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domingo, 03 de noviembre de 2024 ..:: Luca Ciammarughi - Rameau - Saint-Saëns ::..   Entrar
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 Luca Ciammarughi - Rameau Dans Le Miroir De Saint-Saëns Minimizar


 

 

 

Tra i non pochi spunti d'interesse che questo CD offre c'è l'instaurazione di un parallelo nient'affatto avventato tra due grandi musicisti francesi, Charles Camille Saint-Saëns e Jean-Philippe Rameau. Partiamo dal secondo, nel rispetto di un ordine cronologico, denotandone innanzitutto l'ecletticità, visto che fu compositore, clavicembalista, organista e teorico della musica. Di capitale importanza fu il suo "Traité de l'harmonie reduite à ses principes naturales", su cui si fondano la concezione tonale, la teoria degli accordi e dell'armonia moderne, un'opera in realtà anteriore alla sua attività come compositore di musica per il teatro e che lo qualificò nella doppia veste di teorico e musicista. Collaborò con Voltaire alla realizzazione di alcune opere, senza dimenticare che fu uno dei protagonisti della nota "Querelle des bouffons", in opposizione a Jean-Jacques Rousseau e altri musicisti e teorici, una polemica divampata nel 1752 a causa dell'antagonismo tra la Tragédie Lyrique e l'Opera buffa italiana. Teorico, ma anche affermatosi come filosofo. Nonostante la grande importanza che riveste nella storia della musica la sua produzione teatrale, questa fu progressivamente dimenticata, sino all'avvento della "Rameau-Renaissance". Non fu certamente da meno Saint-Saëns, che si mostrò ancor più versatile di Rameau, lasciando il segno non solo nella musica ma anche in diversi altri ambiti. Talento precocissimo, all'età di tre anni sapeva già leggere e scrivere imparando il latino quattro anni più tardi, a soli cinque anni tenne il suo primo concerto. Personalità estremamente poliedrica, sin da piccolo si dedicò allo studio della geologia, dell'archeologia, della botanica e di quella branca dell'entomologia che s'interessa dei lepidotteri.

Pure eccellente matematico, affiancò all'attività di compositore, esecutore e pubblicista musicale, anche quella di discussione con i migliori scienziati d'Europa. Scrisse approfonditi articoli in materia di acustica, scienze occulte, decorazioni nel teatro dell'antica Roma e strumenti antichi. Si spinse sino a scrivere un'opera filosofica, "Problèmes et Mystères", mentre sul versante letterario pubblicò un volume di poesie intitolato "Rimes familières" e la commedia farsesca "La Crampe des écrivains". Fu anche membro della Società Astronomica di Francia, tenne conferenze sul tema dei miraggi, possedette un telescopio costruito secondo sue precise indicazioni e giunse addirittura a progettare concerti in corrispondenza di eventi astronomici, come le eclissi di sole. Incredibile davvero la diversità di vedute di questo genio. Ma in questo CD si va oltre il mero parallelo, poiché una linea ideale di collegamento viene tracciata tra l'autore barocco e "il più tedesco di tutti i compositori francesi", sulla base non solo della loro rispettiva ecletticità e azione innovatrice in musica, di cui ho già detto, ma anche per il fattivo intervento di revisione che Saint-Saëns intraprese sull'Opera Omnia di Rameau, poi interrotto dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1924. Una vicenda raccontata con dovizia di particolari da Luca Ciammarughi nelle note di copertina, in tutta evidenza scaturigine stessa di questo progetto discografico. Fu proprio Saint-Saëns a realizzare la prima edizione completa delle Pièces de Clavecin, profilando quella "Rameau-Renaissance" che fu promotrice della riscoperta dei tesori barocchi, coperti dalla polvere del tempo. Un progetto editoriale di ampio respiro, purtroppo arrestatosi al diciottesimo volume a causa della morte del curatore, che vedeva il coinvolgimento della casa editrice Durand.

Si narra che il suggerimento per tale lavoro partì dal compositore Alberic Magnard, il quale si lamentò sulle pagine del Figaro della mancanza di un'edizione completa e corretta delle opere di Jean-Philippe Rameau. La Durand Editions Musicales gli diede ascolto, affidando il compito a Camille Saint-Saëns, in considerazione della stima che questi nutriva nei confronti del "padre" della musica francese. Opera certamente provvidenziale in quanto impegnata a eliminare gli inopportuni interventi di correzione fatti da altri curatori coinvolti nel progetto. È sottesa una logica al grande affresco raffigurato in quest'album, che possiamo vedere come una sorta di "fabula" fatta di precisi tasselli: gli avvenimenti che compongono la narrazione, ordinati secondo dei rapporti che obbediscono a una "ratio" interiore. Così il brano d'esordio è "La Dauphine", scelto perché inizia con un ritmo di ouverture alla francese, dove troviamo delle figurazioni puntate (le "notes inégales"), pregno di quella maestosità che Luca Ciammarughi riteneva adatta ad aprire il disco. In tal modo viene assicurato all'ascolto quel contrasto di affetti che fa risaltare ancor più il carattere introspettivo, intimistico dell'Allemande che segue. Le danze vengono dunque aperte da "La Dauphine", prima traccia e ultimo brano per clavicembalo composto con certezza da Jean-Philippe Rameau. Un un pezzo isolato, non facente parte di alcuna collezione e suonato nel 1747 in occasione del matrimonio del Delfino di Francia con Marie-Josèphe de Saxe (divenuta così "Dauphine"). È intriso di una forte tensione drammatica, che il nostro pianista restituisce intonsa in una lettura ricca di trasalimenti, a tratti scoscesa, tale da richiamare l'azione di una lama acuminata che affonda nella carne viva, più che un mero cimento di estesi ascetica.

Si, perchè l'immagine che si dà del barocco come di una cristalleria al cui interno sono arringati dei delicati preziosi è fondamentalmente capziosa, essendo questa stagione della musica volta alla teatralità e al coinvolgimento emotivo (in tutte le sue variegature) dello spettatore. Alla luce di ciò, non possiamo lasciarci scivolare addosso il fatto che l'opera di Rameau è puntualmente sorretta da una grande attenzione per il valore della sensorialità. E Luca Ciammarughi qui compie un piccolo miracolo, cioè rendere immediatamente comunicativo un messaggio musicale la cui comprensione si crede possa essere agevolata da un ponderoso bagaglio culturale. Ma questa è forse la vera arte, una forma d'espressione che si presta alle più minuziose analisi musicologiche ma la cui evidenza emozionale è tale da colpire con efficacia anche i meno acculturati.  Non possiamo considerare come strettamente monografico questo Rameau Dans Le Miroir De Saint-Saëns, poiché contiene anche un brano di Camille Saint-Saëns, ma è in larghissima parte ramista. Il percorso musicale tracciato dal pianista lombardo prosegue con le due affascinanti Nouvelles Suites de Pieces de Clavecin, in la minore e sol maggiore. Rameau scrisse tre libri di Pièces de clavecin, dedicati al clavicembalo. Il primo (Premier Livre de Pièces de Clavecin) fu pubblicato nel 1706, nel 1724 il secondo, mentre il terzo (Nouvelles Suites de Pièces de Clavecin) ha una data d'uscita piuttosto controversa. Nella sua edizione delle opere (1958), l'editore Erwin Jacobi dette il 1728 come data di pubblicazione originale, seguito da Kenneth Gilbert nella sua edizione del 1979. Ci furono altri che invece indicarono come data reale quella del 1729 o 1730.

Tuttavia, un recente ipotesi, basata sulla residenza di Rameau indicata nel frontespizio (Rue des deux boules aux Trois Rois), ipotizza una data precedente perché la residenza di Rameau era cambiata nel 1728. Alla fine, viene ritenuta come approssimazione più vicina alla data reale quella collocata tra il 1726 e 1727. A parte queste disquisizioni di accademia, rimane il conforto di questa bellissima musica giunta sino a noi. Ai tre libri di Pièces de clavecin seguirono, nel 1741, i Pièces de clavecin en concerts, in cui il clavicembalo poteva essere accompagnato dal violino (o flauto) e dalla viola da gamba o ancora essere suonato da solo. Nelle Nouvelles Suites de Pièces de Clavecin, RCT 5 in la minore e RCT 6 in sol maggiore (inframmezzate dalla Gavotte Op. 23 di Saint-Saëns), Luca Ciammarughi segue gli itinerari danzanti con squisito spirito francese, secondo delle linee di sviluppo morbide, ariose, arricchite da un portamento agogico di grande libertà, evocativo del nascere di un'idea i cui sviluppi vengono inseguiti come il lieve volo di una farfalla. Così scorrono l'Allemande, Courante, Sarabande. Appare diversa, pur nel rispetto di un rigoroso impianto formale, la sua visione dei brani che recano un preciso titolo, suggestivo della fisionomia espressiva che vogliono rappresentare o, talvolta, descrittivi di una figura ispiratrice femminile. Qui il pianista si spinge nella direzione di una maggior caratterizzazione espressiva. Le Trois Mains è un brano che viene affrontato con piglio e brillantezza, affrancato dalle costrizioni formali delle danze. Incantevole è Fanfarinette, brano in 6/8 scritto nella tonalità di la maggiore. Ne La Triomphante viene alla luce molto bene quel carattere arrembante che era nelle desiderata dell'autore, è un'aggressività controllata quella di Ciammarughi, più una luce che si espande in un "continuum" che delle vere e proprie stoccate sonore.

Pregevole in questo brano è il controllo del tocco, nelle crome non legate e nella vivace dinamica. Se La Triomphante richiede all'esecutore delle buone doti di scioltezza, è nella Gavotte et six Doubles che arrivano tra capo e collo le vere difficoltà tecniche, in particolare nelle Variazioni 5 e 6, contraddistinte da veloci note ribattute contenute in quartine di semicrome che passano dalla mano destra alla sinistra e viceversa. Qui la condotta di Ciammarughi è molto avveduta, non esagera con velocità insostenibili e così facendo conserva l'intelligibilità delle note, che possiamo ascoltare senza sbavature in tutta la loro chiarezza. Più che su un accentuato virtuosismo digitale, la sua lettura si basa sulla capacità di emettere colori cangianti, affascinanti anche perchè mediati dalla particolare timbrica dello Steinway & Sons del 1888. Ma è nella Gavotte Op. 23 en do mineur di Saint-Saëns che si verifica la simbiosi di due mondi lontani, uno specchio che in quest'occasione offre un'immagine in simultanea dei due compositori. Ritroviamo in quest'Allegro ma non troppo in 2/4 quel contrasto tra la dimensione del maestoso e dell'intimistico. Il primo si estende, pur con il succedersi di sottili screziature interne, sino alla misura 41, mentre dalla 42 un canto d'infinita dolcezza incede. Tuttavia, l'inquietudine all'approssimarsi del '900 si fa sentire, Saint-Saëns vive tempi ben diversi dal barocco e questo lascia sicuramente il segno in questa composizione, dove i frangenti espressivi non sono più così ben demarcati ma tendono a trascolorare uno nell'altro, a fondersi in uno stato d'animo generatore di ansia. Encomiabile la linea interpretativa tenuta da Ciammarughi, che riesce a contenere nei limiti di un singolare equilibrio ogni circostanza espressiva, oltre a palesare costantemente un gusto sopraffino. Anche l'interpretazione della Nouvelles Suites de Pièces de Clavecin RCT 6 si dimostra ligia ai valori della chiarezza e di una certosina attenzione ai particolari, a tutto vantaggio della comprensibilità di quanto si sta ascoltando.

Ne "Les Tricotets", si ammira la limpida differenziazione tra lo staccato e il legato. L'Indifférente è un brano per certi versi enigmatico, soffuso di una leggera malinconia, intimistico e raccolto. Brano tra i più noti di Rameau, La Poule intende imitare il verso della gallina mediante l'utilizzo di abbellimenti come trilli e acciaccature. Sotto le spoglie di un breve pezzo onomatopeico, s'intravvede un compendio dello stile clavicembalistico francese barocco, per l'appunto caratterizzato dall'uso di numerosi ornamenti. Ciammarughi anche in quest'occasione non dimentica di essere un "fine dicitore", ben temperando l'intento pittoresco con quello descrittivo tramite la tipica raffinata eleganza del suo pianismo. Sono doti che gli riconosciamo e che lo mettono al riparo da eccessive sottolineature o allontanamenti da un misurato senso estetico. Si approda al conosciutissimo Les Sauvages, un brano con dietro una storia che può essere interessante raccontare. Noto in Italia anche come Aria dei selvaggi, questo rondò barocco per clavicembalo è famoso per la sua orchestrazione nel quarto atto dell'Opéra-Ballet Les Indes galantes (Le Indie galanti) del 1736. In detta Opera il brano è citato come Danse du Grand Calumet de la Paix (Danza del gran calumet della pace). Per comprendere la sua genesi bisogna riandare al settembre del 1725, quando Rameau assistette a uno spettacolo nell'Hôtel de Bourgogne di Parigi, nel quale c'erano due irochesi provenienti dalla Luisiana. In quell'occasione vennero rappresentate tre scene: la danza del calumè della pace, la danza della guerra e quella della vittoria.

Durante quest'ultima, un guerriero che indossava un copricapo amerindio, armato di arco e frecce, mise in scena l'inseguimento di un nemico, mentre il suo compagno era seduto a gambe incrociate e suonava una specie di bongo. Due anni dopo il compositore s'ispirò a questa danza per scrivere un rondò, Les Sauvages appunto, che venne poi pubblicato nel libro Nouvelles Suites de pièces de clavecin, come sesto movimento della suite in sol maggiore. Ed è proprio da Les Indes galantes che sono estratti i quattro brani contenuti nelle tracce dalla diciotto alla ventuno di questo disco. Il "Ballets-Héroïques" fu rappresentato a Versailles nel 1735 con l'ausilio di macchinari molto complessi, che permettevano spettacolari effetti scenici. Ma bisogna anche intendersi sul concetto di "Indie", all'epoca comprensivo di un ambito geografico molto ampio, nel quale rientrava anche l'Hindustan asiatico, il Sudamerica, la Turchia. Alla perentoria Air Polonoise (Fièrement in partitura), dove ritroviamo quel ritmo puntato che dà slancio e teatralità alla dialettica musicale, segue la deliziosa Musette en Rondeau (Modéré), una cantilena dagli accenti graziosi e al contempo pensosi, amministrata da Ciammarughi con una spiccata propensione alla poesia, in essa gli accenti estatici vengo sorretti da momenti di rarefazione della materia sonora. La sua parte centrale tocca le corde del commovente. L'Air tendre pour la Rose è un brano in 3/8, tonalità d'impianto si minore, tratto dalla sezione "Ballet des Fleur", pittoresca rappresentazione dei fiori di un giardino; si ritorna a tratti più imperiosi con Air pour les Esclaves africains. Gli ultimi due brani, L'indiscrète e la Livri, sono tratti da Pièces de clavecin en concerts, estesamente Pièces de clavecin en concert avec un violon ou une flûte et une viole ou un deuxième violon, una raccolta di cinque concerti che furono pubblicati nel 1741.

Interessante anche storicamente perché si tratta dell'unica raccolta di musica da camera composta da Rameau in età adulta, come lo è dal punto di vista compositivo per la funzione del clavicembalo. Nei "Concerts", infatti, questo non si limita al ruolo di basso continuo, ma esegue parti sia di accompagnamento sia di passaggi solistici. Chiude il cerchio di questa fantastica escursione nei territori rameauiani La Livri, brano dall'accorata liricità, in grado di perfezionare quell'equilibrio spirituale che concilia la contemplazione con le linee magnetiche del più profondo sentire umano. Un particolare importante: per la registrazione di questo disco pubblicato dall'etichetta MM, in collaborazione con Sony Music, è stato individuato un pianoforte Steinway & Sons del 1888, scelto per la sua particolare timbrica e anche perché alcune fotografie dell'epoca rivelano che Saint-Saëns suonava spesso sugli strumenti prodotti dal marchio newyorkese. Tale preferenza denota quindi la volontà di recuperare determinate sonorità, probabilmente ritenute idonee a ravvivare una musica in origine dedicata al clavicembalo, insieme all'incontrovertibile dato storico della predilezione di Saint-Saëns per questi strumenti. Luca Ciammarughi in questi anni ha saputo ritagliarsi un posto importante nella cultura, lo ha fatto sulla spinta della sua inestinguibile curiosità, amore per l'arte, entusiasmo visionario, conditi con una spiccata signorilità nel suonare, parlare e scrivere. Una raffinatezza ricca di contenuti che non scade mai in una ricercatezza fine a se stessa. La capacità che mostra a unificare nel suo pensiero la musica con altre arti, come la pittura e la letteratura, con frequenti addentellati anche alla storia, alla filosofia, è testimone di un guardo che brilla per ampiezza.

Una larghezza di vedute che immancabilmente manifesta anche quando siede allo strumento, in questi brani aromatizzata con un prelibato gusto francese. Ma non si pensi che il suo carattere strizzi l'occhio a una certa posa "radical chic", che a lui è sostanzialmente estranea. Più che ricalcare il portamento di maniera degli ambienti culturali d'élite (e il rischio per una persona della sua preparazione è reale), in lui si agita, tra le altre, una vera e sana fiamma per la divulgazione. Ma non è mia intenzione tentare una sorta di esegesi del personaggio Luca Ciammarughi, non ne ha bisogno, quanto rimarcare i tratti distintivi della sua arte pianistica come frutto d'intense frequentazioni culturali. Evidente in questo senso è il coinvolgimento nel suo ultimo progetto discografico con la cultura francese, di cui lui è uno dei maggiori paladini del nostro tempo, una ragion d'essere che trova la propria dimensione visiva sin dall'immagine di copertina. In questa il pianista appare a occhi chiusi, quasi rapito dai suoi pensieri, con i lineamenti della parte destra del volto ben riconoscibili, mentre la sinistra, separata dall'altra tramite una linea obliqua di demarcazione, si presenta come un'indistinta macchia di colore. E "Rameau Dans Le Miroir De Saint-Saëns" assomma in se proprio queste due qualità, la geometrica precisione insita nel linguaggio del compositore, espressa con grande ariosità nella declamazione di Ciammarughi (bellissime e di quasi gouldiana meticolosità le figurazioni degli abbellimenti), e quell'aura indefinita di colore che ci rapisce all'ascolto. Scintille di luce emananti umanità, soffuse in una particolarissima nostalgia.

Forse il vertice del "manque", quell'esprimersi dall'intimo dove ognuno può recuperare la sua dimensione esistenziale. Tuttavia, oltre a queste riflessioni di carattere artistico, dobbiamo considerare quest'album una notevolissima prova pianistica, dove l'interprete lombardo pare esprimersi al meglio delle sue possibilità con un portamento brillante, mobilissimo. La struttura fisica delle sue mani e la tecnica sviluppata nel tempo gli consentono di trasformare lo Steinway del 1888 in una sorta di clavicembalo, scandendo suoni appuntiti nel registro alto, decisi, a tratti quasi nervosi. Non dico che gli abbellimenti hanno la stessa "elettricità" che possono avere sul clavicembalo, ma l'idea dello scatto repentino è ben simulata in agili particole sonore, in piccole esplosioni che d'incanto si sprigionano dallo strumento. Una prova rimarchevole anche dal punto di vista virtuosistico, in considerazione dell'abilità necessaria per ricreare un'ampia tavolozza di colori. Nelle note di copertina stilate dallo stesso Ciammarughi si sottolinea l'importanza che entrambi gli autori francesi, Rameau e Saint-Saëns, ebbero nella sperimentazione di nuove tecniche tastieristiche. Si cita l'esempio delle "Trois Mains", in cui l'incrocio della mano destra sopra la sinistra crea l'illusione che ci sia una terza mano che suona, oppure la tecnica di rotazione dell'avambraccio che troviamo nella Gavotte che termina la Suite in la minore. Luca Ciammarughi si mostra allora padrone di un virtuosismo sottile, poco o nulla appariscente, ma che contiene in se il germe di un'alta raffinatezza. Pensiamo alle oscillazioni agogiche e alle variazioni dinamiche, che risultano sempre comprese all'interno di una fascia espressiva entropicamente controllata, alle chiuse delle frasi, sovente staccate con teatrale energia, alla delicatezza estrema delle inflorescenze che si sviluppano nei brani più meditativi.

Si potrebbere discutere a lungo sulle prerogative dello specchio citato nel titolo del CD, il quale, leggo in rete, ha dato la stura alle più varie interpretazioni. Io mi sono lasciato semplicemente investire dalla sua luce, dalla riflessione di un'immagine che non viene restituita in modo pedestre, ma "deformata" dalla personalità non solo di Charles Camille Saint-Saëns, ma anche del nostro interprete. Se questi due grandi compositori, trasportati da un'ipotetica macchina del tempo, fossero giunti sino a noi, sono certo che avrebbero portato una bella scatola di cioccolatini, magari fatti da Alain Ducasse, in regalo al nostro Luca Ciammarughi, per ringraziarlo del prezioso - e affettuoso - lavoro svolto con questo mirabile CD.


Alfredo Di Pietro

Dicembre 2023


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