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viernes, 29 de marzo de 2024 ..:: Intervista con Victoria Terekiev e Gilda Buttà ::..   Entrar
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 INTERVISTA IN TANDEM CON VICTORIA TEREKIEV E GILDA BUTTÁ Minimizar

Victoria Terekiev

Gilda Buttà

 

 

Alfredo Di Pietro: Innanzitutto complimenti a entrambe per il bellissimo CD, di recentissima uscita, "Postcard From Italy".

Gilda Buttà: Grazie! È un disco nostro, dove coesistono due personalità diverse ma allo stesso tempo simili.

ADP: Victoria e Gilda, nel ringraziarvi per l'intervista concessami, come prima domanda vorrei chiedervi come, quando e dove nasce la vostra passione per la musica e il pianoforte.

GB: Questa è una domanda composita, con una risposta che potrebbe essere anche lunga. Credo che ognuna di noi abbia un percorso, anche se poi è l'amore per la musica a unirci entrambe. Io ho iniziato con mio padre, lui era violinista e in casa avevamo un pianoforte, quindi ho sentito musica mentre ero ancora nella pancia di mia madre, di questo sono assolutamente certa. È stato un cammino non obbligato, avendomi lui sempre detto che, se volevo, potevo smettere di studiare musica anche un secondo dopo. Tutto si è rivelato molto naturale. Sono siciliana, andata via da casa all'età nove anni per venire a studiare a Milano, al Conservatorio Giuseppe Verdi, ed è proprio lì che ho incontrato e conosciuto Victoria; allora avevo dieci, undici anni. Non ci siamo frequentate molto in quel periodo poiché eravamo in due classi di pianoforte diverse, comunque ci vedevamo, io sapevo chi era lei e viceversa. Quando mi chiedono come mai faccio la pianista, penso di essere una persona estremamente fortunata in quanto ho scelto di farlo quando avevo soltanto cinque anni. Non ho mai cambiato idea e nella mia vita, ho sempre fatto questo e proseguirò a farlo, senza che mi sia chiesta neanche una volta il perché e il percome. Posso dire che se rinascessi rifarei "in toto" tutto quello che ho fatto, con tutte le gioie e i dolori annessi.

ADP: Sono molto belle queste due parole che ha usato, gioie e dolori. Sono persuaso che questi due elementi spesso sfuggano a chi ascolta.

GB: Sfuggono perennemente, come continua è la stupida domanda che mi viene rivolta sin da piccina, ma anche oggi a distanza di tempo: "Ok, cosa fai nella vita?" E io: "Faccio la musicista, la pianista". "Va bene, ma per campare cosa fai?" mi viene risposto di rimando. Intendo dire che, nonostante tutto, sia io che Victoria forse qualcosina nella vita abbiamo realizzato, eppure ancora questa domanda si presenta inopportuna e credo che ce la porteremo dietro sino all'ultimo respiro. Per questo, dicendo "gioie e dolori" mi riferisco a questo perpetuo ripeterla. Il nostro mestiere non è fatto di paillettes, trucchi e ammennicoli vari, ma d'intenso lavoro, costante stanchezza, senza sabati, domeniche né Natale, Capodanno e feste. Gioie perché mi va benissimo di non fare feste, essendo per me tutti i giorni della settimana perfettamente uguali. Questo lavoro più che sceglierlo io, mi ha scelto.

Victoria Terekiev: Concordo completamente con Gilda da metà della sua risposta. Ho iniziato a suonare il pianoforte perché mio padre amava molto la musica, in Bulgaria suonava il clarinetto con una facilità impressionante e anche il pianoforte. Quando si sposò con mia madre, decise di prendere un piccolo Grotrian-Steinweg da studio, strumento meraviglioso che mi sono ritrovata in casa sin dalla mia nascita. Lui ci teneva molto che studiassi con Stefka Mandrajieva, che è stata la mia più grande insegnante. A lei devo veramente tutto, mi affiancò durante gli anni di conservatorio e non solo, essendomi stata accanto anche quando vinsi la borsa di studio a Monaco di Baviera, tengo a precisare unica italiana ad averla conseguita. Questo finanziamento mi permise di studiare alla Hochschule für Musik und Theater, prestigioso istituto monacense, con Aloys Kontarsky. Nel frattempo feci lezioni anche con Tatjiana Nikolajeva e con il Trio di Trieste per la musica da camera. Insomma, ho fatto un po' di esperienze con grandi maestri e questo è stato il mio inizio. Ho sempre avuto un rapporto con il pianoforte bello ma anche molto conflittuale, nel senso che mi reputo una pianista piuttosto particolare a causa delle mie scelte, che vertono su repertori non tanto conosciuti. Si tratta di una tendenza che ho avuto sin da piccola, da quando amavo andare a curiosare nella biblioteca del conservatorio. Allora mi piaceva suonare un po' di tutto, sempre nell'ambito della musica classica. Conflittuale, tengo a precisare, perché non mi sento una pianista "classica", esclusivamente votata a compositori come Chopin, Schumann, Schubert. Ovverosia, li posso anche suonare, in realtà l'ho già fatto, ma negli anni i miei interessi si sono di molto allargati ed è questo uno dei motivi per cui io e Gilda ci siamo scelte. Lei è una donna e pianista favolosa che, come me, ama spaziare a 360° tra la musica. Con questo spirito condiviso abbiamo abbracciato il repertorio che proponiamo nell'album "Postcard From Italy", entrambe curiose di allargare le nostre frequentazioni a musiche poco note. Poi magari verrà il giorno che eseguiremo insieme le Danze ungheresi di Brahms o altro, se ne avremo voglia.

ADP: Gilda, lei è nata da genitori siciliani. Quanto la sua provenienza geografica ha influito sul suo modo di suonare?

GB: Sicuramente ha influito, com'è inevitabile che accada. Diciamo che sicuramente ho nel DNA un carattere anche geografico. Il mio modo di suonare, non lo dico io ma l'hanno affermato un po' di persone in passato, è molto influenzato dall'essere io siciliana, tuttavia parecchio mediato anche dai miei maestri. Ho studiato a Milano con Carlo Vidusso, il suo insegnamento ha perciò inciso sulle caratteristiche del mio pianismo. La sua scuola era, guarda caso, sudamericana poiché lui era italiano, ma nato in Cile e studente in Argentina. Da questo particolare si può capire come la Sicilia fosse abbastanza accomunata al suo modo di sentire, era però una persona estremamente rigorosa, dunque la mia sicilianità è stata stemperata dallo studio milanese, pur con quest'ascendenza argentina. Di questo sono stata consapevole proseguendo nella mia carriera artistica, viepiù crescendo e maturando umanamente nel tempo. Quando ero piccina, Vidusso mi diceva che ero una specie di vulcano, alludendo non casualmente a quelli siciliani. La vita e lo studio hanno poi mitigato questo mio carattere, insieme al lavoro e a quei cambiamenti che inevitabilmente porta il progredire. Ciò che sono ora è un miscuglio derivante dalle cose che mi sono capitate. Come dice anche Victoria, ho seguito un itinerario assolutamente classico, quindi concorsi, alcuni vinti, un sacco di musica classica, tanto Liszt. Ho sempre conservato, tuttavia, un forte spirito di curiosità, che continuo imperterrita ad avere ancora oggi. Questa è la ragione per cui mi divido tra il repertorio classico e i tanti stimoli che mi sono passati per strada, treni che ho preso con grande piacere perché mi attraevano. Mi ritengo altresì una pianista da sala di registrazione. Casualmente mi sono capitate delle occasioni, che io chiamo treni, in buona sostanza degli incontri, la conoscenza di molti compositori sia legati al cinema che non. Mi sono immersa nella musica contemporanea con Spettro Sonoro a Roma, un gruppo storico di contemporanea cui all'epoca si affidavano moltissimi musicisti. Ho frequentato la musica per il cinema, ma proseguendo ostinatamente ad alternare i generi. Pertanto, ho sposato al volo con Victoria la decisione di fare questo progetto sul novecento italiano, anche perché l'italianità mi ha sempre interessato. Avevo già suonato la Scarlattiana di Casella piuttosto che opere di Goffredo Petrassi, il maestro di Ennio Morricone, e proprio con quest'ultimo ho continuato a collaborare per più di trentacinque anni. I 360° forse non bastano a contenere tutte le mie avventure musicali, vorrei avere un paio di dita in più per poter continuare a esplorare la musica. Sono meno topo da biblioteca e più donna da sala di registrazione.

ADP: Victoria Terekiev nasce da padre bulgaro e madre italo-bulgara, 3/4 + 1/4 di sangue ritmico, come ama dire. Quanto la provenienza geografica ha influito sul suo modo di suonare?

VT: Qui dovrei parlare per almeno dieci minuti, ma cercherò di essere più concisa. La mia nascita è tutto, ha completamente coinvolto il mio essere. Le origini bulgare sono presenti in ogni momento della mia vita, ma anche l'Italia poiché qui sono nata, pur avendo sentito sin da subito i miei genitori parlare in bulgaro e in italiano. Loro leggevano libri scritti in tante lingue, ho avuto la fortuna di crescere con genitori che amo definire persone di mondo, con un'identità molto eterogenea. Questo ha influenzato tantissimo anche il mio modo di suonare, le scelte artistiche, il fatto che io sia un topo da biblioteca, ma non solo. Suono principalmente il repertorio che m'interessa, ho scoperto quello bulgaro quando in Italia non era ancora noto.

 



ADP: Trovo Pancho Vladigerov un compositore meraviglioso.

VT: Vero, lo è assolutamente, ma oltre a lui ce ne sono tanti altri che hanno vissuto nello stesso periodo. Personalmente, amo davvero tanto la musica del '900, le mie ultime incisioni, compreso Postcard From Italy, riguardano infatti tutte questo periodo. Non essendo più una giovinetta, mi rendo conto di avere preferenze insolite, tutte viaggianti su questi due binari, due treni come li ha chiamati Gilda: Sofia-Milano, Milano-Sofia (ma non solo), allargando l'orizzonte alla Russia e all'Est Europa. Mio papà, persona stupenda, che era molto discreto quando studiavo, non volendo mai disturbarmi (bussava sempre alla porta prima di entrare), quando eravamo a tavola però mi diceva: "Ma perché non li guardi questi libri bulgari? E io rispondevo: "Ma figurati papà, non ho tempo. Devo prepararmi per il concorso, per l'audizione". In quel periodo stavo magari studiando la Fantasia di Schumann o altri pezzi massacranti. Malauguratamente, il conservatorio negli anni '70 del secolo scorso, e questa è una verità, mi aveva reso vittima di una certa rigidità didattica, per la quale certi compositori si studiavano e altri no. Ricordo che lo stesso Čajkovskij, da me follemente amato, come altri compositori russi del '900 non godeva di buona reputazione perché ritenuto melenso, cosa che a me faceva francamente inorridire. Per fortuna, grazie al mio DNA e alla cultura che ho ricevuto a casa, mi sono sbarazzata abbastanza presto di questi pregiudizi.

GB: Questo è quello che è capitato a te Victoria, invece nel mio percorso di quegli anni è avvenuto il contrario. Se parliamo degli insegnanti con cui interfacciarsi, io ne ho avuto uno che era invece di un'estrema curiosità.

VT: Sono daccordissimo, era totalmente diverso dal mio.

GB: Quando ero piccola, negli anni '70, avevo da studiare Petrassi, Arenskij, Rachmaninov.

VT: Tutto vero. Io che avevo bisogno di spaziare, di esplorare nuovi territori, mi sentivo molto stretta. Ecco perché quando volevo seguire altri docenti, mi sono guarda caso trovata di fronte a dei mostri di cultura internazionale come Aloys Kontarsky, al quale Karlheinz Stockhausen ha dedicato il brano per due pianoforti Mantra. Avevo bisogno del contatto di questi docenti. Un altro dei miei mentori è stato il maestro Antonio Janigro, violoncellista, grazie al quale ho iniziato a fare musica da camera. Ma, pensandoci bene, chi sono andata a prendere? Un italiano vissuto a Zagabria. Come vede, quei collegamenti geografico/culturali sono costantemente presenti nelle mie scelte.

ADP: Gilda, può lasciarmi un ricordo del suo maestro Carlo Vidusso?

GB: Mi vengono in mente più cose, attribuibili a due periodi diversi. La prima, quando ero veramente molto piccola, riguarda i pianti che mi sono fatta. Lui era famoso perché nella sua classe ogni anno entravano un certo numero di studenti, per esempio dieci, poi strada facendo diventavano sette e alla fine dell'anno rimanevano in quattro o cinque. Questo avveniva puntualmente per ogni periodo scolastico. In realtà, non li mandava via lui, ma si autoeliminavano perché il modo di lavorare che imponeva era veramente molto duro. I primi tempi, quando io avevo nove o dieci anni, ho versato molte lacrime e rammento i libri che sono volati fuori dalla finestra del conservatorio, testi che poi sono dovuta andare a raccattare giù per strada sul marciapiede. Questa è una primissima piccola parte di vissuto, la seconda, quando invece ho capito cosa lui volesse, è andata liscia come l'olio, più che bene direi. Iniziavo io a far lezione, cosicché il maestro si tranquillizzava e gli altri studenti avevano in qualche modo la strada spianata. Ma la cosa che più ricordo è questa: a quei tempi vivevo in collegio a Milano e molto spesso, se dovevo da suonare, come mi capitò per un concerto al Ponchielli di Cremona, andavo a dormire direttamente da lui. Le reminiscenze musicali sono talmente tante che non posso sceglierne una. In un certo anno vinsi il premio Liszt, che allora si faceva a Livorno; la preparazione all'esibizione veniva fatta a casa sua. Mostrando estrema generosità, Vidusso stesso veniva a prendermi per fare lezione, tenendomi da lui per intere giornate. Pranzavo, cenavo e dormivo in casa sua. Nella mia modalità di essere questo comportamento è rimasto profondamente radicato in me, pure nell'esercizio dell'attività d'insegnante. Quello mi è stato dato e quello ho tornato indietro. Mi torna in mente anche un episodio particolarmente carino: una notte tossivo, lui se ne accorse e chiamò il conservatorio, i miei insegnanti di armonia e storia della musica, dicendo che non stavo bene e che quel giorno non sarei venuta a lezione. Andò anche a comprarmi del miele per lenire la tosse. Così si è passati dall'uomo che mi aveva fatto tanto piangere quand'ero piccina, alla persona con il cuore più grande che io abbia mai incontrato nella vita.

ADP: È molto vero quello che dice perché, a volte, personalità che possono sembrare rudi, anche violente, nascondono una grande tenerezza interiore.

GB: Molto probabilmente, con quello che faceva Carlo Vidusso oggi si sarebbe andati non dico in galera ma quasi. Arrivavano certe pacche sulle spalle, sia che un'esecuzione andasse bene sia che andasse male. E le garantisco che aveva delle palanche al posto delle mani che erano "interessanti". Chiaramente ora non può farlo più nessuno. Appariva come una persona rude, ma in realtà un orso con un cuore enorme.

ADP: Victoria, mi consentirà di menzionare in quest'intervista un mio grande amore musicale. Adoro da sempre l'arte di Tatjiana Nikolajeva, grande pianista con cui lei ha studiato. Vorrebbe ricordarci la sua figura?

VT: Non ho studiato anni con Tatjiana Nikolajeva ma ho fatto dei corsi con lei. Era un'insegnante un po' alla Vidusso, rude, ma quando comprendeva la tua musicalità ti amava follemente.

ADP: Victoria, lei è impegnata nella divulgazione del repertorio bulgaro del '900, da noi ancora poco conosciuto, e ha anche tenuto una masterclass intitolata "La musica classica bulgara con i colori del folklore". È un tipo di repertorio che io apprezzo molto, soprattutto dopo aver conosciuto il suo precedente CD "Aquarelles". Ascoltandolo e riascoltandolo, sempre più forte in me si è presentato l'interrogativo del perché una musica così bella e dai colori così intensi non abbia ancora pienamente raggiunto la considerazione che merita. Lei ha una spiegazione in merito?

VT: Certo che l'ho, ma rischio di diventare molto polemica. La spiegazione è che, purtroppo, a tante stagioni concertistiche interessa meno un repertorio bulgaro perché non è conosciuto e, di conseguenza, è difficile che riscuota successo.

ADP: Diciamo che tira meno nei botteghini.

VT: Esattamente. Questo è almeno quanto succede in Italia poiché, COVID-19 permettendo, io dovevo suonare a Londra già alla fine di agosto, il concerto è poi saltato per il moltiplicarsi dei contagi. Idem per la Bulgaria, Paese anch'esso in questo momento nella lista nera dei contagi e dove solo il 28% della popolazione è vaccinato. In tali Paesi, al netto dell'Italia, si ascolta ogni genere di repertorio classico. Ci sono altri pianisti che stanno incidendo opere di Vladigerov, autore che comunque si ascolta maggiormente rispetto a qualche tempo fa, tuttavia mi dispiace tanto che qui da noi rimanga molto difficile proporre un repertorio di questo tipo. Ovvero potrei farlo, ma mi è stato chiesto di mettere nel programma di sala dei brani considerati di maggior richiamo.

ADP: Gilda, il lavoro che svolge la porta a viaggiare molto, qual è il Paese con cui si è più sentita in empatia, rimanendogli nel cuore?

GB: Sono tanti e completamente diversi uno dall'altro. Disgraziatamente, per via della pandemia siamo adesso un po' più fermi, almeno per quanto riguarda i viaggi all'estero. Ho avuto un grande rapporto con la Cina, ci sono più volte andata nell'arco di un lungo periodo di tempo, rimanendovi mediamente un mesetto per ogni viaggio. Ho avuto perciò modo di conoscerla un po' meglio degli altri Paesi. Non so quanto con essa mi sia sentita in empatia, ma posso dire di averla conosciuta abbastanza bene, l'ho girata in lungo e in largo, incuriosendomi moltissimo proprio per la capacità di accogliere tutto quello che arrivava dall'Europa. Non solo, lì la musica classica è veramente molto seguita, ho visto i cinesi affamati di cultura e di bellezza. Un altro luogo dove per diverse motivazioni mi sono trovata bene è il Brasile, per quella sorta di empatia vulcanica di cui parlavo prima e per la voglia, la passione di fare musica. Alla fine della fiera credo di star bene un po' dappertutto poiché, come sono curiosa verso la musica, altrettanto lo sono per il genere umano, comprese le abitudini e le diversità. Sono proprio queste ultime che rendono ricco l'animo dell'uomo. Ci metto dentro qualsiasi cosa: il cibo, la musica, i suoni, i profumi. Ecco perché è difficilissimo che io mi trovi male in un posto.

 



VT: Per quello che mi riguarda, il concerto più emozionante della mia vita è avvenuto nel settembre 2018 a Burgas, in Bulgaria. Ero nell'Accademia di Musica per dare una lezione-concerto agli studenti della scuola, dai più piccoli agli universitari dei bienni e trienni accademici. La mia grande palpitazione derivava dal fatto che ero io a suonare la loro musica, mentre loro mi ponevano delle domande sul compositore Pančo Vladigerov, tra l'altro noto patriota. In quell'occasione mi sono confrontata sul repertorio che amo di più, il bulgaro, anche se mi piace molto pure quello dell'Est Europa, Russia compresa. Ho sentito il calore dei bambini e dei ragazzi che stavano vicino a me. C'è una mia bellissima foto con questi trenta giovani entusiasti, i quali mi chiedevano tante cose, per esempio come vedevo da italiana la musica bulgara e in che cosa ci potessero essere delle somiglianze. Invece in Germania mi sono trovata molto a mio agio nell'affrontare la musica romantica, ho suonato a Vienna e Innsbruck con un trio, interpretando tutti i trii di Schumann. Ho davvero avvertito una partecipazione umana che mi ha stupito, da residente a Monaco per quattro anni, una città che non è tipicamente tedesca, recando in sé il calore del sud. Anche quando ho suonato a Vienna, città in cui non si respira certamente un'aria germanica, e in generale Austria con questo trio, mi sovviene il ricordo di un pubblico molto caloroso e competente, diversissimo da quello che può essere il bulgaro.

ADP: Da pochi giorni è uscito per l'etichetta Da Vinci Classics il CD "Postcard From Italy", dedicato ai compositori italiani Respighi, Malipiero e Martucci. Potete raccontarci come si è giunti alla definizione di questo duo pianistico?

VT: Ci siamo incontrate, ritrovate dopo quarant'anni. Seguivo da lontano Gilda, sapevo cosa faceva, immagino anche lei di me. Un giorno le ho scritto un messaggio su Facebook, perché non avevo il suo numero di cellulare, dicendole: "Ma tu stasera suoni al Teatro Massimo di Palermo? Se sei lì io sono in questa città, ci beviamo un caffè insieme?" Ci siamo quindi accordate per un appuntamento. La vidi a cento metri di distanza mentre mi faceva dei cenni, e io pensai: "Ma come fa a riconoscermi?" Io adoro gli occhiali da sole, ne ho un'intera collezione e quel giorno, non so perché, me ne sono messa un paio. Lei, che non mi vedeva da quarant'anni, mi ha riconosciuto da quella distanza, lo stesso io grazie al biondo dei suoi capelli, alla sua "mise" molto fine con il nero e l'argento insieme. Sembrava che non ci vedessimo dalla sera prima.

GB: C'è poco da aggiungere, è avvenuto proprio così. Ci siamo riconosciute subito.

ADP: Al primo ascolto del vostro nuovo disco sono rimasto colpito dal pianismo forte che esprimete, dall'indole scultorea e nettato da qualsiasi compiaciuta languidezza. Anche nei frangenti più tenui e cantabili, la vostra interpretazione non è mai priva di carattere o tendente a un effetto "flou", come si dice nel gergo fotografico per indicare un'immagine dai contorni morbidi e un po' indefiniti. Era questo il vostro vero intendimento?

GB: Assolutamente si, ma credo che non ce lo siamo mai neanche dette. Quando ci siamo scelte eravamo già consapevoli della nostra personalità. Prima parlavamo di rigore, del carattere bulgaro e del siciliano, tutti elementi che hanno portato all'esternazione da parte nostra di una determinata espressività. In realtà, la parola d'ordine è sicuramente l'emozionabilità, perché senza di quella io mi rifiuto di suonare.

VT: Emozionabilità, aggiungo, nel senso bello del termine.

GB: Certo, dimenticando proprio il "flou". Ti ringraziamo per le domande precedenti perché si vanno a inanellare una nell'altra. Quando parlo di emozionabilità, mi riferisco a un qualcosa che viene dal profondo, ma anche dalla fermezza. Si parte da questa per arrivare a quello che uno è. Ecco che il nostro non voler compiacere e non voler giocare sul facile ci consente di approdare essenzialmente a quello che noi siamo, poi se va bene va bene, altrimenti pazienza. L'importante è essere state oneste con noi stesse.

ADP: Victoria, dev'essere stata una grande emozione per lei, appena undicenne, suonare due Preludi di J.S. Bach alla RAI nel programma televisivo "Spazio musicale", dove nella medesima puntata c'era il pianista Dino Ciani. Come ricorda quell'episodio?

VT: Rammento che la cosa più bella è stata il contratto fatto a mia madre, con su scritto: "Per la bambina Victoria Terekiev e per la lei mamma". È stato il mio primo stipendio. Fui chiamata da Gino Negri, che mi aveva sentito suonare i Papillons di Schumann a un saggio del conservatorio. Fu lui in seguito a chiamare il maestro Abbado, chiedendo il nominativo dei miei genitori, perché voleva che suonassi in quella trasmissione. Non ero al corrente però della presenza di Dino Ciani, lo conoscevo, avevo in casa i suoi dischi, ma non sapevo che fosse lì in quella trasmissione. Mi portarono nello studio RAI di Corso Sempione e mi trovai di fronte quest'uomo bellissimo. Rimasi affascinata dai suoi movimenti, lui fluttuava, non per niente ha poi suonato Debussy, aveva un modo di camminare e di sedersi inconfondibile. Ascoltò la mia esecuzione, io ero ovviamente molto emozionata che lui fosse lì. Dopo mi disse delle cose molto belle che ancora oggi mi porto dentro. Mi rivolse anche delle domande sui miei insegnanti e altre cose che si possono chiedere a un bambino studente. Ho in mente davvero tutto di quel giorno.

ADP: Gilda, cosa ricorda della sua prima esecuzione in pubblico?

GB: La mia prima esibizione sarà stata intorno agli otto anni d'età. Mi sono diplomata che ne avevo sedici, quindi il mio esordio fu molto precoce. Avendo un padre violinista, era quasi inevitabile che si verificasse. Se parliamo del Conservatorio di Milano, la mia prima non fu lì poiché avevo fatto tanti altri saggi in precedenza. Una che mi porto nel cuore e che Victoria ricorda bene è la Totentanz di Liszt con l'orchestra a Milano in Sala Verdi.

ADP: Tecnicamente terribile...

GB: Credo di si, ma lo portai a casa. Avevo circa quindici anni, quella è stata la prima volta ufficiale, il resto erano concerti fatti un po' in giro, concorsi, esibizioni dei vincitori. A Milano non si faceva il saggio con l'orchestra a fine anno, quella volta fu dato a dicembre, per esempio, e lo stesso insieme strumentale era un miscuglio fra studenti del conservatorio ed elementi della RAI o dei Pomeriggi Musicali. Era anche presente il mio maestro Michelangelo Abbado.

ADP: Parliamo del pianismo moderno. Secondo il vostro parere quale piega ha preso quello degli ultimi tempi, in riferimento alle tendenze tecnico/interpretative e a quelle qualità che risultano più vincenti ai concerti?

GB: Io mi rifaccio sempre molto, anche per una questione d'età, ai vecchi interpreti, avendo loro come punto di riferimento. Però, in tutta sincerità, trovo che le nuove generazioni siano assolutamente da ascoltare, figlie di un mondo pianistico che è completamente cambiato. È reale il discorso sui concorsi, è reale tutto quanto, ma ritengo ci sia una grande qualità e una grande ricerca anche attualmente. Tanto è vero che, guarda caso, i pianisti destinati a rimanere nella memoria, e parlo dei giovani, sono proprio quelli che hanno cambiato la modalità del suonare. Non è avvenuta cioè non un'unificazione. In tempi precedenti si pensava agli orientali come a delle fredde macchine da guerra, ma ritengo che oggi non sia più così, anzi. Sono molto ottimista da questo punto di vista perché sto ravvisando nei giovani delle grandi capacità di cambiamento. È chiaro che se ascolti Cortot, apprezzi tantissime cose ma ti rendi conto che era completamente un altro modo di suonare. Vivo nel mondo odierno, per cui anche su questo sono grandemente curiosa, cerco d'imparare da tutti, compreso il bambino di due anni, nella convinzione che in questo mestiere si debba continuamente crescere, senza avere pregiudizi né di età né di modalità esecutive.

VT: Io, come saprà, sono anche docente e ho degli studenti che stanno vincendo concorsi, vengo inoltre chiamata spesso nelle giurie. L'altro giorno ho parlato a lungo al telefono di quest'argomento con l'amico Luca Ciammarughi. È in corso a mio giudizio una muscolarizzazione del modo di suonare, su questo io e Luca siamo in perfetta sintonia, si assiste purtroppo alla tendenza di dividere il pianista muscolare da quello che non lo è, stabilendo le equazioni: più musicalità/meno tecnica, più tecnica/meno musicalità. A me non piace questo modo di pensare. I giovani oggi hanno sicuramente una struttura fisico-anatomica che, per questioni di alimentazione e tenore di vita, è più prestante di un tempo. Per dirle, ho un'allieva russa di otto anni che mi fa impressione perché ha una mano stupenda, se la confronto con quelle che si trovavano ai miei tempi, sono costretta a constatare che tutto è cambiato a livello fisico. Anche io, come Gilda, ho una grande fiducia nei giovani, la docenza è una parte molto importante della mia vita e a questa dedico tantissimo tempo, vedo con buoni risultati. È bello riuscire ad ascoltare un giovane che ha un'idea nuova, perché non farlo? Se questa effettivamente c'è, non frustriamola perché si ha paura della novità, poiché da essa il docente stesso può trarre insegnamento.

GB: Praticamente siamo sulla stessa lunghezza d'onda.

VT: Ciò che ha detto Gilda sull'imparare dai giovani lo metto in pratica tutti i giorni. Ho come allieve due bambine di otto anni e mezzo, le uniche in età così tenera, dalle quali sto apprendendo veramente molto. Capisco che, per esempio, nel momento dell'insegnamento devo instaurare con loro una dimensione ludica, soddisfare le loro desiderata quando mi chiedono: "Victoria, mi fai sentire qualcosa?", alla quale io rispondo: "Va bene, ti faccio ascoltare qualcosa poi me la fai sentire tu." Alla fine l'ora di lezione, che non è un tempo agevole per un bambino, vola e regolarmente mi sento dire: "Ma come, è già finita?" Questo mi provoca una gioia enorme. I giovani sono molto curiosi, siamo noi a dover rivedere il nostro pianismo in modo tale da renderlo più morbido, non bisogna pensare che l'esecutore è bravo perché sa suonare meravigliosamente le Variazioni Paganini di Brahms e poi magari non ti sa fare una Mazurka di Chopin piuttosto che un brano dall'Album per la gioventù di Schumann. Un bravo pianista deve saperli fare tutti e tre. Bisogna ascoltare, ascoltare, ascoltare.

ADP: Mi permetto d'inserire una mia piccola considerazione: il bambino ha molti meno schermi di noi e ti dice le cose in modo spontaneo.

VT: Certamente, ma soprattutto da quando insegno ho compreso che la musicalità dei bambini più piccoli va lasciata uscire liberamente. Non puoi dirgli: "Prova a fare più crescendo" perché questo diventa un'imposizione. Se tu nella vita fai il pianista o il musicista, la musicalità non puoi insegnarla, o ce l'hai o non ce l'hai.

GB: Io ho insegnato quarantatré anni in conservatorio e da un anno sono felicemente in pensione. Sento il bisogno di ricaricare le pile perché ho insegnato per un periodo di tempo veramente lungo. Tutto quello che ha detto Victoria mi trova perfettamente daccordo. In questo momento mi sto depurando perché quando una persona ha dato molto in un campo, a un certo punto avverte la necessità di mollare. Sono in sintonia anche sul discorso dei bambini. C'è un mio allievo che sta facendo una grande carriera pianistica, ora studia con Benedetto Lupo. Sono stata io la prima a dirgli di andare via perché non puoi essere soltanto mamma chioccia, in un determinato momento si ha bisogno di altre persone che ti dicano cose diverse. Magari le stesse ma con un linguaggio che in quel momento arriva con maggior efficacia. Mi sono resa tuttavia conto che ci facciamo ancora delle grandissime chiacchierate, telefoniche e non, e io sto imparando tantissimo da chi vede il nostro mondo con occhi nuovi. Questa è l'enorme differenza: che i nostri occhi e le nostre orecchie sono antichi, certamente pronti a prendere, ma farlo con dei nuovi è tutta un'altra cosa.

ADP: Consentitemi un'ultima domanda. Potete anticiparci qualcosa dei vostri futuri progetti?

VT: Gilda, io per scaramanzia non parlerei dei nostri singoli, ma del nostro duo, se sei daccordo. Ci sarà un Postcard From Italy, che non sappiamo ancora se chiamare Volume 2. Ne parleremo io e Gilda insieme al nostro discografico. Questo rappresenterà la conclusione del ciclo di compositori della generazione dell'Ottanta. Nel primo non abbiamo fatto I pini di Roma ma nel secondo CD li eseguiremo, altrettanto dicasi per alcune composizioni di Casella, che tra l'altro abbiamo fatto in concerto. Un'altra bella anticipazione è che realizzeremo, in collaborazione con l'Archivio Ricordi, l'interpretazione di musiche scritte da Giulio Ricordi a quattro mani. Per quale ragione abbiamo scelto questo compositore? Perché la sua figura va a chiudere il ciclo storico della generazione dell'Ottanta, essendo stato innanzitutto il loro editore d'elezione. Malipiero non ha pubblicato tutto con lui, però Respighi, come anche Casella, la maggior parte delle cose si. Potremmo chiederci cosa c'entri Ricordi con gli altri due dal punto di vista squisitamente musicale. Non tanto è la mia risposta, nel senso che componeva una musica destinata a un pubblico eterogeneo.

GB: Si tratta di una scrittura tra virgolette un po' più naïf. Credo che Giulio Ricordi possa chiudere davvero il cerchio di questo progetto diventato doppio perché li ha conosciuti tutti ed è stato anche il loro editore. Siamo ancora alla ricerca di chicche da proporre, fermo restando che abbiamo un'idea abbastanza chiara di ciò che vorremmo mettere nel secondo CD. Stiamo tuttora rifinendo il progetto, nello sforzo di delineare l'anima di questo compositore/editore, consapevoli che dal punto di vista della scrittura viene fuori la sua parte più semplice. Tuttavia, approfondendo la sua arte ci rendiamo conto che, da uomo assolutamente colto, era spinto da grande curiosità, altrimenti non avrebbe evitato degli autori che in quel momento storico erano così diversi da loro, cioè da quello che il frangente storico portava all'attenzione.

 




Alfredo Di Pietro

Dicembre 2021


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