Alfredo Di Pietro: Maestro, la prima domanda che desidero rivolgerle potrebbe essere considerata un buon modo per rompere il ghiaccio. In realtà la ritengo fondamentale e non manco mai di formularla in ogni mia intervista: Come, quando e dove nasce la sua passione per la musica e la composizione?
Orazio Sciortino: Non è una domanda di facile risposta. Mi sono accostato alla musica per puro gioco quando avevo circa 7 anni: suonavo ad orecchio su una piccola pianola, un fisarmonicista, amico di mia nonna, mi diede i primi rudimenti musicali e mi venne naturale iniziare a comporre. Non ho mai ipotizzato che fare il musicista potesse comportare una scelta tra l'attività di strumentista e quella di compositore.
ADP: Ancorché giovane, lei può vantare un curriculum di grande rispetto, sintomatico di un'intensa vitalità artistica che molti le invidierebbero. Tra le sue occupazioni citiamo la collaborazione con importanti istituzioni musicali italiane ed estere, una discografia non piccola e affidata a prestigiose etichette, i suoi lavori per il teatro musicale "La Paura" e "La Gattomachia", avvincente favola musicale per narratore, violino concertante e archi. Senza dimenticare la sua attività di pianista e la nomina a Krug Ambassador, che le ha dato il destro per comporre "Lives through a glass", pezzo pianistico poi incluso nell'album Self Portrait - Piano Works. Alla luce di queste importanti esperienze, cosa significa per lei il termine "entusiasmo" e come riesce a conciliarlo con i tempi di un'attività che non esiterei a definire frenetica?
OS: L'entusiasmo e l'amore per ciò che si fa è, o meglio dovrebbe essere, alla base di qualunque professione. Mi ritengo fortunato perché ho l'occasione di lavorare su progetti e idee che mi interessano molto e che cerco di ponderare con molta attenzione. Questo mi permette di dedicarmi alla composizione, ma anche all'attività pianistica, cercando di dare tutto me stesso.
ADP: Sono molto curioso di conoscere la scaturigine della sua opera "La Gattomachia". Ha voglia di parlarcene più in dettaglio?
OS: Nacque da una commissione dei Cameristi della Scala che mi chiesero di pensare ad un brano per narratore e orchestra d'archi da eseguire al Teatro alla Scala in occasione di un concerto destinato alle famiglie. Mi capitò di leggere La Gatomaquia di Lope de Vega, che mi incuriosì molto anche se non si trattava proprio di una favola per bambini. Decisi di lavorarci creando un libretto, ispirandomi liberamente a Lope de Vega, ma, di fatto, scrivendo molte parti della storia ex novo. Ne è risultato una sorta di doppio concerto per violino, attore e archi pensato non tanto per i bambini quanto per gli adulti che sono chiamati a riscoprirsi bambini. Dalla prima esecuzione alla Scala, nel 2017 il brano è stato eseguito tante volte e viene ancora riproposto, tanto che mi ci sono un po' affezionato.
ADP: Son venuto a sapere, scorrendo la sua biografia, che lei è anche appassionato di cucina. Mi consenta quindi una domanda extra-musicale: qual è il piatto che le riesce meglio e cucina con maggior soddisfazione?
OS: La cucina è la mia passione più grande. Sono capace di stare giornate intere ai fornelli curando ogni dettaglio, a partire dalla scelta degli ingredienti. Non saprei dire quale sia il piatto che mi riesce meglio. Nei mesi freddi prediligo i piatti che richiedono cotture lunghe, dal baccalà, ai brasati, agli stracotti, ai piatti della tradizione lombarda come i rustin negàa, o i mondeghili, naturalmente i risotti. D'estate mi dedico a ricette più mediterranee, privilegiando verdure di stagione, o pesce. Stamattina al mercato ho comprato un polpo gigante, ne ho fatto un ragù.
ADP: Devo confessarle di non amare molto la musica composta al di fuori dell'ambito tonale, eppure sono rimasto molto colpito dalle sue composizioni. In un'opera, per esempio, come "Diario di un poeta for cello and piano", riconosco la tensione verso antichi stilemi classico/romantici, inglobati in uno scheletro che tuttavia sorregge echi spettrali e intrisi di un'espressività che si nutre di variegate tensioni. Quanto conta per lei la struttura architetturale di un brano, quella stessa che in lei io trovo geometricamente impeccabile?
OS: Avere la consapevolezza di come concepire una forma musicale dovrebbe essere il primo pensiero di ogni compositore, così come per un architetto organizzare o progettare uno spazio. La musica, almeno secondo me, non può prescindere dalla retorica intesa come arte del parlare, e come l'arte oratoria deve convincere, sedurre, fermare il tempo o crearne uno possibile, al di là del linguaggio utilizzato.
ADP: In "Sol Invictus per coro e orchestra" del 2016 rinvengo echi di estrema suggestione, legati a una particolare concezione della luce che mi riporta a composizioni come "Ola de Fuerza y Luz" di Luigi Nono. Forse troverà fantasiose le mie delle considerazioni, ma nel gorgo sonoro sinfonico/corale della sua composizione, senza per questo dire che sia stata influenzata dalla complessa opera noniana, riconosco un comune "climax" espressivo. Concorda o è in dissenso con questa mia visione?
OS: Ritengo che la musica abbia il potere di scatenare ricordi, associazioni, connessioni tra quel che si sente e quel che riporta alle proprie categorie di ascolto. Personalmente credo di essere molto lontano dalla musica di Nono, anche se amo alcuni aspetti del suo lavoro, ma la ringrazio. E' forse troppo generoso essere accostati ad un gigante del '900.
ADP: Parliamo dell'Orazio Sciortino pianista. Anche qui io trovo una grande lucidità strutturale, meticolosità digitale e una visione che è sempre molto rigorosa e in qualche modo "impersonale" dell'opera sotto le sue mani. Mi riferisco pure alla sua bellissima interpretazione dell'Op. 19 di Beethoven, resa con tratti di rimarchevole matericità. Quale è stato in questo specifico campo il lascito dei suoi maestri Boris Petrushansky, Michel Dalberto e Louis Lortie?
OS: Non posso negare che la mia attività pianistica risenta dell'influenza di quella di compositore. Comporre mi porta inevitabilmente ad avere un approccio sempre molto analitico nei confronti della musica che interpreto. Dico sempre che un musicista è come un albero che si nutre di tante cose, esperienze, incontri, riflessioni, e quindi anche maestri dai quali si impara anche a sbagliare.
ADP: Proseguendo con le sue composizioni, mi ha davvero affascinato la sua capacità di assorbire, interiorizzare e restituire in una luce di estrema modernità stilemi del passato, operazione da lei compiuta con il suo "Intermezzo ritrovato - Azione musicale per cant-attore e ensemble", un formidabile caleidoscopio in cui si compongono immagini di sicura eleganza, ironia e anche un velo di nostalgia per un trascorso glorioso.
OS: Essendo un'opera che avrà una revisione e una riedizione preferirei saltare questa domanda.
ADP: Nella sua musica trovo un tipo d'intelligenza che definirei chiarificatrice, una sorta di potente arma atta rendere lucido, interessante e foriero di un'intima ragion d'essere ciò che lei vuole esprimere. Può essere questa una chiave di lettura per la comprensione di un repertorio che, le confesso, faccio fatica a comprendere e interiorizzare?
OS: Credo che avere una idea chiara e riuscire a esprimerla in maniera altrettanto chiara debba essere l'obiettivo principale di ogni musicista, sia interprete o compositore. Torno a dire, un po' come i grandi rétori del passato erano capaci di sedurre il loro uditorio, così il musicista dovrebbe fare con il suo pubblico.
ADP: Vorrei farle davvero tante domande maestro, ma me ne permetta un'ultima. Per gettare lo sguardo al futuro, potrebbe dirci cosa bolle in pentola nella "cucina" di Orazio Sciortino. Quali sono, in buona sostanza, i progetti su cui sta lavorando e che si materializzeranno in futuro?
OS: I progetti sono sempre tanti, sia come compositore che come pianista, ma un po' per scaramanzia preferisco rimandare ad una prossima piacevole conversazione con lei.
Alfredo Di Pietro