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 PianoSofia 2022 - La creazione è una parola femminile Minimizar


 

 

INTRO

Non nutro dubbi sul fatto che il pianismo femminile sia sensibilmente diverso da quello maschile, fermo restando che in ogni interprete, come in ogni persona, esiste una componente maschile e una femminile che trovano diverso bilanciamento. Pur mettendo in conto che l'immagine di una donna seduta al pianoforte potrebbe suggestionarmi, la mia esperienza e sensibilità d'ascoltatore mi dicono che anche a livello motorio esistono delle diversità, sicuramente corrispondenti ad altre che riguardano il cervello (e qui la professoressa Alice Mado Proverbio potrebbe riapparire sul palco per dire la sua). Uno studio pubblicato nel 2014 (Ingalhalikae) afferma che quello femminile mostra una maggior connettività tra gli emisferi, mentre quello maschile presenta prevalenti connessioni all'interno di ciascun emisfero. Tuttavia, se prendiamo in esame il cervelletto, la situazione si capovolge: nelle donne si riscontra una maggiore connessione intra-emisferica, negli uomini invece sono più estese le comunicazioni inter-emisferiche. Queste caratteristiche hanno un risvolto nell'attività cognitiva, per cui il cervello maschile favorisce la connessione tra percezione e azione, mentre la maggior connettività tra i due emisferi nelle femmine facilita la relazione tra l'elaborazione analitica delle informazioni (emisfero sinistro) e l'analisi intuitiva (emisfero destro). Non voglio impelagarmi in discorsi che non sono alla mia portata, ma concludo questo mio breve ragionamento asserendo che nelle donne alla tastiera ho spesso apprezzato una maggior elasticità di movimento, flessuosità, e quindi minor rigidità, che poi si riflettevano nell'esecuzione con una più spiccata immediatezza tra pensiero e azione, tra cuore e muscoli. In quest'appuntamento c'è stato un cambio di luogo, così come avvenuto nella scorsa edizione: il palcoscenico si trasferisce a Villa Litta Modignani, una bella residenza milanese sulla cui scelta i Direttori Artistici non credo abbiano almanaccato più di tanto. Alla mia richiesta d'informazioni su questa, una gentilissima bibliotecaria mi ha fornito una stampa della pagina Web e un link dove poter accedere direttamente alla sua storia.


VILLA LITTA MODIGNANI



Fu costruita nel 1687 da Pietro Paolo Corbella, marchese del Feudo di Affori, utilizzata come residenza estiva e luogo di ritrovo della migliore nobiltà milanese. L'edificio storico risente degli stili tipici del periodo in cui venne realizzato, la fine del XVII secolo, quando la sontuosa architettura barocca si andava ammorbidendo nel neoclassicismo Settecentesco. Semplice all'esterno ma sfarzosa negli interni, durante la seconda metà del '700 subì vari rifacimenti per mano di artisti di fama e ben presto arrivò a ricoprire un ruolo esclusivo. È circondata da un ampio e luminoso parco, uno dei più antichi di Milano, inizialmente concepito come giardino all'italiana (verrà trasformato dal paesaggista Ercole Silva in giardino all'inglese nell'800), la villa divenne degna cornice per soggiorni di villeggiatura della nobiltà in occasione di sontuosi ricevimenti. Sempre nella seconda metà del '700, vennero realizzate importanti opere migliorative e di abbellimento: il parco fu ampliato creando un grande viale d'ingresso alla Villa, lungo circa 200 metri, delimitato da quattro filari d'alberi alla cui estremità fu posto un complesso scultoreo in stile egizio con obelischi e sfingi, come esigeva la moda dell'epoca, noto come "I Sirenei". Il tutto permetteva l'ingresso in modo pomposo alle lussuose carrozze degli invitati, al cui passaggio si apriva l'artistica cancellata di ferro battuto (ora presso Villa Clerici al Niguarda). I "Sirenei" vissero in quegli anni il loro momento migliore.

Arriviamo al 1778, anno in cui fu realizzata la "Postale Comasina", importante via di collegamento tra Milano e Como, corrispondente all'attuale Via Imbonati - P. Rossi - Astesani - Comasina. La via, già esistente, fu ampliata, rimodernata nel tracciato e resa più velocemente carrozzabile. Sia il viale d'ingresso alla Villa con Sirenei, sia la "Postale Comasina" vennero realizzati dal conte Ingegner Francesco d'Adda, proprietario della Villa. Con l'arrivo di Donna Teresa Litta, la seconda moglie del marchese Corbella, giunse anche lo sfarzo e la vita mondana. La marchesa mostrò subito doti di grande abilità nell'attirare personalità di spicco della nobiltà dell'epoca, allacciò con loro amicizie e relazioni e rinsaldò, al tempo stesso, antichi vincoli di parentela con le casate più illustri. Fu un periodo di feste, incontri e sfarzo. Donna Teresa Litta rese le sale largamente ospitali e accoglienti; la Villa si aprì ai concittadini, agli italiani di altre regioni e anche agli stranieri. I ricevimenti erano sontuosi e la conversazione vivace. Gli interni furono abbelliti con tele, affreschi e arredi preziosi, come i mobili di Giuseppe Maggiolini, caratterizzati da un intarsio sottile, giallo su bruno, con arabeschi e girali. Non fu un caso dunque se la nipote di Maria Teresa d'Austria, Teresa, figlia dell'Arciduca d'Austria Ferdinando e Beatrice Ricciarda d'Este, tra l'altro amici dei proprietari di casa, nel 1778 scelse proprio Villa Litta per trascorrere un periodo di riposo, onde recuperare la salute dopo l'inoculazione di un vaccino. A testimonianza di quest'evento possiamo leggere la targa marmorea che il Conte fece murare sotto il porticato d'ingresso, a futura memoria.



La scritta è in latino e dice che la scelta fu dovuta all'amicizia e alla salubrità dell'aria. Nel corso dell'800, tra i cambiamenti importanti che riguardarono la Villa vi fu sicuramente la realizzazione di una nuova strada di congiunzione tra l'ingresso laterale della stessa e la "Postale Comasina, il "Viale Trivulzi", ora Viale Affori, per opera del Marchese Gerolamo Trivulzio, questo per favorire il percorso verso Milano alle carrozze che provenivano dalla Villa. Egli provvide ad alberarlo con piante in aggiunta ai plurisecolari platani già esistenti e dei quali quello davanti al ristorante "la Pianta" di Via Astesani (aperto fin dai primi del novecento) ci è rimasto quale ultimo e significativo esemplare. Altra opera importante che cambiò il destino di Affori fu la realizzazione, nel 1879, della linea ferroviaria che, se da un lato rappresentò un'innovazione necessaria allo sviluppo del borgo e della città e un miglioramento per la vita di molti lavoratori, dall'altro spezzò in maniera violenta l'unità del parco, consegnando, nel tempo, i "Sirenei" all'oblio. L'Ottocento fu il secolo in cui la Villa divenne di centrale importanza nella vita politica cittadina, soprattutto per il fermento culturale (e non solo…) che aveva luogo nel suo salotto e che tanto contribuì alla storia del Risorgimento. Nel '900 purtroppo scomparve il fasto dei secoli precedenti e la Villa ebbe un destino ben diverso. Nel 1915 fu temporaneamente adibita a luogo di ricovero per malati affetti da turbe psichiche e successivamente, nel primo dopoguerra, venne assegnata la manutenzione del parco a degenti alcolisti del manicomio.



Per tale ragione Villa Litta Modignani e il giardino saranno chiamati dagli afforesi con il nome di "La cà d'i matt" e "El giardin d'i matt". In seguito, con la seconda guerra mondiale, divenne luogo di ricovero per masse di sfollati e fu spogliata dei favolosi arredi, della preziosa cancellata di ferro battuto e delle tele, che verranno ricollocate nei vari musei cittadini. Nel 1962 ritrovò in parte il suo destino originale di presidio culturale, ospitando l'attuale biblioteca comunale.


DIALOGO CON SOFIA NERI, SILVIA LOMAZZI E CRISTINA ARCIDIACONO



Il programma del 7 ottobre è incentrato su compositrici dell'Ottocento e del Novecento che sono state oscurate da un certo predominio maschile. Significativo è l'esempio di Clara Schumann, musicista dotata di una notevole fertilità ideativa, tanto che suo marito Robert riprese quanto lei aveva composto. Clara ebbe una sfolgorante carriera di concertista, da grande pianista qual era, ma come compositrice rimase sempre un po' nell'ombra del coniuge. Il progetto di Sofia Neri nasce dalla volontà di far emergere la composizione al femminile, il suo attento lavoro di ricerca non ha potuto prescindere dal nome di Clara Schumann, che rappresenta un baluardo della musica al femminile nell'Ottocento, quindi del romanticismo. Il discorso poi si sposta verso il '900, toccando delle autrici pressoché sconosciute come Betty Olivero, Ruth Schönthal e Kaija Saariaho, tutte compositrici che, nonostante abbiano fatto della musica la loro professione, nell'ambiente della Classica sono delle Carneadi. Il desiderio della pianista è dunque quello di portare quante più persone possibili all'attenzione della creazione al femminile. Non manca di citare anche Fanny Mendelssohn, che ebbe una sorte analoga a quella di Clara, poiché non era il marito ma il fratello che la oscurava. È interessante notare come la stessa lingua italiana abbia il femminile nel termine "creazione" e si avvale dell'uso di questo genere quando vuole esprimere una certa potenza espressiva. Le parole in questione sono davvero tante, per esempio libertà, giustizia, potenza, luce, la stessa musica.

Silvia Lomazzi

Si tratta di termini femminili che sovente vengono soppiantati dai maschili in società, con l'intento neanche tanto velato di mettere in ombra i primi. È chiaro che dal 1800 la collettività si è evoluta, ci sono stati dei progressi, alle donne è stato riconosciuto il diritto di voto e tante altre cose che hanno contribuito all'emersione della loro figura e non solo a livello artistico. È proprio questo il motivo per cui oggi la pianista varesina è presente a PianoSofia, in qualità di donna, creatrice e interprete nell'atto di proporre al pubblico un omaggio non solo alla donna in quanto tale, ma come artista che ha subito un eclissamento nel corso della storia. Significativo in tal senso è il programma di sala, interamente dedicato a musiciste. Ruth Schönthal è una compositrice tedesca molto interessante, nata da genitori viennesi di origine ebrea, che nel 1935 dovette lasciare la Germania nazista per la volta di Stoccolma. Girò in seguito più o meno in tutto il mondo: in Russia, poi in Giappone e Città del Messico, dove all'età di 19 anni eseguì delle sue stesse composizioni, incluso il Primo Concerto per pianoforte, al Palacio de Bellas Artes. Tra il pubblico c'era il noto compositore tedesco Paul Hindemith, nel 1946 lei ottenne una borsa di studio per poter divenire sua allieva a Yale. È un'autrice abbastanza eseguita in Europa e America, accreditata di una buona carriera artistica, forse inferiore al suo reale valore. Ha iniziato a pubblicare le sue composizioni abbastanza tardi, ricevendo commissioni per musica da camera, opere, composizioni sinfoniche, opere per organo e pianoforte. Durante i primi anni di studio, per mantenersi suonava nei Piano Bar e nei Club; non tutti lo sanno, ma una sua allieva, l'allora sconosciuta Stefani Germanotta, è diventata poi famosa nel mondo della musica pop come Lady Gaga.

Cristina Arcidiacono

Di Ruth Schönthal Sofia Neri ha poi eseguito la Sonata quasi un'improvvisazione, opera dal carattere rapsodico, priva di una struttura formale riconducibile alla forma-sonata. In questa vengono tracciati, in maniera più evidente in alcuni momenti e meno in altri, dei temi che risuonano, se non proprio romanticamente, in modo tale da portare in seno l'eco del romanticismo. Viene citato più di una volta Brahms, con il quale lei aveva un forte legame ideale, così come con il tardoromanticismo. Possiamo suggestivamente pensare non tanto allo Chopin delle Ballate, quanto a Johannes Brahms. Ad ogni modo, la sua musica può essere considerata un retaggio di quella mitteleuropea. Kaija Saarihao è presente con il brano "Prelude", composto nel 2007 e dedicato alla pianista Tuija Hakkila. Parliamo di una compositrice finlandese nata nel 1952 a Helsinki, trasferitasi prima in Germania e poi a Parigi, dove ha frequentato i corsi dell'IRCAM. Si è dedicata alla realizzazione di diverse opere, anche multimediali, con l'utilizzo di mezzi informatici ed elettronici come il nastro magnetico. Artista difficile da catalogare, ha attraversato vari generi e forme espressive ed è forse stata la prima donna ammessa all'IRCAM di Pierre Boulez, pure lei considerata non alla pari con i compositori uomini. Prelude, afferma Sofia Neri, è la sintesi di visioni diverse, espresse con una sonorità particolare; qualcuno ha definito la sua musica "impressionismo materico", come se lei riuscisse a portare alla luce non tanto il risultato musicale quanto il processo che l'attraversa nel suo "input" creativo.

Sofia Neri

Nella sua composizione ci sono trilli, scale discendenti, dei momenti dove sembra che tutto si fermi per poi ricominciare. È la ricerca di una musica che vuole essere finita, ma in realtà si presenta come un divenire. Ligia al titolo della serata, "La creazione è una parola femminile", Sofia Neri è intervenuta nella duplice veste di pianista e compositrice, con due suoi brani: "Ballata in cerca di autore" e "Pre-echi". Il primo fa riferimento al noto dramma di Luigi Pirandello "Sei personaggi in cerca d'autore", qui l'autrice ha avuto nel cuore le grandi ballate romantiche, soprattutto quelle di Chopin e di Brahms, prese a ispirazione per questo brano. Attenzione, non prese a modello perché siamo nel 2022 e lei suona e compone nel presente, non dunque nell'epoca romantica; è una cosa che tiene a sottolineare con chiarezza. In cerca di autore perché in questa Ballata, animata da momenti rapsodici alternati ad altri più fermi, attraversa situazioni disparate. Troviamo il frangente più lirico, più melodico e quello maggiormente ritmico. Qualcuno potrebbe riconoscere la musicista varesina come scrittrice di musica paratonale, cosa in effetti plausibile, però con l'avvertenza che lei non tiene in considerazione le leggi della tonalità. Viviamo dopo Schönberg e non si può far finta di esistere in un altro secolo. Ogni tanto si avverte questo eco melodico/lirico, il quale tuttavia non sfocia in un sentimentalismo un po' scontato, questo è almeno quello che l'autrice ha voluto trasmettere. I Pre-echi sono cinque piccole elegie, piccole nel senso di brevi, ognuna di loro avente un carattere estremamente diverso e derivate da visioni apparse durante l'atto del comporre.



Il titolo prende spunto da quel fenomeno che si verificava nelle registrazioni su nastro magnetico degli anni '50, dove si avvertiva poco prima della riproduzione di un suono una sua piccola e debole anticipazione. Ultimo nome nel programma di sala è Betty Olivero, anch'essa compositrice di sicuro interesse, israeliana, allieva di Luciano Berio prima a Tanglewood e poi in Italia, a Firenze. Attualmente vive a Tel-Aviv. Silvia Lomazzi la ricorda, essendo stata anche lei studente al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, durante i pranzi organizzati da Luciano Berio nella sua bellissima casa di campagna, dove lui stesso cucinava, infornava delle focacce di ceci. Talia Berio, parente di Luciano e musicologa, era molto amica di Betty Olivero. Ci troviamo al cospetto di una compositrice dalla scrittura raffinata, con le sue cadenze e accordi che come inesorabili si ripetono, evocativi di un destino piuttosto funereo, soprattutto nel suo Sofim (Endings). In quest'atmosfera mortuaria emerge una parte anche biografica. Questo è un brano scelto da Sofia Neri non per il nome, tecnicamente connotato da un accordo che ricorre in maniera ciclica e che dà la sensazione di una non fine. La fine è già l'inizio e l'inizio la fine (rammento il Rondeau 14 palindromo di Guillaume de Machaut "Ma fin est mon commencement"...) Sofim raffigura degli scenari che hanno a che fare con le sue radici ebraiche, con la terra nella quale lei ha scelto di vivere, caratterizzata dalla commistione di culture e religioni diverse. Lei sente il canto dei musulmani e le campane cristiane.



Betty Olivero racconta di essere salita sul promontorio, di aver sentito la città di Gerusalemme che vibrava, raccontava un intreccio. La stessa Sofia Neri definisce questo pezzo come una tessitura, una relazione che va attraverso la musica oltre il dato sensibile. Cristina Arcidiacono si dichiara onorata di partecipare a questa discussione, rimarca l'importanza dei sostantivi femminili, come la "creazione". Sotto la parola "potere", che è invece un sostantivo maschile, c'è tutto quello che con tanta delicatezza la nostra pianista enunciava. La storia ha la sua partenza proprio da questo, dalle scritture come l'Antico e il Nuovo Testamento, cristiane o ebraiche che siano, le quali hanno dato nel corso dei secoli, nella loro interpretazione, un potere all'uomo. È un argomento ancora adesso di grande attualità perché parlare di femminile, musica e creazione non è solo una rivendicazione delle donne e per le donne, ma anche degli uomini. "Comporre una vita" è il titolo di un libro molto bello di Mary Catherine Bateson, figlia di Gregory Bateson, noto antropologo, sociologo e psicologo britannico. Lei è cresciuta con questo papà e la mamma Margaret Mead, anche lei antropologa. Il libro narra la storia di cinque donne, alcune scienziate altre operaie, che nella vita hanno fatto determinate cose, essendo state ostacolate nel realizzarne altre che avevano fortemente desiderato, adattandosi ma senza forse adeguarsi. "Comporre una vita" è, se non un destino, la possibilità che tante donne si sono date per partorire i propri talenti, altrimenti messi a tacere dalla storia e dalla società. È bellissima l'idea del comporre, il verbo della musica, e quindi anche del dedicare questa serata alla grandezza di Mary Catherine.



Comporre una vita equivale un po' a scrivere musica, poiché contempla l'azione di mettere insieme pezzi della propria esistenza e forse anche stilare la propria partitura. Un altro sostantivo al femminile nelle scritture è sapienza, σοφία; nel libro dei proverbi è una donna che urla nelle piazze, sta nei crocicchi, sta "tra". Ecco l'importanza del dialogo nella filosofia, musica e spiritualità, perché è proprio quel "tra" a diventare feritoia, e a volte ferita, come la voce soffocata delle donne. Però questa preposizione apre finestre, scorci di pensiero, ed è bello che ci sia un libro così ampio e patriarcale come la Bibbia. A Cristina Arcidiacono piace pensare che nella creazione c'è la figura di Dio, un Ente che va oltre l'essere uomo o donna, ha le ali d'aquila ed è grande più di un albero. In principio "La terra era informe e vuota e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque". In questo spirito c'è un sostantivo femminile: "Ruah", che in ebraico vuol dire tante cose, dal carattere di una persona al vento, all'alito vitale e lo spirito sicuramente rientra nella sfera delle nostre relazioni. Quando ci sono degli spiriti che s'incontrano, prende forma e sostanza appunto quel "tra" che abbiamo citato. In questo senso allora la creazione, come sostantivo femminile, apre a una rivendicazione del talento delle donne, di questa ne abbiamo ancora bisogno poiché spesso dietro la parola "merito" si nasconde la classe sociale o il colore della pelle. Emblematico è il caso di Nina Simone, nata come pianista classica, ma nero era il colore della sua pelle e quindi fece la pianista da Bar.



Quando oltre a essere donna, si è anche nera, povera o asiatica, la strada è destinata a diventare molto impervia. Cristina Arcidiacono vorrebbe leggere questa serata anche come eventualità che gli uomini e le donne si possono dare per avere uno sguardo diverso, uscendo da quegli stereotipi di cui spesso ritengono essersi già liberati. Modelli che invece relegano le donne a determinati ambiti. Non è Diego Abatantuono che dice: "Femmina, torna tra i fornelli, che sono il tuo ambiente naturale" ma Jean-Jacques Rousseau ad affermare che il posto della donna è il chiostro. Un filosofo del secolo dei lumi. È Michel de Montaigne ad affermare che la donna ha un'inclinazione alla sessualità e alla lascivia poiché dotata di un io minore. Un'inclinazione che per altri versi si manifesta nella pittura con la figura della madre nella natività, dove la vediamo inchinarsi davanti al bambin Gesù in posizione dolce, accudente. L'inclinazione è quindi una postura; Dio si abbassa per ascoltare il suo popolo, si abbassa per andare da Maria, questa giovinetta che era anche lei una proletaria, la quale riceve questa vocazione. L'inclinazione, non come istinto più sessualizzato di tutte le femmine, ma come propensione verso l'altro. La dissertazione di Cristina Arcidiacono termina con un'immagine, quella che alla storia ha consegnato Artemisia Gentileschi, autrice de "L'Allegoria dell'inclinazione", un dipinto commissionato da Michelangelo Buonarroti il giovane che raffigura una giovane donna nuda, sospesa in aria su una nube, nell'atto di reggere una bussola. In alto a destra si vede una piccola stella che brilla nel cielo.



Nelle intenzioni della pittrice rappresentava l'allegoria dell'inclinazione, cioè del talento naturale o quella predisposizione per l'arte stasera impersonata dalla pianista Sofia Neri. È Silvia Lomazzi a chiudere l'avvincente dialogo con delle considerazioni che suonano molto attuali. Propone uno scritto che parla proprio della parte maschile e femminile, che tutti noi abbiamo. L'importante è riuscire ad armonizzarle. Viviamo nell'epoca dell'immagine, in cui vediamo delle donne iperfemminili che somigliano a delle bamboline, attraenti soubrette che nei "serial" mirano soltanto al grande uomo ricco da sposare. Oppure la donna arrembante, virago dell'uomo. Non esiste una via di mezzo, un giusto equilibrio nella società attuale, ma una disarmonia; ma per riconquistare l'ideale equilibrio tra le due nature bisognerebbe affidarsi, per esempio, a un sommo filosofo come Platone ne "Il discorso di Diotima". Nel dialogo platonico Socrate tratteggia questa figura come quella di una veggente o sacerdotessa, fu lei a fargli conoscere la filosofia dell'Eros, come una ricerca verso la saggezza e il sapere che non arriverà mai a perfezione, pur manifestandosi nell'uomo una tendenza verso l'ascesa, una forte aspirazione alla conoscenza. Dice Rainer Maria Rilke: "Il grande rinnovamento del mondo consisterà forse in questo, che l'uomo e la donna, liberati da tutti i falsi sentimenti e riluttanze, si cercheranno l'un l'altro non come opposti, ma come fratelli e sorelle, come vicini, e giungeranno a stare insieme come esseri umani."



Cos'è rimasto in me dopo quest'alata discussione? Il senso di un riavvicinamento alla realtà dell'essere umano nel suo ideale equilibrio, una realtà quanto mai composita. Un'armonizzarsi dei sessi, più che una rivendicazione femminile, che pure ha diritto di manifestarsi visto il corso della storia. Nessun conflitto o prese di posizione quindi, ma un tentativo di mediazione tra le due opposte anime dell'uomo e della donna, lungo un'infinita serie di sfumature e tinte intermedie tra l'una e l'altra.




GINEVRA MASINI, ALLIEVA DELL'ACCADEMIA DI FORMAZIONE PER ATTORI DEL CENTRO ATTIVO DI MILANO, LEGGE DUE TESTI POETICI.

Rainer Maria Rilke: Un giorno esisterà
Antonia Pozzi: Sorelle, a voi non dispiace...




NELLE SEGRETE STANZE DELLA MUSICA AL FEMMINILE
IL CONCERTO

 



Clara Schumann (1819 – 1896)
Scherzo N. 2 Op. 14

Kaija Saariaho (1952)
Prelude

Sofia Neri (1990)
Pre-echi

Ruth Schönthal (1924 – 2006)
Sonata quasi un'improvvisazione

Betty Olivero (1954)
Sofim (Endings)

Sofia Neri (1990)
Una ballata in cerca di autore

Sofia Neri, pianoforte




Osservando Sofia Neri ho immaginato quale potesse essere la sua personalità, riflessa nella coreutica delle mani nell'atto del suonare. Essendo lei non solo pianista ma anche danzatrice, ho ipotizzato un'ideale connessione tra queste due attività. Sedevo in una posizione favorevole, che mi consentiva di vedere i movimenti delle sue dita, e questi, anche se piccoli, possono essere assimilati a dei passi di danza. Sperando di non peccare di fantasia, ho intravisto uno spirito misterioso, a tratti impenetrabile, aereo, foriero di una sensibilità molto particolare, per la comprensione della quale è indispensabile entrare nella sua circolarità. Un'artista a tutto tondo è questa pianista varesina, semplice in superficie ma che sembra nascondere delle profondità precluse alla vista. Il suo emozionante recital inizia con il forte empito romantico, che diventa slancio futuristico verso l'umanità, dello Scherzo Op. 14 di Clara Schumann, una composizione in cui possiamo ritrovare lo stesso spirito che animava le composizioni del marito Robert. Un ottimo biglietto di presentazione per un recital al femminile, visto che quest'artista è oggi considerata come una delle compositrici più ispirate e conosciute della storia, forte di un notevole "corpus" di composizioni. Ed è proprio la mole della sua produzione che stride con la sua affermazione, forse volutamente paradossale: "le donne non sono nate per comporre", sconfessata poi da una sua altra: "Comporre mi dà un grande piacere. Non c'è niente che superi la gioia della creazione, se non altro perché attraverso di essa si guadagnano ore di oblio di sé, quando si vive in un mondo sonoro".



Sofia Neri ha le mani e l'animo profumati di primavera, in essa c'è la tensione verso un orizzonte lontano, poi riflesso nei suoi occhi. Il clima impetuosamente romantico viene disinnescato, quasi bruscamente, con Prelude della compositrice Kaija Saariaho. All'inizio della composizione si legge "Sempre calmo, dolce, leggermente", ma è una calma solo apparente, ingannevole, poiché sotto la superficie troviamo un profondo mondo sottacqueo pieno di correnti, che l'apparente calma del pelo dell'acqua rende insospettabili, mai pienamente espresse, dai colori cangianti (potrebbe essere quel tremolo si-do diesis una fibrillazione interiore o lo scintillare dell'acqua?) Il brano progressivamente si anima e quello stato tensivo, efficacemente evocato da Sofia Neri, viene finalmente allo scoperto in tutta la sua virulenza. Con maggior ariosità esordisce Pre-echi, composizione della stessa pianista, come dei lenti volteggi di danza nell'azzurrità del cielo, "io ricordo" sembrano voler dire, una rimembranza che tuttavia non porta alla tristezza per i bei momenti passati, ma induce a un'assorta e dolce meditazione. Ma presto le acque s'intorbidano, con l'emersione di quei tremoli-ectoplasma già sentiti nel brano precedente. Brano dall'anima bifronte, crea in noi dei suggestivi echi, attese non spasmodiche ma in qualche modo diluite, rarefatte nel tempo, che viene dilatato sino a farci perdere l'orientamento. Musica senza tempo? Una cosa è certa, Sofia Neri dimostra di essere pienamente riuscita a entrare in una dimensione moderna fatta d'immagini diafane, stranianti e spogli contorni di un passato riempiti di quella sostanza eterea derivante dall'unione di due anime: quella della compositrice e dell'interprete.



La Sonata quasi un'improvvisazione della compositrice tedesca Ruth Schönthal mi provoca le stesse attonite sensazioni, accentuate dall'intenzione di seguire forme musicali storicamente consolidate, come la Sonata, che qui però diventa un vuoto simulacro, messo in piedi per essere tradito, abbattuto, sconvolto e violentato. Qualche sardonico accenno di antica musicalità appare, ma è un attimo: subito dopo avviene lo smembramento, quasi la dissezione di un cadavere. Non mancano echi hindemithiani in questa Sonata del 1964, una delle tre in un movimento da lei composte e descritta dalla stessa autrice come un: "Pezzo da concerto rapsodico e contrastante, con una parentela con Brahms, ma con un approccio individualmente contemporaneo." Un'accezione che Sofia Neri pare aver ben compreso e assimilato, soprattutto interiorizzato sino alla completa identificazione con sentire empatico. Può sembrare questa una musica difficile da comprendere, sfuggente a ogni tentativo di familiarizzazione. Personalmente, ho trovato una porta d'ingresso per accedervi nel lasciarmi andare a una pura sensorialità, forse preclusiva della dimensione intellettuale, ma sufficiente per offrire scorci e visioni alla cui suggestione è difficile resistere. L'accordo iniziale in forte di Sofim (Endings), composizione di Betty Olivero, trasporta all'istante in lunari paesaggi immaginari, visioni che appaiono e scompaiono in un occhieggiare che dà l'idea di un orizzonte lontano.



Come l'apparizione di "pattern" la cui luce c'investe a intervalli sapientemente ripetuti, forieri di caleidoscopiche metamorfizzazioni timbriche e di carattere. Marezzata è anche la dinamica, fattore che la nostra pianista mostra di avere in grande considerazione. A ben vedere, le molteplici ripetizioni, tendenti all'infinito, sono già nel titolo "Sofim" (Finali), rappresentative del significato di questo pezzo. L'incanto prosegue con Una ballata in cerca di autore di Sofia Neri. Non manca qualche accento Jazz, un ritmica ben marcata che trascina chi ascolta. Alla linearità di scrittura Sofia preferisce le divagazioni, i frammenti, le luminescenti particole stilistiche che abbacinano, piuttosto che accompagnare lungo un percorso piano. La dialettica musicale si risolve a volte in lievi accenni, in altre occasioni si allontana dal carattere di scarna miniatura per intraprendere itinerari più lunghi e distesi, come quello che conduce al termine di questo enigmatico brano.




Alfredo Di Pietro

Ottobre 2022


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