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viernes, 29 de marzo de 2024 ..:: PianoSofia - Lo spirito libero ::..   Entrar
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 PianoSofia 2022 - Lo spirito libero tra virtù e virtuosismo Minimizar


 

 

INTRO



PianoSofia prosegue il suo percorso con la terza edizione, sei avvincenti appuntamenti divisi tra la Casa degli Artisti e Villa Litta Modignani, quattro nella prima location e gli ultimi due nella seconda. L'obiettivo che si sono posti i Direttori Artistici Luca Ciammarughi e Silvia Lomazzi è sempre quello: perlustrare i rapporti tra la musica e il pensiero filosofico, un binomio importante, più di quanto comunemente si pensi. Se è vero che la musica ha in sé una forte componente sensoriale, cosa che porterebbe a escludere ogni ascendente intellettuale nella sua fruizione, è altrettanto vero che il suono può essere considerato come la manifestazione ultima di un itinerario, dalle molteplici implicazioni, esistente a monte. E tra gli annessi e connessi ci sono sicuramente anche quelli di carattere epocale e filosofico. Va da sé che un'attività spirituale come la filosofia, atta a interpretare e definire i modi del pensare, ha delle ricadute sull'agire umano, compresa la fattualità di una composizione, che perciò assume una fisionomia ben riconoscibile negli ambiti delle credenze e del divenire storico. Per l'appassionato melomane la domanda può in fondo essere posta in termini molto semplici: la filosofia mi aiuta a godere meglio la musica? Ecco il fondamentale quesito al quale PianoSofia ambisce rispondere, un evento multiforme dove s'incontrano tante istanze, non escluse quelle sociali. Affiora in me, lo confesso, anche un fattore affettivo verso persone che ho sentito subito amiche perché foriere di emancipazione culturale, le quali mi hanno aiutato a tirar fuori quello spirito libero che era in me allo stato latente, per rimanere in tema con la serata.



È confortante ritrovarle perché mi hanno dato un qualcosa di bello e importante, hanno arricchito la mia cultura invitandomi al loro desco. Dalle parole di Silvia Lomazzi traspare la grande soddisfazione per essere riusciti anche nel 2022 a dar vita alla rassegna PianoSofia, resa possibile grazie al sostegno di alcuni donatori. Realtà che hanno dato un contributo economico e persone che hanno prestato la loro opera per organizzare la manifestazione. Tra queste ricordiamo Giulio Artom, impegnato nella raccolta di fondi per il progetto. Un doveroso ringraziamento va quindi alla Fondazione Cariplo e alla Shigeru Kawai, quest'ultima ha messo a disposizione un bellissimo pianoforte Gran Coda. A mortificare un po' l'entusiasmo di questa prima serata è stato il dispiacere per l'assenza di uno dei relatori, il professor Carlo Sini, purtroppo indisposto. L'intera relazione è stata quindi sostenuta dalla professoressa Florinda Cambria, filosofa, traduttrice e saggista, studiosa della vita e delle opere di Jean-Paul Sartre. Ha insegnato all'Università dell'Aquila, all'Università dell'Insubria ed è attualmente docente di Filosofia presso la Scuola di Psicoterapia Comparata di Genova. Membro, inoltre, del Groupe d'Etudes Sartriennes di Parigi e, a Milano, coordinatrice delle attività "Mechrì - Laboratorio di filosofia e cultura". Tra le sue principali pubblicazioni ci sono "Corpi all'opera. Teatro e scrittura in Antonin Artaud", "Far danzare l'anatomia: itinerari del corpo simbolico in Antonin Artaud", "Leggere l'universale singolare di Sartre" e "La materia della storia".



Come sempre avviene, alla parte filosofica si è unita quella della musica, dove protagonista è stato il pianista francese Adam Laloum. La sua presenza è frutto di una scelta non casuale: si è deciso d'inaugurare PianoSofia 2022 con lui, in ossequio alla linea ideale della manifestazione milanese, che è quella d'invitare pianisti di grande spessore ma che difficilmente si ascoltano nelle stagioni italiane. La ricerca è stata perciò indirizzata a quei nomi che non rientrano nei circuiti delle agenzie, un "modus operandi" che ha portato all'individuazione di nomi come Jean-Marc Luisada (Edizione 2020), Jean-François Antonioli (Edizione 2021) e Adam Laloum nella presente, insieme con un altro artista molto interessante, Boris Bloch, grande pianista e direttore d'orchestra russo-ucraino che sarà presente il 4 ottobre. A monte di questa scelta c'è anche un episodio da ricordare: un Laloum ventenne impressionò fortemente Luca Ciammarughi, nel 2007, durante un'esibizione a La Roque-d'Anthéron nell'ambito del "Festival International de Piano". Esattamente due anni prima che vincesse il Concorso Clara Haskil a Vevey (2009), circostanza in cui suonò la Kreisleriana di R. Schumann con una maturità e intensità incredibili per un pianista così giovane. In seguito la sua carriera ha preso il volo, ma qui in Italia purtroppo non lo ascoltiamo quasi mai. A Milano è venuto soltanto una volta. Una buona occasione quindi per ascoltare un artista che si distingue proprio per la sua grande profondità ed espressività interpretativa, nonché per un'approfondita ricerca del suono, soprattutto nei piano e nei pianissimi. Un'artista molto poco esibizionista, essenziale, il quale mette al centro l'opera d'arte più che se stesso. Non per nulla Adam Laloum è oggi considerato uno dei riferimenti interpretativi del romanticismo tedesco.


LO SPIRITO LIBERO TRA VIRTÙ E VIRTUOSISMO

"La libertà da ogni certezza illusoria, acquisita mediante il sapere, condanna lo spirito libero alla solitudine, ma non alla tristezza e all'infelicità"
(Umano, troppo umano di Friedrich Nietzsche).



È questa l'appassionante proposta tematica che guida la serata. Il riferimento più immediato è alla figura dello spirito libero evocata da Friedrich Nietzsche nella sua opera Umano, troppo umano. Il primo elemento evidenziato da Florinda Cambria è la valenza tardo romantica di questa figura, centrale nella filosofia nietzschiana, evocativa in tutti noi dell'immagine di colui che rompe, determinato a sganciarsi dal sentire comune, incondizionatamente libero dalle gabbie. Tuttavia, altri filosofi alcuni decenni dopo Nietzsche hanno ben sottolineato che la libertà appare sistematicamente come una condanna. La condizione dello spirito libero non è necessariamente "leggiadra", ovvero, la libertà che questo incarna porta con eminenza un segno antropicamente ricorsivo e che gli esistenzialisti hanno poi ritenuto essere il cuore della condizione umana. Emerge allora l'impossibilità di non essere liberi, di non andare in rottura, di non spezzare le catene. Ecco che il legame tra condizionamento e liberazione dal giogo dev'essere tenuto all'orizzonte del discorso proposto stasera, come occasione di riflessione sullo spirito libero. Il filosofo tedesco impersona in questa figura l'attività di chi pensa in modo inusitato, come non ci aspetteremmo facesse data la situazione in cui si trova. A fronte di condizionamenti dati, vive in modi che non sono abituali, non previsti a causa dei vincoli stessi intrinseci a essi.

"A latere", la professoressa Cambria fa notare come il gioco condanna i due opposti della costrizione e della libertà a una funzione attiva poiché, per riscontrare la libertà dello spirito libero, è necessario partire dai condizionamenti con i quali va in rotta di collisione: se questi non ci fossero stati, nemmeno la libertà si potrebbe dare. Questo doppio gioco procede nella riflessione di Nietzsche in questa forma sinteticamente richiamata: mentre lo spirito vincolato è paradigma dell'individuo nell'atto di fare le cose secondo l'abitudine, secondo ciò che gli è stato insegnato, che è previsto si faccia per conservare con la tradizione un rapporto di continuità, lo spirito libero, al contrario, ha con la consuetudine un atteggiamento critico, di rottura, tanto che usualmente trapela l'originale, lo strambo e da qui tutta la serie d'immagini, di stereotipi correlati a tale concezione. Nel nostro discorso "comportamento" è la parola chiave, in quanto la dimensione sottolineata dal filosofo tedesco è eminentemente morale, il tema è precisamente quello dell'abito comportamentale. In un suo notevole passaggio Nietzsche, tra i suoi tanti acutissimi scritti, afferma: "Quello che si gioca tra lo spirito vincolato e lo spirito libero è una differenza che corre nell'ordine della moralità o dell'immoralità". Quello libero è perciò uno spirito propriamente immorale per il senso comune, o, forse, sarebbe più preciso dire amorale, vale a dire d'individuo che non abita nella moralità, nella consuetudine comportamentale che la tradizione gli offre o impone o, ancora, chi è in un rapporto di crisi rispetto a questa.

Da tale punto di vista lo spirito libero altri non è che il filosofo, nell'accezione di chi rompe con il sapere convenzionale inaugurando forme inedite di conoscenza. I filosofi sono in buona sostanza persone che commettono metodicamente il parricidio, che esprimono un'impossibilità di adesione completa a quello che la tradizione incarna, nell'inseguimento di saperi più grandi, profondi e vasti. La rottura fa parte del loro abito di ricerca. La figura filosofica emblema del ricercatore è Socrate, forse il primo spirito libero, riconosciuto proprio da Nietzsche, che magari avrà sogghignato sotto i suoi baffoni; l'odioso Socrate, colui che nell'immaginario nietzschiano uccise il dionisiaco. Il tema capitale è quindi quello del comportamento, tuttavia, poche righe dopo il filosofo fa un altro passo, anche questo eloquente. La questione della morale, del comportamento abituale, della critica, della crisi oppure dell'adesione rispetto al dato è centrale, non fa soltanto parte del guardo di ciò che d'abitudine intendiamo con il termine morale, cioè il sistema dei valori e delle regole che orientano la condotta della collettività e dei singoli, ma esso ha a che fare con la verità. La frattura dei comportamenti è in fondo un cammino verso la verità, un modo alternativo per abitarla. In questo senso il legame con la ricerca, presupposto tipicamente filosofico, è intenso. Allora Nietzsche afferma che si può cercare la verità per il tramite della rottura, della crisi, oppure seguendo la strada dell'adesione, della ripetizione degli schemi. Emerge allora un modo di esplorarla che è anch'esso vincolato secondo la modalità comune.



Ebbene, lo spirito libero è quello che invece infrange imboccando l'altra via, la strada della solitudine ma non dell'infelicità. Ovviamente, chi rompe con i propri compagni di vita si mette in una condizione di solitudine, ma è interessante che il filosofo non la consideri infelice, non perché sia masochista o ami starsene solo, ma in quanto la felicità ha a che fare con la fertilità. È uno spirito disposto a perdere i compagni di strada, che vive il passaggio in solitudine rispetto alla collettività, a cui magari aspirerebbe unirsi. Nella sua prospettiva di essere passante, di essere altro e oltre, lo spirito libero non è dunque infelice, infertile, la sua non è una rottura meramente dissacratoria, non apparendo finalizzata a distaccarsi dai padri tanto per farlo. Non è nemmeno una semplice esigenza psicologica di emancipazione dal vecchio, da quello in precedenza ricevuto. No, lo spirito libero è un costruttore, un qualcuno deciso a operare una spaccatura perché costretto dalla propria condizione, ma nel fare questo esercita un'azione edificativa di forme inedite di verità. La fertilità consiste dunque in quest'atto di costruzione, che a volte può sembrare folle poiché ritenuto impossibile da realizzarsi. La cesura con le tradizioni può lasciare così tanto soli da non avere più neanche l'orizzonte entro il quale posare lo sguardo. Lo spirito libero ha la possibilità di essere felice in quanto fertile (felice e fertile vogliono dire la stessa cosa, avendo la medesima radice), pur nell'apparente fallimento di ogni capacità edificatoria, nella sua postura di viandante. Forza le sbarre di quella gabbia che è la tradizione per fuggire all'esterno, una sorta di recinto che pur gli serve per poter esercitare l'atto dell'apertura.

Ciò che caratterizza questa nuova modalità di costruzione della verità, incarnata dallo spirito libero, è proprio l'alternativa rispetto a ciò che è dato, rispetto all'inerzia e alla staticità della convinzione vigente. Una situazione che è frutto statico, inerte, forse di azioni precedenti di rottura operate da spiriti liberi che furono. Certamente s'insinua nel vissuto come cosa esistente, avendo il suo contrario nella mobilità, nella transitorietà, nel dinamismo assoluto. Si tratta a ben vedere di un frangente ad alto rischio, a causa del suo fluire come pulsazione fugace, assolutamente incerto rispetto alla destinazione cui ci farà pervenire. Ciò che lo spirito libero va costruendo non avrà le caratteristiche di qualcos'altro che è dato, per il semplice fatto che è in una posizione di stabilità. Ma qual è la virtù di questo spirito libero, nel senso più antico del termine greco di ἀρετή? Aprire le porte, rompere gli stipiti, essere passante. Tale virtù è essenzialmente rappresentata dal concetto di massima motricità, in questo risiede la capacità di tollerare, di portare dentro di sé l'evanescenza delle cose, lo sgretolamento dei dati, la loro inconsistenza. Il prezzo può essere molto alto e lo spirito libero lo paga fino in fondo appunto perché possiede la virtù, a un punto tale da divenire egli stesso non solo passante ma passaggio. Se la virtù del passante consiste nella capacità di tollerare l'inconsistenza, il divenire di tutte le cose, il virtuosismo è l'eccellenza nella manifestazione della virtù, anche se sappiamo che questo termine può assumere un'accezione negativa, come eccesso, dismisura.

Un'eccellenza così alta da diventare smodatezza, sovrabbondanza di sé. A Florinda Cambria piace tenere insieme questi due significati, che sono uno l'accentuazione dell'altro, provando a suggerire al pubblico quello che indica a se stessa, e cioè che il virtuosismo dello spirito libero è, appunto, eccesso e dismisura del passaggio, sovrabbondanza dell'essere passante, che acquisisce una così rimarchevole preponderanza, anche informe e disarticolata, da rovesciarsi nell'esatto opposto. Il passante è allora destinato a essere figura permanente, a lasciare un qualcosa che resta. Alla luce di queste riflessioni, il virtuosismo può portare alla perdita di sé, anche nella sua stessa forma di passante. Al limite della "performance" virtuosistica dello spirito libero si può probabilmente intravedere nient'altro che le vestigia di un passaggio: il luogo dov'è avvenuto, l'apertura, uno spazio vuoto e per questo transitabile, come possibilità di attraversamento interiore. Uno spirito libero che è fertile nella misura in cui è felice, foriero di luogo di passaggi possibili ed eventuali. Così libera il movimento, l'avvenire, elementi che in fondo non gli competono, che non detiene e che non sono oggetti; non inaugura nuove cose, non lascia resti ma è lui stesso che rimane e lo fa con l'unico segno che può lasciare un passante: l'impronta del suo essere transitato. Grazie a quell'apertura le cose possono filtrare per poi sfumare. Ci viene in soccorso un altro noto aforisma nietzschiano, non ascrivibile questo alla sfera dello spirito libero: "Bisogna avere il caos dentro di se per poter partorire una stella danzante".



Questa può essere il segno di un passaggio, il punto luminoso di un'esistenza che fu, un qualcosa cui lo spirito libero può approdare, destinata a diventare un altro tassello della tradizione, una maniera per tradirla a un livello così alto da lasciare aperto un passaggio. Esiste tuttavia un altro aforisma tantissimo amato da Florinda Cambria, che le torna quasi ossessivamente in mente ogni volta che pensa a Nietzsche; si trova nella Gaia scienza: "Si può essere come chiare fontane", un luogo dove scorre l'acqua. I passanti, i bambini quivi si abbeverano e lasciano i loro resti, gli uccelli le loro deiezioni. Essere chiare fontane vuol dire nel pensiero del grande filosofo tedesco poter accogliere tutto questo, lasciarlo scorrere per poi tornare limpidi. Riluce la tersezza di un luogo aperto in cui passa l'acqua, un'evanescenza piena che si risolve in un'apertura. Forse potrebbe essere il virtuosismo o l'eccellenza, la dismisura, il rovesciamento o ancora l'apocalisse della virtù dello spirito libero, dove le stelle danzanti e l'acqua corrente diventano la medesima cosa.


NICOLA BIBI CIAMMARUGHI - LETTURA DI UN ESTRATTO DA 26° CANTO DELL'INFERNO DALLA DIVINA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI



In linea con la dissertazione di Florinda Cambria sullo spirito libero, nella concezione di Friedrich Nietzsche, è la lettura di un testo poetico a cura di Nicola Bibi Ciammarughi. Un testo da lui declamato con beniana intensità, tra notevoli cambiamenti timbrici e un'ampia escursione dinamica, tesi a sottolinearne vigorosamente i frangenti espressivi. Dante non è il poeta della cristianità, dice Ciammarughi, anzi è il più blasfemo tra i cantori, è stato scelto dall'attore milanese proprio perché in tema con Nietzsche e la figura dello spirito libero, certamente assimilabile a quella del sommo vate. Dante ha fatto della sua vita un passaggio, a un certo punto interrotto poiché esiliato a causa di motivi di persecuzione politica da parte del podestà Cante Gabrielli da Gubbio. In questo andarsene impersonò quella che è rimasta come una delle principali "fontane" poetiche della letteratura mondiale, un fuggire in realtà non privo di passione, a differenza di alcuni greci o della visione annichilente che segue alla filosofia nietzschiana. Dante non si priva del dionisiaco, anzi lo esalta al massimo, come risalta dalla lettura di un estratto dal ventiseiesimo Canto dell'Inferno della Divina Commedia, un Canto che parla di Ulisse.




IL RECITAL DI ADAM LALOUM, OVVERO DEL VIRTUOSISMO VIRTUOSO

Alban Berg (1885-1935)
Sonata Op. 1

Franz Schubert (1797-1828)
Sonata per pianoforte in si bemolle maggiore D. 960

-  Molto moderato
-  Andantino sostenuto
-  Scherzo. Allegro vivace. Trio
-  Allegro ma non troppo

Bis:
Johannes Brahms - Intermezzo Op. 117 N. 1 (Andante moderato) in mi bemolle maggiore
Franz Schubert - Sonata per pianoforte N. 13 D 664 in la maggiore: Andante

Adam Laloum, pianoforte



In quest'inizio di rassegna il rapporto tra filosofia e musica appare particolarmente stretto. Il tema dello spirito libero tra virtù e virtuosismo s'innesta direi a perfezione nel vissuto artistico di questo giovane pianista. È stato rimarcato da alcuni critici e musicologi un concetto di virtuosismo strumentale che non discrepa dalla vera virtù, cioè quella disposizione d'animo volta al bene incondizionato, al di fuori di ogni considerazione di un eventuale ritorno personale d'immagine. Il virtuosismo pare allora diramarsi in diversi significati, la sua definizione diventa più complessa e sottile, prendendo strade anche diverse dal veloce, potente e preciso sciorinare di note e accordi, cosa che tutto sommato si considera abbastanza scontata in un valido professionista. Adam Laloum è davvero l'antitesi del pianista mattatore, quanto mai lontano dallo strizzare l'occhio a una mera spettacolarizzazione della musica. La sua appare come una figura quasi ascetica: alto, molto magro, non sgomita sulla tastiera, le sue movenze sono contenute, essenziali, ma il viso rivela tutta la sua concentrazione nel suonare. Spesso alza lo sguardo fissando un punto lontano, come se fosse alla ricerca del massimo acume espressivo, altre volte pare ripiegarsi sullo strumento, a cercare un intimo raccoglimento. Dà molta importanza (e lo dimostra) alla qualità del suono, alla capacità di variarne finemente i parametri di emissione secondo una "palette" particolarmente ampia.



Pur essendo un pianista dalle notevoli possibilità digitali, non sembra essere questo il suo vero obiettivo quando è sul palco, innanzitutto c'è l'esternazione di un'espressività che è in lui cangiante, multiforme, mai standardizzata, men che meno stereotipata, ma screziata in mille imprevedibili rivoli. Per citare il tema filosofico del giorno, scopriamo in Laloum un virtuosismo votato tutt'altro che all'eccesso, alla sovrabbondanza. Al contrario lui sottrae, essenzializza, invece di aggiungere, forte di una superba capacità di dosaggio, come un grande chef che fa venire fuori i sapori autentici di ogni pietanza, piuttosto che coprirli con un eccesso di spezie. La prima opera in programma è la Sonata Op. 1 di Alban Berg, un autore che non è nelle mie corde, come in generale la cosiddetta seconda scuola di Vienna, non sono quindi io il più titolato a esprimere dei pareri obiettivi su questa composizione. Questa Sonata è l'unica e sola che Berg scrisse per il pianoforte, composta tra il 1907 e il 1908 e pubblicata tempo dopo, nel 1911. Siamo tuttavia lontani dalle "asprezze" dell'atonalismo e dall'uso sistematico della dissonanza; in realtà questo movimento unico è incentrato sulla tonalità di si minore, pur se l'autore fa intensivo uso di cromatismi e scale esatonali, rendendo così la tonalità un qualcosa di decisamente incerto e instabile. Il pianista francese ha comunque le doti giuste per rendermela meno indigesta, non dico che questo matrimonio s'ha da fare ma la sua grande musicalità, il senso di un'intima narrazione riescono a forare la mia diffidenza.



Tutt'altro discorso per la Sonata in si bemolle maggiore D. 960 di Schubert, che è assolutamente nelle mie corde. Mi aspettavo grandi cose da un pianista riconosciuto come uno di riferimento del romanticismo tedesco e le mie aspettative non sono state deluse, pur con qualche piccola riserva (che può benissimo essere un mio limite di sensibilità). La D. 960 è un autentico testamento spirituale dell'autore. Secondo il giudizio dello Schumann recensore: "Mentre in genere egli chiede tanto allo strumento, qui rinuncia volontariamente ad ogni novità brillante e arriva a una semplicità d'invenzione ben più grande: altrove egli intreccia nuovi legami di episodio in episodio, qui invece distende e dipana alcune idee musicali generali. Così la composizione scorre mormorando di pagina in pagina, sempre lirica, senza mai pensiero per ciò che verrà, come se non dovesse mai arrivare alla fine, interrotta soltanto qua e là da fremiti più violenti che tuttavia si spengono rapidamente". E davvero sembra che Laloum la incanali in un flusso emotivo che mormora di pagina in pagina, sempre liricissimo, senza farsi condizionare da ciò che ha previsto debba venire, è una musica che sgorga limpida come acqua di sorgente, naturale come lo sbocciare di un fiore. Il pianista tuttavia dimostra la sua francesità, nel bene e nel male; nel bene con la squisitezza, l'eleganza di tocco e un pascaliano "Esprit de géométrie ed esprit de finesse". Finesse sicuramente, mentre la geometria cede nei confronti di un umanissimo intimismo che tocca il cuore di chi ascolta. Scorre sommesso il Molto moderato, emblematico di un pianismo ipnotico, assorto nei suoi stessi pensieri.



A mostrarcelo è il trillo in pianissimo nella regione grave che appare all'ottava misura, che gli altri interpreti mediamente eseguono in modo più stentoreo (magari fregandosene del "pp"), ma che Laloum rende con un'appena accennata e sorda dolororosità. Una voce sottile invece che un lugubre e roboante brontolio. Magnifica la rarefazione raggiunta nell'Andantino sostenuto, un miracolo di bellezza che lui ci consegna intonsa. Qui avviene come una spoliazione musicale, l'atmosfera triste e meditativa dà vita a una pagina di assoluta desolazione, appena rischiarata nella parte centrale in la maggiore. È forse questo il momento in cui le capacità poetico/espressive del nostro raggiungono lo Zenith. Negli ultimi due movimenti, lo Scherzo. Allegro vivace. Trio e l'Allegro ma non troppo, probabilmente perché ancora intrappolato in imi gorghi espressivi, ho notato un certo alleggerimento di tensione, a causa del quale credo che il pianista non sia riuscito ad andare del tutto a fondo dell'intrinseca drammaticità esistenziale e che sia, per così dire, rimasto un pochino in superficie. Si tratta beninteso di una raffinatissima Toile de Jouy, levigata e ricca di deliziosi motivi decorativi, ma un po' distante dall'atmosfera da ultima luna, dai guizzi oscillanti tra il demoniaco e l'ironico. Adam Laloum si prende comunque la sua rivincita sul piano di una fantastica ricchezza di situazioni psicologiche, flessuosità e inventiva, unite a una totale mancanza di rigidità metronomiche. Richiamato sul palco diverse volte da scroscianti applausi, concede al pubblico due "encore", brahmsiano il primo e schubertiano il secondo, a terminare una memorabile serata di filosofia e musica.



Alfredo Di Pietro

Ottobre 2022


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