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 Around Bach - Massimo Giuseppe Bianchi Minimizar

 

 

"J.S. Bach è un autore molto importante non solo per i pianisti ma per tutti gli strumentisti. Lo è dal punto di vista didattico, di formazione del gusto. È però anche molto altro: grande letteratura musicale. Io ho sempre pensato a Bach come a una fuga dalla nostra personale mortalità, un autore che apre veramente una porta verso l'infinito, verso l'assoluto. Non lo dico per retorica, è un dato di fatto che si evince dalla sue musiche poiché è riuscito ad annullare e travalicare il proprio tempo. Molte esperienze musicali, diverse dalla cosiddetta Classica, come per esempio il Jazz, vedono talvolta in Bach un precedente, un fondamento".

Massimo Giuseppe Bianchi

 

 

Ancora una volta osservo il rito di spacchettare un nuovo album. Certe piccole gioie nell'epoca del download selvaggio stanno diventando merce sempre più rara. In un mondo dove la musica liquida predomina sempre più sul formato fisico c'è però chi, come me, non vuole rinunciare al piacere di recarsi in un negozio, acquistare un CD e pregustarne il contenuto nel percorso che lo separa da casa. Una piccola concessione a un sano feticismo, se vogliamo, è l'appagamento che si prova nell'avere un qualcosa di corporeo tra le mani, un dischetto in policarbonato, una copertina da estrarre e leggere avidamente. L'atto stesso d'inserirlo nel CD Player è una sorta di cerimoniale cui è difficile rinunciare. Sul frontespizio di "Around Bach" di Massimo Giuseppe Bianchi spicca un elemento che accende subito la mia curiosità: Il logo "Decca", visibile in alto a destra, il quale già la dice lunga sul valore di questo pianista. Credo sia superfluo rammentare che un'etichetta discografica così prestigiosa non peschi a caso nell'attuale vivaio di artisti, ma scelga solo quelli migliori. In realtà, questo album d'esordio per la Universal-Decca non è il suo primo in assoluto perché ne ha pubblicati in precedenza già cinque per la Naxos Records, etichetta specializzata in musica classica, la più grande tra le indipendenti in questo genere musicale. Precedono quindi quest'ultima release discografica cinque CD contenenti musiche di G.F. Ghedini, O. Respighi e R. Pick-Mangiagalli, un repertorio che ci parla della sua profonda conoscenza del novecento musicale italiano. Un amore che lo ha portato anche a curare edizioni critiche di opere di Respighi, Carpi e Castelnuovo-Tedesco per editori quali Suvini Zerboni e Curci.

Voglio raccontarvi subito di una mia impressione: sono persuaso che il nostro pianista dedichi un'attenzione particolare a ciò che esiste a monte dell'interpretazione. Elementi come la consapevolezza culturale, la grande sensibilità e una rimarchevole capacità d'analisi sono alla radice della forza di penetrazione che hanno le sue letture. La storia di ogni artista è importante e non può essere in alcun modo considerata come "riempitivo" in una recensione, un compito da assolvere per puro e semplice spirito d'informazione. Terminati gli studi di Conservatorio, Massimo Giuseppe Bianchi si perfeziona con Bruno Canino, Franco Rossi, Maureen Jones, il Trio di Trieste e il Trio di Milano. Studia composizione con Vittorio Fellegara e Bruno Zanolini e frequenta una masterclass di György Ligeti. Si è esibito in sedi prestigiose, ospite di importanti istituzioni, tra cui: Parco della Musica di Roma, Società del Quartetto di Vercelli, Centro Studi Musicali "Ferruccio Busoni" di Empoli, "Settembre Musica" di Torino, Accademia Filarmonica Romana, I Concerti del Quirinale di Rai Radio 3, Columbia University (NYC). Ha suonato in diretta su Rai Radio 3 (La Stanza della musica) e sulla Radio della Svizzera Italiana. Per la stessa rete radiofonica ha partecipato come ospite a un ciclo del noto programma di cultura religiosa Uomini e Profeti. Tra le collaborazioni si segnalano quelle con Bruno Canino, Antonio Ballista, Luca Lombardi, Michelle Makarski, Mariana Sirbu, Guido Corti, Lorna Windsor, Luca Avanzi, Aron Quartett, Interpreti Italiani, Orchestra da Camera di Mantova. Nei suoi concerti affronta spesso opere di rara esecuzione e notevole impegno virtuosistico, dalle Variazioni Goldberg di Bach alla Sonata di Jean Barraquè. Ha eseguito più volte il ciclo completo delle trascrizioni per pianoforte delle nove sinfonie di Beethoven realizzate da Franz Liszt oltre a numerosi lavori a lui dedicati.

È Attivo anche come compositore (tra i titoli: Il Rossini Perduto, Palazzo Reale di Milano 2012) ed è anche un improvvisatore molto apprezzato, vantando intense collaborazioni con il jazzista Enrico Pieranunzi, con il quale tiene numerosi concerti a due pianoforti, con il contrabbassista Paolo Damiani e con il clarinettista francese Louis Sclavis. È fondatore e direttore artistico del festival cameristico “Musica a Villa Durio” di Varallo (VC). Le sue frequentazioni musicali e culturali sono sfociate lo scorso ottobre nella pubblicazione di "Around Bach", non un mero "melange" prenatalizio come se ne vedono tanti in giro ma un lavoro non casuale, pensato secondo una sotterranea logica musicale. Si offre come un itinerario "trasversale" tra autori dell' '800-'900, al netto del "Capriccio BWV 992", questo si bachiano da cima a fondo. In una singolare concordanza tra suono, concetto e icona, è ancora la copertina a suggerirci il trapassare dell'artista nell'opera musicale. L'immagine del pianista con in mano una composizione grafica che taglia esattamente a metà il suo volto credo sia significativa di un reciproco intersecarsi di mondi, testimoniato in dettaglio dalle mani, che trascolorano nella figura virando verso il bianco e nero. In una dimensione etera il volto di Johann Sebastian Bach, affiancato da quattro quadrati bianchi di diversa dimensione, forse dei metaforici "Post It" su cui scrivere qualcosa d'importante. È lui, il sommo "Kantor", che si fa generatore non solo d'inesauribili emozioni per chi lo ascolta, ma fonte d'ispirazione per quei compositori che ne hanno raccolto l'eredità. Non per vezzo, ma perchè trascinati dalla sua grandezza, si può essere convinti cultori dell'universo bachiano, immenso autore che lavora in noi traforando agevolmente la superficie per espandersi nelle regioni più intime della nostra coscienza.

Nulla di epidermico (anche se questo sguardo non è concettualmente escluso) è destinato a rimanere nel compositore e nell'ascoltatore, nella musica di Bach c'è la via che conduce dalla "carne al cielo". Un trascendente non distaccato perciò dalla corporeità, in un'ascendenza mirabilmente descritta dal grande Pier Paolo Pasolini nei suoi "Studi sullo stile di Bach". Dice, in riferimento al "Siciliano": "Ogni volta che lo riudivo mi metteva, con la sua tenerezza e il suo strazio, davanti a quel contenuto: una lotta, cantata infinitamente, tra la Carne e il Cielo". Il concetto di eredità aleggia sulla varietà di stili e suoni contenuti nelle ventisette tracce che questo CD ci propone. Un lascito inteso come successione del patrimonio spirituale, nell'identificazione e trasmissione dei valori contenuti nella musica di J.S. Bach, che ha "contagiato" autori come Ferruccio Busoni, Max Reger, Franz Liszt e César Frank. Quattro grandi del passato per altrettante declinazioni dell'universo bachiano. Alla fine un "intruso" tra gli eredi, Bach stesso che si materializza nella composizione giovanile del "Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo BWV 992", scritto forse tra il 1703 e 1704 dal compositore allora diciottenne. La scelta di mettere le ultime sei tracce del "Capriccio" alla fine del CD appare saggia, un ritorno alla cristallina purezza dell'originale dopo l'excursus, ora tempestoso ora meditativo, talora stranito ma sempre di estrema intensità espressiva consegnatoci dai quattro eredi. Un finale liberatorio? Forse si... un po' come, mutatis mutandis, avviene nelle beethoveniane "Diabelli", trentatre variazioni su tema che si spingono su impressionanti profondità metafisiche ma che alla fine si stemperano nella conclusiva "Tempo di Menuetto moderato". Un formidabile percorso che scioglie la sua inquietudine in una catarsi d'immacolata purezza. Un cammino distante, come dicevo, dalla logica (o dalla sua assenza) che porta ad assiemare un gruppo di composizioni in una "Compilation".

La tensione e la sua risoluzione seguono un "Fil rouge" che percorre da capo a fine questo album, si estrinsecano nella consequenzialità di contrastanti stati d'animo. Primo tassello l'arrangiamento per pianoforte di Ferruccio Busoni della celeberrima "Toccata e fuga in re minore BWV 565", il quale s'impone a inizio CD come una piccola scossa elettrica. Massimo Giuseppe Bianchi veste i panni del "mediatore" tra l'ispirazione bachiana, filtrata dalla complessa personalità del musicista empolese, e la sua personale. L'equilibrio tra le diverse istanze viene raggiunto in una lettura tesa e nervosa, ligia a un autore che, secondo le parole dello stesso interprete si produce in una sorta di autoritratto, dove "vampirescamente" le note si tramutano in tratti che delineano il suo volto angoloso. Il fraseggio disegna linee di grande purezza architettonica, il declamato procede scattante, asciutto, in un processo di scarnificazione che mette a nudo le linee geometriche della composizione. Il risultato va nella direzione del recupero di quell'essenzialità drammatica che rende folgorante quest'opera giovanile. La BWV 565, composta da un Bach non ancora ventenne per l'inaugurazione dell'organo costruito per la Chiesa Nuova di Arnstadt, è sicuramente una delle sue opere più note. Quella di Busoni s'incanala, pur differenziandosene per il peculiare valore, nell'interminabile lista di trascrizioni portate a termine da numerosi autori e per ogni strumento possibile e immaginabile. Si rivela per'altro come un'autentica sfida, ricolma com'è di un virtuosismo trascendentale che dà fondo alle capacità tecniche dell'esecutore. Procede con grande sicurezza il nostro pianista, trasmette la forte tensione emotiva della Toccata, prodroma delle austere quartine di crome della Fuga, sciorinate con religiosa pacatezza. Si arriva così al tumultuoso "Recitativo" che prelude all'"Adagissimo" di passaggio, poi arriva un "Presto" che mette perentoriamente fine a quest'opera prodigiosa.

Si sente in questa trascrizione il Busoni eccelso virtuoso, nel vortice dei rapidissimi passaggi di biscrome, nei raddoppi all'ottava e negli accordi di grande complessità, mirabile sintesi della scrittura virtuosistica dell'epoca. "Monumentale" è forse il termine più giusto per definire questo viaggio d'inusitata profondità espressiva che si articola in tre parti. Come F. Busoni anche Max Reger è vissuto cavallo tra '800 e '900, figura complessa di compositore, organista, pianista e insegnante di composizione tedesco, fortemente legato al mondo barocco e classico che però seppe fondere con il linguaggio armonico e cromatico della sua epoca. Dopo l'irrequieta temperie della BWV 565, le "Variazioni e fuga su un tema di Johann Sebastian Bach Op. 81 iniziano con un Tema (Andante) tratto dalla Cantata BWV 128 di Bach "Auf Christi Himmelfahrt allein" (Aria N° 4 "Sein Allmacht zu ergründen"). Su un canto di assorta dolcezza vengono edificate quattordici variazioni e una Fuga conclusiva. Tutte sono piuttosto brevi, alcune quasi epigrafiche, sempre però di grande intensità, quasi a voler rappresentare in poche pennellate il mondo magmatico e sofferto del compositore ancor prima di quello bachiano. "Se Bach non fosse nato, io non esisterei, non sarei qui neanche fisicamente" disse una volta il compositore bavarese, a noi tocca riconoscere la veridicità dell'appellativo dato a Reger di "Bach moderno" a causa dello sconfinato amore che provò per il "Kantor" nel corso della sua vita. Alle isole meditative delle variazioni lente, piccole-grandi incursioni verso profondità metafisiche che culminano con l'esterrefatta terza (Grave assai), si alternano dei tempi più mossi dove emerge nel vortice di note e la straordinaria maestria compositiva per la quale M. Reger fu giustamente noto.

Non mancano per'altro i tratti di una personalità verbosa e anche un po' supponente che indusse il musicologo Massimo Mila a considerarlo un "pedante poco ispirato". Tutta l'opera di Reger è pervasa di una nostalgia per il passato potente come la brahmsiana ma affatto diversa, sorta in un artista che vuole rifugiarsi sotto le ali di un memorabile passato. Il compositore si muove nell'ambito di una ricreazione trasfigurata di ciò che non è più (talora dalla violenza distruttiva) e che, ritorcendosi contro di lui, si trasforma in un incubo. Compositore magniloquente, in una dimensione grandiosamente onirica desiderava prendere contatto con il sublime. La sua immedesimazione in Bach è totale, tanto da prefigurare non una rivisitazione delle sue opere ma un vivere in esse. Rivelatrice è la sua affermazione: "Gli altri scrivono fughe, io ci vivo dentro". Nell'Op. 81 però l'ispirazione non sembra mancare, nemmeno nella bellissima e sapiente Fuga composta a conclusione dell'opera, attestato della sua venerazione nei confronti del compositore di Eisenach. Il verbo bachiano trova una diversa coniugazione nel lisztiano "Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen (Pianto, lamento, preoccupazione, timore) S. 179, un'accorata preghiera dove il compositore abbandona l'ampollosità dimostrata in altri momenti per riconquistare una dimensione di profondo raccoglimento. Prendendo a "pretesto" la Cantata BWV 12 di J.S. Bach, Liszt esprime il suo mondo interiore nella congiunzione di una scrittura dotata di rara efficacia con una spiritualità al di sopra di ogni sospetto. Al largo da fenomeni di "lisztomania", si può obiettivamente ritenere di grande complessità la sua figura e riconoscere la sua straordinaria importanza nella storia della musica, anche in qualità di creatore della Musica a Programma.

Brillantissimo strumentista, l'insuperabile virtuoso che entusiasmava le folle era un uomo non solo dedito alla costruzione di un "personaggio" di grande successo, probabilmente non dissimile da una moderna "Rock Star", ma appariva dotato di cultura enciclopedica e un profondo senso del religioso. Non si spiegherebbe come, diversamente, avrebbe potuto nel 1865 ricevere in Vaticano la tonsura e gli ordini minori. Da quell'anno la sua ispirazione compositiva si volse sempre più verso la musica sacra, un esempio di questa tendenza è la Missa Choralis e il Christus, entrambi del 1867. Se in Busoni e Reger (ma anche in Liszt) prevale una visione proiettata verso il futuro novecento, in César Frank e il suo "Preludio, Corale e Fuga M. 21" spicca la tendenza a declinare Bach secondo un sentimento di mistica ascesi, dettata dall'indole assolutamente sincera e dalla profonda umanità dell'artista belga. Frank si era nutrito da sempre di Bach ma il suo grande valore di compositore venne fuori alla distanza, dopo i cinquant'anni. La luce che emana quest'opera è tutta particolare, qui il linguaggio bachiano viene sublimato in una visione leggiadra, che non ha nulla di rigido o meccanico, né tantomeno si lascia sopraffare dall'angoscia dell'infinito. Un Bach "charmant", terso e brioso, quasi "chopinizzato" attraversa il nostro animo. Il mondo poetico franckiano vive nel "Preludio, Corale e Fuga" in una mirabile sintesi fra passato e presente, adornato di un ascetismo mai freddo ma intriso di una partecipata umanità. La polifonia bachiana allora vira verso una tavolozza coloristica del tutto moderna, in una declinazione dal clima decisamente romantico, molto di più quanto avvenga in Busoni, Reger e Liszt. Lo schema classico del Preludio, Corale e Fuga viene, se non scompigliato, in qualche modo reso imprevedibile nel suo sviluppo e nella mescolanza dei temi.

Così nel Preludio, oltre a un primo tema di carattere improvvisativo, ne appare un secondo contenente una cellula presente nella Fuga. Il Corale ha un andamento più lento, ampio e solenne, anch'esso edificato su due elementi tematici. Ma è nella Fuga che si assiste a un vero e proprio "coup de théâtre". Si avvia sviluppandosi secondo un grande rigore architettonico però a un certo punto si riaffaccia il movimento del Preludio, dopo un turbinoso crescendo, e poco oltre si risente anche quello del Corale. Più che una sovrapposizione tematica, l'effetto è quello di un mix d'incontenibile potenza espressiva. In buona sostanza "Around Bach" è un globo non chiuso in se stesso, ma aperto all'universo dell'immenso polifonista, dove si sono date appuntamento quattro grandi personalità artistiche del passato, di varia epoca e dal carattere molto diverso. Un'isola rischiarata da una limpidissima luce azzurrina che si sparge su tutti noi. Massimo Giuseppe Bianchi si rivela pianista virtuoso, dotato di formidabile tempra, colto, eclettico traghettatore di stili e momenti diversi che propone un programma di grande impegno, in cui ogni tassello è legato all'altro da un'inflessibile logica interna. L'anima di questo lavoro è sorretta da una dote, impalpabile ma presentissima nel nostro pianista, il quale opera una sorta di supervisione "Ante litteram" sulla materia sonora. Potremmo definirla come una sensibilità peculiare che fa da legante, sostanziata nella virtù di una coerenza tecnico-interpretativa fuori dal comune. Non si può negare che trapeli in ogni frangente l'intento di dare unitarietà a un variegato tessuto musicale il quale, in mani meno abili, sarebbe destinato a essere niente altro che un "pot-pourri". Così in "Around Bach" lo sterminato patrimonio bachiano viene raccolto da altri compositori, propostisi come audaci discendenti di una tradizione musicale prolifica e ricchissima.

Un germe d'incomparabile potenza perché, come ebbe a dire P.P. Pasolini "Bach è l’autore che amo di più, un po' per motivi irrazionali, un po' perché per me la musica di Bach è la musica in sé, la musica in assoluto". I piani di lettura di questa fatica discografica, come viene detto nelle note di copertina, possono essere diversi. Con sagacia vengono identificate le diverse rappresentazioni del cosmo bachiano, che divengono frutto di ripresa "letterale", citazione nello spirito, oppure esito di un processo d'interiorizzazione durato una vita. Ci si può porre allora come meri imitatori, epigoni oppure eredi spirituali. Una cosa è certa, la musica di Bach è in grado di mette a nudo il limite compositivo di ogni autore, come una cartina al tornasole ne svela qualità e confini. Ma, dal punto di vista dell'ascoltatore, quali sono le sensazioni che si provano, qual è l'impatto emotivo che emerge, al di là degli strumenti culturali di cui è in possesso? Qui avviene forse un piccolo prodigio... Questo CD è tutt'altro che il frutto di un approccio cervellotico e/o elitario alla musica, è in grado di coinvolgere totalmente con la nuda bellezza che offre. Si viene allora assorbiti dalla fascinazione profonda di una musica che parla direttamente al cuore, senza intermediazioni. Se il ruolo fondamentale dell'interprete è stabilire una connessione, la più forte possibile, tra l'immaginario dell'autore e la mente di chi ascolta, possiamo dire che Massimo Giuseppe Bianchi è in grado di assolvere pienamente a questo difficile compito. Egregie doti tecniche, squisita sensibilità e cultura si fondono perfettamente con la sua personalità. Il fatto che ogni strumentista non può non metterci del suo nel suonare potrebbe essere erroneamente considerato come un fattore "contaminante", in realtà è un arricchimento, una fuga dalla fredda quanto irrealizzabile "perfezione" che moltiplica i piani di lettura di un'opera.

Ecco perché appassiona la convinzione, la determinazione con cui suona questo pianista, avvince l'onestà intellettuale che dimostra nell'approcciarsi a queste non facili pagine.
Il risultato è un album che difficilmente potrà sbiadire col passare del tempo...

 

 

"Around Bach" è stato registrato nel dicembre 2015 a Villa San Fermo, Lonigo (Vicenza) su un pianoforte Borgato Concert Grand L282. Con il patrocinio del Comune di Varallo (VC) e il contributo della fondazione PBN.
Tecnicamente l'incisione si presenta molto realistica, non sembra soffrire d'inopportuni interventi di "editing". Ottimo il bilanciamento tonale e notevole la dinamica.

Alfredo Di Pietro

Dicembre 2016


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