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 Il mio Mahler Riduci


 

 

Ascolto la musica di Gustav Mahler da ben oltre mezzo secolo. Il primo disco sentito fu il secondo LP di un cofanetto che comprendeva la Sinfonia N. 5. Ero un imberbe ragazzino e non sapevo che l'Adagietto e il Rondo-Finale erano preceduti da altri due movimenti, il "Rauermarsch: In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt" e lo "Stürmisch bewegt, mit größter Vehemenz". Per anni ho creduto che tale sinfonia fosse costituita solamente da quei due tempi, sinché, in un'occasione non certo lieta (un importante intervento chirurgico) i miei genitori non mi regalarono il cofanetto della Deutsche Grammophon con la Quinta e i Kindertotenlieder, mezzosoprano Christa Ludwig e i Berliner Philharmoniker diretti da Herbert von Karajan. Fu come un piccolo  shock per me prendere contatto con i due drammatici e tempestosi movimenti iniziali, che andarono a spazzar via quella sublime atmosfera instaurata con l'"Adagietto. Sehr langsam". Rimasi sorpreso dall'incredibile varietà espressiva di questa sinfonia, dall'irrequietezza d'accenti che si manifestava anche nell'ambito di uno stesso movimento. In verità, per tutta la vita questo grande compositore mi ha riservato delle rivelazioni con una musica che mi scuoteva, che sempre più dimostrava nel tempo il suo inestimabile potenziale.

Ho a lungo riflettuto sulla ragione per la quale le composizioni mahleriane esercitavano un tale ascendente su di me, sino a individuare il loro forte nesso con la potenza incoercibile della natura. Cosa ci può essere di più coinvolgente di un'arte che s'ispira direttamente alla natura? Presagivo che sotto quelle note, quelle grandiose e sapientissime architetture sinfoniche, si celava un mondo parallelo che Carlo Serra mi ha aiutato a mettere a fuoco, dapprima con il suo libro "Come suono di natura - metafisica della melodia nella Prima Sinfonia di Gustav Mahler" e più di recente con il bellissimo saggio "Mahler. Un percorso nel desiderio", incluso nel volume "Amata e lontana. Sguardi sulla musica dei compositori di lingua tedesca", a cura di Alessandro Maria Carnelli. Questi profondi scritti mi hanno insegnato a non fermarmi all'apparenza, a cercare cosa si agita davvero sotto l'esperienza sensibile, nella musica di Gustav Mahler quel mondo di rimandi semantici attinenti alla musica. Potrebbe il mio sembrare un puntiglio, la ricerca di una dimensione accessoria secondaria poichè in quest'autore è riconoscibile d'istinto un potente, quasi fantasmagorico elemento emozionale, così prorompente da mettere forse in secondo piano quei significati che questa musica contiene.

 



Non casuale appare in questo compositore la presenza di temi ricorrenti, che trasmutano sciamando nella sua produzione sinfonica e liederistica, due entità strettamente connesse, in molti casi indissolubilmente fuse tra loro. Temi e relativi sviluppi che talvolta s'impongono con veemenza, tal altra scorrono silenti in vene sotterranee o mimetizzati negli intrecci contrappuntistici, in ogni caso forieri di un assillo esistenziale: cogliere le voci della natura e trasformarle in fondanti archetipi. Il tema della natura è onnipresente in Mahler, sin dall'ancestrale accordo iniziale de "Il titano", quell'indistinto magma sonoro da cui ogni cosa pare avere inizio. Una sorta di "Grundbass" residente e immanente, accompaganto alla proiezione di luci che, "Come specchi convergenti, proiettano fuochi indirizzati verso lo stesso punto, che deve continuamente dissolversi e rigenerarsi, come accadeva per la fiamma eraclitea", dice con grande acume l'autore Carlo Serra. E impadronirsi di quel linguaggio sotteso alla musica, un ponte aggettato tra l'essenza nascosta della natura e la scrittura musicale, è impresa tutt'altro che piana. In Mahler i rumori del mondo si trasformano in manifestazioni sonore che danno origine a una forte tensione metafisica, suggestiva di un substrato per noi imponderabile, dai contorni sfuggenti ma più reale del reale.

Creatore d'inedite atmosfere, forse nemmeno pensabili per i comuni compositori, come nel terzo movimento "Feierlich und gemessen, ohne zu schleppen" della Sinfonia N. 1. Una spettrale parodia di una marcia funebre, foriera d'invenzioni timbriche particolarissime (pensiamo al registro innaturalmente acuto dal contrabbasso nell'enunciazione del tema). Chi conosce l'arte di Callot potrà capirne il grottesco e il burlesco. Un paesaggio maestoso si apre invece con la Höllengebirge, la catena montuosa che si spinge verso nord nella parte dell'Alta Austria e incombe sulle acque lago Attersee, il simbolo della duplice natura della temporalità: lo scorrere incessante e fugace dell'acqua contrapposto alla perennità della roccia. Siamo messi di fronte a due elementi fondamentali della natura, rappresentativi dell'esigenza interiore di dare una spiegazione alla realtà circostante. Effimero ed eterno sono uno di fronte all'altro e la musica è chiamata a distillarne il senso, ricreandolo con le emozioni. È sempre presente in Mahler la tensione a mettere insieme queste due dimensioni tramite una musica che va oltre le note, supera il valore delle pur stupende melodie impegnandosi a trasfigurare i fenomeni fisici in simboli cosmologici.

Li imbriglia in complessi processi sonori, li riveste di implicazioni filosofiche, prima fra tutte quella di Arthur Schopenhauer. Le nostre domande sulla bellezza del mondo trovano una risposta, per esempio, nei Lieder eines fahrenden Gesellen per canto e pianoforte. Quattro lieder che sembrano incarnare la quintessenza del romanticismo, tra l'errare estatico del viandante, l'abbandono, la delusione amorosa, il rapporto inscindibile tra amore e morte. L'idilliaca immagine contenuta nel verso "Canti, cip, cip! Oh, com'è bello il mondo!" si trasforma enigmaticamente nel suo "reverse", dove il richiamo del cuculo, il garrulo saluto del fringuello e della campanula, l'invito a riconoscere la bellezza del mondo, stridono fortemente con la presa d'atto del suo destino personale. Ed ecco che il bucolico quadretto può tramutarsi in sinistre voci interiori. Un archetipo in fondo anche questo, immanente e immutabile come la roccia dell'Höllengebirge, se pensiamo al brano "Grantchester Meadows" dei Pink Floyd, contenuto nel doppio album Ummagumma. Qui la dolcezza del paesaggio campestre, i delicati versi degli uccelli, cambiano bruscamente, dopo dei passi concitati e lo sbattere di una porta, punto di separazione tra due mondi, nel brano "Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict".

 



Una sorta di raccapricciante collage sonoro di differenti versi animali, ottenuti con delle manipolazioni in fase di editing (Roger Waters era maestro in questo) più altri rumori come battiti di mani e ticchettii sul microfono. Il risultato è la macabra ricreazione del fittissimo intrecciarsi di rumori animaleschi che emergono dal fondo di una caverna. Ma il salto tra un Progressive stralunato e l'ambiguità espressa nella Prima di Mahler è forse più breve di quanto non si possa pensare. Un dedalo espresso da forme ritmico-armoniche, dove le varie sezioni s'inseguono in un procedimento volto a creare delle sospensioni del tempo, dei disorientamenti, quasi un perdersi nelle complesse stratificazioni armoniche e nelle repentine modulazioni. Tuttavia, anche se il solo riuscire a "scannerizzare" con l'orecchio e distinguere con nitidezza tali complessità è cosa piuttosto ardua, questa musica ha una potenza espressiva tale da colpire comunque nel segno, senza la stringente necessità di un'acuta capacità sceverante. Questo è il vero miracolo, cose e sentimenti della vita quotidiana che ogni essere umano porta nel suo intimo trovano riscontro in piani che tendono a raggiungere un'estrema tortuosità, in una sorprendente commistione tra il semplice e l'amletico.

In chiusa di questo magnifico e rivelatore saggio che è "Mahler. Un percorso nel desiderio" di Carlo Serra, uno dei più acuti e profondi intellettuali che abbiamo nel nostro Paese, ci sono i Das Lied von der Erde, dove il tema della natura e del desiderio emerge forse con ancora maggior urgenza. Sono approfondimenti culturali di alto spessore e il fatto che io sia, ahimè, sfornito di quel bagaglio culturale necessario a una loro completa e corretta comprensione, altro non fa che esaltare il fascino che esercitano sulla mia povera persona. Tuttavia, già il lambire l'idea di un profondo rispecchiarsi fra un paesaggio e la rappresentazione di un processo naturale, il vedere l'immagine della morte attraverso una lente d'ingrandimento metaforica, lo considero un sostanziale passo in avanti verso la compenetrazione, che desidererei assoluta, di questi capolavori. La tensione che scorre fra le due polarità del mondo e dell'io, proiettate in una luce cosmologica e totalizzante, possono, noi stremati da queste lacerazioni, trovare rifugio in un tempo lento mahleriano, come il citato Adagietto della Quinta, oppure nell'Andante moderato della "Resurrezione", nel Poco Adagio, toccantissimo terzo movimento della Quarta, nella "Nachtmusik. Andante. Amoroso" della Settima, nell'Adagio, Sehr langsam und noch zurückhalten (uno dei più struggenti commiati mai espressi in musica), sino al lancinante urlo primordiale che esplode incontenibile nell'incompiuta Decima.

Questi tempi lenti paiono lenire le nostre ferite esistenziali sciogliendole in scampoli di un paradiso perduto. Forse, e lo dico senza retorica, non sarei stato la stessa persona che sono oggi se non avessi incontrato nel mio percorso Gustav Mahler.


Alfredo Di Pietro

Maggio 2024


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