesse venire a suonare all'Amiata, ma non lo vado a cercare perché è giusto che lui suoni a New York, Amsterdam e in altri posti simili. Come Guido Rimonda e Cristina Canziani hanno riesumato una vita culturale a Vercelli con il Viotti Festival, io ho fatto qui impresa culturale, visto che prima non c'era nulla. Sostanzialmente, non faccio altro che replicare cose che hanno fatto artisti più importanti di me".

 

Sala Musica

Cita F. Mendelssohn-Bartholdy e il Gewandhaus di Lipsia, a titolo di esempio, o R. Wagner con Bayreuth. Bisogna trovare la chiave per far capire come esista gente facoltosa che ha l'intelligenza di investire su un progetto e non semplicemente spendere. Si investe soprattutto sulla memoria, quella cosa per cui Claudio Tipa passerà alla storia grazie al suo auditorium, il Forum Bertarelli. Per farlo però occorre avere una sensibilità culturale. Tornando al CD che apre la collana "Live Amiata Piano Festival", quanti dischi esistono con tre concerti solistici registrati dal vivo nella stessa serata e dello stesso autore? Il richiamo ad Haydn e alla Corte degli Esterházy vuol essere un ideale parallelismo messo in atto per far comprendere cosa può fare oggi Maurizio Baglini con la Fondazione Bertarelli. Nei nostri giorni il concetto di mecenatismo va riattualizzato, qui diventa impresa culturale. Il primo rapporto di collaborazione tra Maurizio Baglini e Claudio Tipa fu di fargli da ambasciatore del suo vino a Kyoto, in un concerto tenuto alla Kyoji Hall nel Natale 2005. "Mi dia fiducia", disse Baglini a Tipa, "faccio io da tramite affinché il suo vino sia bevuto a Tokyo". In quel momento il pianista pisano era particolarmente presente e popolare in Giappone. Va costantemente oltre con la mente mentre parla, quasi insofferente a ogni staticizzazione del discorso, in una sorta d'irrequietezza progettuale e vitalistica da cui traspare tutta la sua grande energia. "In questo momento sto provando ad aprire una sinergia con un grande festival vinicolo americano, perché il mercato lì è diverso dal nostro".

 



Vedere la Sala Musica fa capire cos'è l'Amiata Piano Festival e io sono estremamente contento di aver ricevuto da un amico speciale come lui questo regalo. Un bel complimento lo fece Mario Brunello quando, in occasione di un suo concerto nella Cantina di Colle Massari, affermò che non era a Bayreuth ma forse era questo che doveva essere come l'Amiata Piano Festival. Possiamo con certezza affermare che non sono molte le realtà private italiane in grado di nutrire un progetto squisitamente musicale come fonte di attività produttiva e sviluppo turistico di un territorio. Il binomio APF-Fondazione Bertarelli è riuscito a realizzare un proponimento a mio parere molto ambizioso: conciliare le istanze artistica e imprenditoriale in un mutuo vantaggio, senza che tuttavia in nessun modo l'una influenzi direttamente l'altra. Il momento profondo, eminentemente spirituale dell'evento musicale, non ha perso i suoi connotati, esattamente com'è avvenuto per quello più conviviale. Dopo l'interessante "chiacchierata" con Maurizio Baglini, oggi più che mai sono convinto che fondamento del festival amiatino è proprio il concetto di mecenatismo, potente motore di sviluppo che ha costantemente nutrito il prestigioso evento, portando alla creazione, tre anni fa, del Forum Bertarelli di Poggi del Sasso quale sede unica dei concerti. L'accresciuta capienza dei posti a sedere (trecento), di pari passo con un palcoscenico che oggi può contenere un'orchestra sinfonica, ha necessariamente alzato l'asticella delle possibilità di repertorio, con una rimarchevole ricaduta sulle aspettative da parte del pubblico.

 



La manifestazione musicale, già da tempo elevatasi a dignità internazionale, ha così conosciuto un'ulteriore, naturale evoluzione, consentita proprio dai più ampi spazi e dall'incessante lievitazione del livello artistico. Si è osato sempre più con una programmazione coraggiosa la quale, se da un lato può forse scontentare il pubblico più tradizionalista, dall'altro va a vantaggio dell'abbattimento dei compartimenti stagni. Al di là di queste pur doverose considerazioni, allo spettatore quello che rimane è un inconfondibile retrogusto che lo porta a voler ritornare. "Emozioni" è una sola parola che compendia, in buona sostanza, ciò che riceve chi ha la fortuna di poter assistere ai concerti dell'Amiata Piano Festival.

 

Cantina di Colle Massari

 



 

INTERVISTA A MAURIZIO BAGLINI



Alfredo Di Pietro: Maestro, quando e con quali criteri nasce la sala prove dell'Amiata Piano Festival?

Maurizio Baglini: Nasce nel 2006, non come sala prove ma come sala da concerto. A partire quindi dalla seconda edizione del Festival sino al 2014 questa è stata la sede ufficiale, eccezion fatta ogni anno per i quattro concerti di fine agosto, che avevano luogo nella Cantina di Colle Massari. Si affaccia con il proposito di favorire lo studio e l'ascolto della musica in un posto dove l'unico tipo d'interferenza acustica possono essere i suoni della natura, il cinguettio degli uccelli, il movimento dei grilli o delle lucertole nella vegetazione circostante. Un "casus" di geolocalizzazione unico al mondo.

ADP: In musica le buone idee devono sempre essere supportate da un adeguato lavoro per essere realizzate. L'appassionato che siede in una sala da concerto forse non sempre ha contezza di quanta fatica ci sia a monte di un progetto. Può aiutarci a cogliere meglio questo aspetto?

MB: Posso dire che Silvia Chiesa e io, in qualità d'ideatori e creatori del Festival, lavoriamo per questo realisticamente almeno duecentottanta, trecento giorni all'anno e questo per quattordici concerti. Lavorare vuol dire affrontare la giornata in cui fai solo una telefonata o una mail, a quella in cui fai un'intervista o a un'altra che ti vede per dieci ore dietro un tavolo al computer per costruire un progetto. Questo perché cerchiamo di non prendere mai cose che già esistono ma ci piace costruirle "ad hoc". Adesso stavo parlando con dei colleghi, amici con cui collaboriamo spesso, su cosa fare qua che non venga fatto altrove e che poi magari viene esportato. Il mio interesse è fare da ambasciatore dell'Amiata Piano Festival, dove io non prendo delle idee che già esistono, tanto è vero che dico agli agenti di non voler parlare con loro, non perché li abbia in antipatia o voglia fare una crociata contro essi in quanto categoria professionale, ma perché esigo che siano disponibili a capire la mia "visionarietà". Questo è per me un elemento di primaria importanza. Come fai ad avere trecento paganti in un posto in cui il centro abitato più vicino è una frazione di trenta abitanti, Poggi del Sasso, che dista sette chilometri dal Forum, mentre la provincia più vicina è Grosseto, la quale è lontana cinquanta chilometri? Siamo nel comune di Cinigiano, il paese più vicino su cui si possa fare conto è lontano trentacinque minuti di automobile. Le strade sono piene di curve, spesso dissestate perché magari d'inverno nevica. Siamo veramente isolati e questa è proprio la forza del progetto originale, che in una città non avrebbe senso. Non pretendo che tutti si rendano conto di questa realtà, però mi piace raccontarne non solo la storia ma constatare che per i veri appassionati, i cultori della musica d'arte che vengono a passare le vacanze qui apposta per vedere il Festival, sino al neofita che si avvicina per la prima volta a un auditorium, ci sia sempre lo stesso grado di soddisfazione e contentezza all'uscita da un concerto. Nella programmazione di quest'anno si spazia in quattro, cinque secoli di musica; l'anno prossimo voglio provare a introdurre quella composta nell'alto medioevo con autori come Orlando Di Lasso o addirittura gli anonimi. Stavo pensando ai Carmina Burana, che non sono solo quelli di Carl Orff, oppure la musica bizantina, gli ottomani prima dell'anno mille. La voglia di sperimentare è tanta, sicuramente si sarà notato come la programmazione propone serate altamente contrastanti tra loro e questo per soddisfare un pubblico eterogeneo. L'anno scorso ci furono due serate consecutive dedicate ai giovani, sotto il format Amiata Music Master e una tutto sommato aveva a cannibalizzato l'altra. David Helbock, che ha suonato il 27 luglio, è stato artista dell'anno al Festival di Montreux ma in Italia non aveva mai suonato da solo.

ADP: Lei suona il pianoforte da sempre. Farlo è un normale gesto di ogni giorno o quando si siede davanti alla tastiera sente l'esigenza di un approccio mentale speciale e diverso dalla quotidianità?

MB: A parte il piacere e la gratificazione che ne ricevo, il fatto di non poterlo fare quando sono in viaggio o perché occupato in altre cose è purtroppo è un dato di fatto che mi dispiace molto. Non ci si siede al pianoforte solo con l'idea di un lavoro ginnico in senso intrinseco ma, fondamentalmente, la comunicazione dei sentimenti esige un lavoro intellettuale dietro. Direi quindi che la seconda ipotesi è più calzante.
 
ADP: Ogni volta che un artista interpreta una composizione si crea un qualcosa di diverso e mai detto prima. Concorda con quest'affermazione o piuttosto ritiene che una visione costante, per certi versi consuetudinaria, possa mettere al riparo da certi rischi?

MB: No, in questo sono proprio schumanniano. Credo che l'abitudine a ciò che già si conosce sia la cosa più stupida, come eseguire un'opera in un certo modo perché la si è sempre fatta così. Nella vita io sono curioso e vorrei inculcare negli altri questa qualità. È troppo facile continuare a crogiolarsi in cose che si conoscono. Poi, per carità, ci devono essere anche lo spazio e la gratificazione di chi magari ha sentito la nona di Beethoven solo in una pubblicità e gliela fai riascoltare. Questa logica dello sbigliettamento che sta imperando e che poi influenza le tabelle delle assegnazioni, delle sovvenzioni o altro, può e deve essere scardinata. C'è gente che riesce ad avere un reperimento di fondi importante anche facendo cose molto più innovative, però bisogna avere la forza e anche il coraggio di crederci. Se vuoi andare a nord vai in quella direzione, non puoi ogni tanto ripensarci e avere un'ipocrita unanimità che ti porta a sud.

ADP: Per quanto possibile, le chiedo una rapida retrospettiva sulla sua intensa attività di concertista e direttore artistico dell'Amiata Piano Festival insieme a Silvia Chiesa. Nel corso degli anni la sua percezione del pubblico, il contatto con esso sono cambiati?

MB: Sicuramente. Io incoraggio tutti i giovani a diventare anche organizzatori, perché stare dall'altra parte t'insegna a essere molto più comunicativo. Credo che la cosa più retriva e diseducativa sia quella di guidare i giovani a studiare unicamente per un'eccellenza di rifinitura esecutiva, che rimane poi effimera perché dobbiamo poi sostanzialmente diffondere emozioni. Il concetto imprenditoriale, il potersi sedere in consiglio di amministrazione, capire quale sia la differenza tra spesa e investimento, fra energie profuse e ritorno diretto e indiretto, è fondamentale per imparare a suonare meglio. Io sono abbastanza settario in questo ma non per intolleranza, ognuno ha il diritto di fare quello che crede, però se si parla di selezione naturale per la carriera non si può non tener conto di certe esperienze. A volte si dice che un certo interprete non fa carriera perché ha un brutto carattere, perché invece non si può dire che non la fa in quanto non si è mai cimentato in cose di questo tipo? Non quindi per ragioni, come dice il becerume, di network e "scambismo". Queste sono solo dinamiche riservate ai mediocri, lo scambio lo fa solo quello che non avrebbe ragione di esistere. È un concetto diverso dalla sinergia; quella vera fa si che quando Mendelssohn fondò il Gewandhaus chiamò Robert, Clara Schumann e Franz Liszt ad aiutarlo. Io non sono purtroppo Mendelssohn, né tantomeno Schumann o Liszt ma posso avere dei colleghi pari grado che hanno voglia di avere lo stesso rischio imprenditoriale perché poi ci metti la faccia. Per me è fondamentale che la gente abbia la percezione di cosa voglia dire suonare Telemann sugli strumenti antichi e perché questo compositore, una volta così importante e contemporaneo di Händel, oggi sia stato fagocitato da Bach e Vivaldi. Il musicista che pensa solo a se, nella società di oggi è fallimentare perché, a meno di non avere dietro un apparato che lo sostiene, gli mancherà sempre qualche cosa. A volte negli anni mi sono preso anche insulti e critiche molto pesanti di gente che magari non era contenta di un programma. Allora bisogna avere la pazienza di spiegare cosa stai facendo. Così spesso le persone che sono state detrattrici in fase di "shock", durante cioè la proposta di autori contemporanei o del '900 storico poco accessibile, sono poi diventate le persone di maggior sostegno per me. Devi anche saperti mettere in discussione. Ovviamente noi come generazione paghiamo dazio per quello che era il clima negli anni '60 - '70 - '80, quando si diceva allo spettatore di non andare ai concerti se non capiva o conosceva, oppure applaudiva nel momento sbagliato. Tutte queste cose hanno creato la fuga totale di un pubblico che ora è difficilissimo recuperare. Se invece lo contestualizzi in frangenti di questo tipo puoi, attraverso per esempio la natura incontaminata della maremma grossetana, avvicinare a Telemann delle persone che magari neanche sanno chi sia. Tuttavia, a fine serata chi uscirà dal Forum sarà consapevole di chi era questo compositore e, anche se non sarà riuscito a memorizzarlo, avrà fissato nella mente un fattore sensoriale.


Alfredo Di Pietro

Agosto 2018


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