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sábado, 23 de septiembre de 2023 ..:: Serata di Gala Premio Alkan 2021 ::..   Entrar
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 Serata di Gala Premio Alkan per il Virtuosismo Pianistico - Quinta Edizione Minimizar




PROGRAMMA

Charles-Valentin Alkan (1813 - 1888)

Grande Sonate "Les Quatre Ages"
- 20 ans. Très vite
- 30 ans (Quasi-Faust). Assez vite
- 40 ans (Un heureux ménage). Lentement
- 50 ans (Prométhée enchaîné). Extrêmement lent

Vincenzo Maltempo, pianoforte


Robert Schumann (1810 - 1856)

Humoreske Op. 20
- Einfach
- Hastig
- Einfach und zart
- Innig
- Sehr lebhaft
- Mit einigem Pomp
- Zum Beschluss

Sergej Vasil'evic Rachmaninov (1873 - 1943)

- Etudes Tableaux Op. 39 N. 5 In E-flat minor
- Etudes Tableaux Op. 39 N. 1 in C minor

Giacomo Menegardi, pianoforte


Finale a tre mani

Charles-Valentin Alkan (1813 - 1888)
- 11 Grands Préludes Op. 66 N. 10 pour piano pédalier

Vincenzo Maltempo, Giacomo Menegardi, pianoforte


INTRO



Addì 19 giugno 2021, non senza emozione arriva la Serata di Gala della quinta edizione del Premio Alkan. La città prescelta rimane Milano ma cambia il palcoscenico, trasferito dalla Sala Verdi del Conservatorio alla Sala Concerti di Largo Mahler. Come ben sa chi la conosce, parliamo di una competizione dedicata al virtuosismo pianistico, consacrata da critica e pubblico come una delle più stimolanti in circolazione. Che realmente sia tale possiamo capirlo anche da un'importante novità introdotta proprio quest'anno: il Premio Alkan diventa internazionale, essendo ora compreso nella Federazione Internazionale dei Concorsi Pianistici. Con fierezza lo annuncia alla platea Eric Véron, organizzatore e principale sponsor della manifestazione nonché General Manager della Vailog. Non è questa l'unica innovazione poiché la giuria quest'anno si arricchisce di nuovi musicisti di livello internazionale, in particolare l'italiano Alessandro Deljavan, il francese Jean-Marc Luisada e il britannico Mark Viner, artisti che vanno ad aggiungersi a Vincenzo Maltempo e Luca Ciammarughi. Ben quaranta sono state le candidature prese in considerazione nella presente edizione, un numero che, dopo un'iniziale scrematura, si è ridotto a dodici nella prova finale, tenutasi a Verona nel mese di maggio. Nella seconda parte della serata abbiamo quindi potuto apprezzare le formidabili doti del premiato 2021, il bellunese Giacomo Menegardi, un pianista nemmeno ventenne ma già tecnicamente e artisticamente maturo. Anche quest'anno si è purtroppo dovuto rinunciare alla pausa e al rinfresco di solito offerto agli invitati, concentrando la serata in un tempo unico.



Un evento quindi molto denso, compatto, anche per l'intensità delle opere presentate. Pure la Serata di Gala beneficia in questa sua quinta edizione di tre piccole innovazioni. La prima: nessun programma in cartaceo è stato distribuito, ma fornito un Codice QR che consentiva di scaricarlo sul proprio Smartphone (ma il download si poteva fare anche dal sito ufficiale del Premio Alkan); la seconda: durante l'esecuzione della Grande Sonate "Les Quatre Ages" sono stati proiettati su due grandi schermi posti in alto gli originali commenti che l'autore scrisse sulla partitura; la terza: per fornire una chiave di lettura supplementare al pubblico, ogni opera suonata è stata preceduta da una spiegazione.




LA GRANDE SONATE "LES QUATRE AGES"



Lo scenario storico che fa da sfondo a questa monumentale Sonata è la Parigi del 1848. Infuriano i moti della terza rivoluzione francese e proprio a maggio, nel bel mezzo delle due sanguinose rivolte che avvennero a febbraio e a giugno, Alkan annuncia l'uscita della sua opera. Questa quindi si affaccia in un periodo che non era dei migliori, quando evidentemente a Parigi avevano altro di cui occuparsi. Les Quatre Ages Sonata si presenta come opera gigantesca, molto impegnativa da suonare e di grande significato, della quale non esistono esecuzioni integrali fino agli anni '70 del secolo scorso. Ciò è dovuto al silenzio, all'oblio che ha poi circondato la figura di questo compositore, ma sicuramente anche alla grande difficoltà d'esecuzione, al fatto che è strutturata in un modo tale che la rende non sempre di facilissima fruizione per il pubblico. La ragione? Noi siamo abituati a pensare alla sonata come a un qualcosa organizzato in più tempi, in cui solitamente l'ultimo è quello dove il pianista chiude in bellezza. Qui però avviene l'esatto contrario poiché i movimenti strappa-applausi sono i primi due e la conclusione è affidata a un grande diminuendo, anche di energie psichiche. Un andamento che, in buona sostanza, è in stretta relazione con il suo programma. Non possiamo considerare una Serata di Gala alla stregua di una Lezione-Concerto, ma neanche escludere la presenza di questo "format", almeno nel nostro caso. Fatto sta che Vincenzo Maltempo, autore ricordiamo del bellissimo e ponderoso libro "Lo strano caso di Charles Valentin Alkan", sottotitolato "Vita e musica di un genio dimenticato", ha rischiarato la vita nascosta di questa straordinaria opera per agevolarne un maggior comprensione da parte del pubblico.



La Grande Sonate è dedicata alle età della vita, che l'autore ha voluto semplificare in quattro tappe. Com'è facile immaginare, il primo movimento, "20 ans. Très vite", è molto veloce, strutturato in forma di Scherzo. Il secondo "30 ans (Quasi-Faust). Assez vite" è dedicato alla figura mitologica di Faust, un archetipo molto caro al romanticismo qui però fatto precedere dall'avverbio "Quasi". Il terzo tempo è intitolato "40 ans (Un heureux ménage). Lentement", è un andante molto placido, tranquillo, con un Trio dove compaiono dei bambini. Il quarto, infine, Alkan lo chiama "50 ans (Prométhée enchaîné). Extrêmement lent" ed è uno dei pezzi più cupi, secondo Vincenzo Maltempo, che esistano nella storia della musica. Nell'ambito di una narrazione squisitamente esistenziale, il primo movimento non presenta all'esordio un tema ben definito, ma più che altro esprime un'energia ascendente dove la tonalità si presenta molto incerta tra modo maggiore e minore, a voler significare l'irrequietezza dei vent'anni. In contrasto a questo c'è il tema d'amore, dove il personaggio a un certo punto si ferma improvvisamente, sospendendo la sua corsa in una serie di rintocchi che stanno quasi a emulare il battito cardiaco. Inizia quindi quest'incantevole tema d'amore, invero transitorio, poiché in seguito cede il passo al ritorno dell'irruente tema iniziale (ma poi si ripresenterà alla fine del movimento). Parlando in termini formali, questo tema dalla spiccata liricità rappresenta il Trio dello Scherzo. Il tempo iniziale si conclude con un fragoroso finale che prelude al secondo tempo "Quasi-Faust", che è certamente quello più denso della Sonata.



Per inciso, il mito di Faust s'incentra sulla figura di un uomo realmente vissuto nel XVI secolo (Johannes Faustus), praticante di magia e alchimia, che si diceva avesse venduto l'anima a Mefistofele per acquisire speciali conoscenze ed eterna giovinezza. Questo secondo movimento si divide in due parti, una che tende al cielo e l'altra che irrimediabilmente viene attratta dagl'inferi. Dopo qualche pagina entra in scena il contraltare di Faust, Mefistofele, il quale, come nel dramma di Goethe, si presenta come lo spirito che tutto nega. Qui Alkan ha un'idea geniale: ribalta il tema di Faust mettendo le stesse note ma al contrario. Dopo l'arrivo in pompa magna del demonio, incontriamo il terzo personaggio chiave della vicenda, Margherita, la fanciulla desiderata da Faust che impersona il candore, ma la sua brama la porterà a incontrare una tragica sorte. Anche il tema di Margherita è in qualche modo collegato a quello di Faust, esordisce dolcissimo e implorante, l'autore indica in partitura "Con candore", dopodiché parte la sezione centrale della sonata, la dannazione di Faust, che si risolve in uno scontro titanico tra sonorità fortissime dove i temi si mescolano. Quasi-Faust ha un andamento parossistico perché si raggiungono dei crescendo che sembrano non finire mai. Si perviene così all'esito finale: quando il caos arriva al suo Zenit, si manifesta l'intervento divino; dopo una serie di arpeggi maestosi, incalzanti, compare un corale, più precisamente un fugato, sempre costruito sul tema di Faust ma trasfigurato e teso a evocare l'immagine di schiere angeliche che precedono l'arrivo di Dio.



È l'inno cristiano "Verbum Supernum Prodiens" a introdurci in un'atmosfera ieratica. Esordisce in un pianissimo che diventa un groviglio di voci in rapido aumento, sino a ben otto, dove liberatorio giunge l'intervento divino. Alkan lo mette nella regione grave dello strumento, facendo arrivare Dio (Le Seigneur) non tramite un tema definito ma attraverso una serie di rintocchi, ventisette in tutto, che annunciano la venuta di colui che regge il mondo. Il movimento si chiude nella tonalità di Fa diesis maggiore, che sul pianoforte sta a simbolicamente indicare l'ascesa essendo tutta sui diesis, i tasti neri. L'esito finale è benevolo: Faust viene accolto in cielo nonostante il patto che ha stretto con il diavolo, uscendone fuori come figura tutto sommato positiva. Nel terzo movimento "40 ans (Un heureux ménage). Lentement", il compositore fa un ritratto di quella vita familiare che lui non conobbe mai in quanto non sposato. Ebbe però un figlio illegittimo, cosa che gli procurò qualche noia, tanto da allontanarlo dalla vita pubblica per qualche anno. Qui dipinge un quadro che è talmente perfetto, infiocchettato, da sembrare quasi falso; non sappiamo se questo volesse significare che lui giudicava la vita familiare come un qualcosa di insincero, da buon scapolo qual era, oppure l'idealizzazione di una felice vita infantile trascorsa in seno alla sua famiglia. In ogni caso, non si tratta di un riferimento esistenziale al matrimonio. Tutta la Sonata è piena di temi meravigliosi, ma quelli presenti nel terzo tempo lo sono ancora di più. Anche qui c'è un Trio a tre voci, dove lui scrive in partitura "Les enfans", una deliziosa serie di garrule quartine di semicrome.



La descrizione si fa sempre più precisa; a un certo punto sentiamo dei rintocchi di campana che segnano le ore dieci di sera, vale a dire l'orario, storicamente documentato, in cui Alkan andava a dormire. Qualunque cosa stesse facendo, lui lasciava tutti e andava via. È il momento in cui anche i bambini vanno a letto e recitano la preghiera, come in ogni famiglia che si rispetti, Alkan affida questo frangente a un corale, arricchito dal ritorno del tema dei bambini. Tutto si chiude in un'aura fatata. Se di solito nelle sonate il movimento conclusivo è quello più brillante e spigliato, nel quarto e ultimo de La Grande Sonate, "50 ans (Prométhée enchaîné). Extrêmement lent", assistiamo a una desolante perdita di forze. Il Prometeo incatenato è foriero di questa frustrante condizione. Alkan scrive a inizio partitura: "Non, tu ne pourrais point endurer la souffrance! - Mourir... de mes lourments seroit la delivrance!" (No, non potresti sopportare la sofferenza! - Morire... della mia pesantezza sarebbe la liberazione!), sono versi presi dal Prometeo incatenato di Eschilo, che lui stesso aveva presumibilmente tradotto dal greco in qualità di conoscitore delle lingue antiche (non dimentichiamo che aveva tradotto la Bibbia dall'aramaico al francese). È una visione francamente pessimistica quella che emerge con grande chiarezza nelle lugubri note di questo movimento. Quando Alkan presentò la sonata aveva trentaquattro anni, conosceva quindi solo i venti e i trenta, ma seppe proiettarsi nella condizione dei quaranta e cinquanta per chiudere in maniera non proprio felice la composizione.



Nella conclusione troviamo ancora un incipit in forma di corale, un tema di preghiera somigliante all'Adagio cantabile della "Patetica" di Beethoven, forse volutamente citato come tributo al sommo compositore di Bonn. I 50 anni si concludono con un'ascesa, un tentativo di risalita mortificato però dalle tenebre che si avvicinano a grandi passi, materializzate con dei funerei e pesanti accordi nel registro basso. Vincenzo Maltempo trova molto pregnante la sua struttura, tale da coinvolgere anche chi ascolta nella progressiva perdita di energie: "Trovo questa sonata molto efficace dal punto di vista psicologico perché rappresenta un qualcosa che possiamo immaginare e in qualche modo riscontrare personalmente". Nell'interrogarci sul motivo della scarsissima presenza di esecuzioni integrali de "La Grande Sonate", non possiamo non riflettere su alcuni inoppugnabili dati di fatto. Innanzitutto la complessità e la lunghezza: il lavoro consta di ben 50 pagine a stampa, per un totale di 1121 battute e circa tre quarti d'ora di musica. È un elemento certo rilevante ma di per se non ostativo, cui va però aggiunta l'eccezionale, nel vero senso della parola, dose di virtuosismo necessaria per eseguirla e, come se ciò non bastasse, quest'autentico "monstrum" pianistico pone di fronte all'interprete una tale varietà di frangenti espressivi che possono letteralmente disorientare non solo lui, ma anche chi ascolta. Come dicevamo, di scena è l'uomo ritratto in varie età, 20, 30, 40 e 50 anni, a ognuna l'autore dedica un tempo. Ma non è tanto questo a sorprendere, quanto l'inversione di rotta rispetto alla sonata classica.



L'anticonvenzionale e anticonformista Alkan ha quindi creato una composizione non priva di una certa verbosità, soprattutto nei tempi che seguono al primo. Sono tuttavia persuaso che questa venga giustificata da Maltempo imputandola all'intenzione dell'autore di ricreare un certo flusso esistenziale. La sua materica lettura vuole focalizzare l'attenzione non tanto sull'andamento melodico/armonico, quanto sul graduale spegnersi delle energie in gesti che diventano sempre più lenti, sino all'estremo dei 50 anni. Dopo il travolgente turbinio di quartine che caratterizza la giovinezza, assistiamo allora a una sorta di lento e inesorabile avvicinarsi del destino finale. Pianista di fama internazionale e riconosciuto come uno dei più grandi virtuosi del panorama concertistico mondiale, Vincenzo Maltempo è stato impegnato in un'esecuzione davvero appassionante di questa terribile Grande Sonate "Les Quatre Ages", concepita dal compositore che dà il nome al Premio. Quarantadue minuti d'ininterrotta tensione emotiva, costellati da frequenti episodi di funambolismo tecnico e affrontati dal pianista beneventano con una solidità, atleticità e determinazione che lasciano stupefatti. Quest'opera s'impone come un vero e proprio "monstrum" del repertorio pianistico, in grado di affaticare non solo l'esecutore ma di mettere a dura prova anche la capacità di concentrazione di chi l'ascolta. Le mani di Vincenzo Maltempo hanno dimostrato una formidabile duttilità; oltre a cavare dallo strumento uno splendido suono, sono diventate un maglio nell'atto di scandire accordi di grande potenza, sollecitando lo strumento a sprigionare una devastante potenza sonora. A tali momenti se ne sono alternati altri dove quelle stesse mani hanno invece preso ago e filo per ordire una trama di grande delicatezza e finezza di contorni. Un ringraziamento va a lui per averci consentito di entrare con tanta pertinenza nei meandri di un'opera così complessa e difficile.




L'HUMORESKE DI SCHUMANN E GLI ETUDES TABLEAUX DI RACHMANINOV



"Ci si potrebbe chiedere il perché", esordisce Luca Ciammarughi, "della presenza di Robert Schumann in un programma sul virtuosismo". In effetti, quando pensiamo a quello di stampo romantico, Schumann non è il nome che viene immediatamente in mente, al contrario di Chopin, Liszt e naturalmente Alkan. In questa quinta edizione si è però deciso d'inserire l'Humoreske proprio per dare un altro punto di vista di questa tematica, che il grande compositore tedesco sviluppa in una maniera estremamente personale, paradossale potremmo dire. Ad avvicinarci alla sua concezione del virtuosismo è proprio il titolo della composizione che abbiamo ascoltato dalle mani di Giacomo Menegardi. Il termine Humoreske riporta istintivamente a quello di "humor", che in inglese ha però un significato molto diverso da quello tedesco. Con Schumann siamo in Germania e dobbiamo quindi misurarci con la particolare accezione che questa parola assume in quell'ambito. Si tratta di un senso, anche filosofico, molto preciso e legato all'ironia romantica. Fu locuzione frequentata oltre che da filosofi anche da scrittori di area germanica, in particolare da Jean Paul Richter, ammirato da Schumann a tal punto che proprio da un capitolo del romanzo Flegeljahre trasse ispirazione per i suoi Papillons Op.2. Lo scrittore parla dell'humor come rovesciamento del sublime, un capovolgimento che ritroviamo pure in questa meravigliosa composizione, dove in certi momenti l'autore inserisce dei passaggi virtuosistici di grande rapidità, quasi febbrili, di cosiddetta "
Trivialmusik", cioè musica apparentemente grossolana, in deciso in contrasto con quei momenti in cui ci sono invece dei voli celestiali, tesi verso il sublime.



Humor quindi come compresenza di due stati d'animo opposti in cui uno mette in luce l'altro. È un concetto più vicino all'idea di umorale che di umoristico, molto legato al senso del sublime che i romantici coltivavano (ma già presente Kant) come rappresentativo di una natura e di un universo che sovrastano l'uomo e che in qualche modo lo mortificano, rendendolo consapevole della sua finitezza, della sua piccolezza rispetto all'infinito. "Allora Schumann come usa questo virtuosismo umorale?", dice Ciammarughi, "Lo utilizza proprio per aiutare l'uomo a conciliarsi con la propria limitatezza, per indurlo a sperimentare sino in fondo la dimensione terrestre sino alla sua componente più triviale, più grottesca, più ridicola anche. L'uomo che, in buona sostanza, osserva la sua bizzarra natura per contemperarsi con la sua pochezza." In realtà, questo è un discorso filosofico che meriterebbe un approfondimento in relazione al pensiero dell'epoca. Bisogna tenere presente che Robert Schumann era al momento della composizione (1839) un individuo completamente fallito, quello che oggi noi definiremmo un disadattato. Aveva perso i genitori, sfumata la possibilità di una carriera pianistica poiché si era rovinato il quarto dito della mano destra appendendolo a una carrucola, nel tentativo di fortificarlo e renderlo indipendente. L'anulare, quarto dito, è infatti il più debole della mano in quanto il suo muscolo flessore è collegato anche al dito mignolo e al dito medio. Schumann in tal modo si era procurato una paralisi che lo aveva messo fuori gioco come pianista. Anche dal punto di vista sentimentale ebbe una nota relazione con Clara Wieck, sfociata poi nel matrimonio, che fu molto sofferta.



Clara era la figlia del suo maestro di pianoforte, Friedrich Wieck, che conoscendo Robert e la sua tendenza al disordine, all'alcolismo, a una vita piuttosto sregolata, si oppose al matrimonio. Ci fu addirittura un processo fra il maestro e l'allievo. Ad ogni modo nel 1840 l'unione andò in porto e negli anni precedenti, nonostante la sua critica situazione, Schumann riuscì a comporre una serie di capolavori che non sono scritti per la fama ma per la gloria. Oggi, a distanza di duecento anni, ci emozionano e ci stupiscono ancora in un modo sorprendente. Nell'Humoreske Op. 20 in particolare, si alternano momenti di altissimo lirismo, fatto di una cantabilità nuda come lascia presagire l'"Einfach" (Semplice) scritto in partitura. È la spontaneità con cui viene intrapreso il viaggio iniziatico del tipico eroe tedesco, spesso naïf, ingenuo, ma che poi attraversa una serie di prove per arrivare a conoscere fino in fondo la vita. Quindi in questa Humoreske, non legata a un programma preciso come avviene invece ne "Les Quatre Ages", non sappiamo di cosa si parla, tuttavia capiamo che sullo sfondo c'è un percorso che parte da un candore assoluto di fronte all'esistenza. Nel suo corso vengono affrontate delle esperienze in un mondo a tratti cavalleresco a tratti grottesco, lirico o tenero, ma che può essere anche crudele e violento prima di arrivare alla conclusione. A ben vedere tra la Sonata di Alkan appena ascoltata e l'Humoreske c'è una somiglianza, nel finale, dove troviamo una coda molto ispirata. All'interno di uno di questi episodi, Hastig (In fretta), l'autore scrive una terza voce: "Innere Stimme" (Voce Interiore), che non va suonata.



"È un caso praticamente unico nella storia della musica", dice Luca Ciammarughi, "dove bisogna immaginare una melodia e farla in qualche modo sentire attraverso il proprio pensiero come una voce interna, un filo rosso interiore. Anche questa è una forma di virtuosismo, nella fattispecie immaginifico." Fa particolare piacere che stasera questo brano venga eseguito dal giovane talento Giacomo Menegardi. Al di là di ogni retorica riguardante l'età dell'esecutore, pensiamo al cosiddetto "enfant prodige", dobbiamo considerare che quando autori come Schumann, Schubert e altri composero certi capolavori erano giovani e un giovane non è solo talento, ma qualcuno che spesso ha già qualcosa d'importante da dire. Se Robert Schumann non è immediatamente riconoscibile nel panorama virtuosistico ottocentesco come figura di primissimo piano, pur considerando che di difficoltà (talvolta estreme) è disseminata la sua produzione, non altrettanto si può dire di Sergej Rachmaninov, che è uno dei maggiori esponenti del virtuosismo tardo romantico e della prima metà del '900. I nove Etudes Tableaux Op. 39 furono composti tra il 1916 e il 1917, sono di varia tonalità e ciascuno, come ogni studio che si rispetti, contiene una determinata problematica da superare. Nel quinto in mi bemolle minore prevale l'intensità espressiva: un canto tenebroso si dispiega alla mano destra, mentre la sinistra lo sostiene con delle tensive terzine di crome. Emerge un climax fluttuante, fatto di travolgenti ondate sonore e successive distensioni in un continuo alternarsi. Lo studio si spegne immergendosi in una calma che comunque non è dimentica della passata tempesta.



Al quinto segue il primo in do minore, noto per l'ininterrotta tensione che lo percorre da cima a fondo, dei perturbanti flutti costituiti da veloci terzine di semicrome in Allegro agitato. Un cimento certamente arduo che il giovane Giacomo Menegardi ha brillantemente superato, dimostrando di possedere una tecnica evoluta, esibita con sicurezza. Va da sé che con tali risorse può affrontare qualsiasi opera, anche la più impervia. Ma forse ancor più interessante è il fatto che a queste doti tecniche unisce un portamento di rara eleganza e autocontrollo (dote piuttosto rara in un giovane) e un "cantato" di squisita sensibilità. Oggi Giacomo si accredita un premio importante, che con grande sincerità confessa non si aspettava vincesse, sicura base per la costruzione di una brillante carriera concertistica. Appena due giorni fa è uscito sulle piattaforme musicali il suo primo disco, Humoreske, con brani di Mendelssohn, Beethoven (la monumentale Sonata N. 32) e Schumann. Per lui tutto parte dall'accademia musicale "Gioacchino Rossini" di Belluno, dove studia con Katia Bellus. Attualmente prosegue la sua formazione al Conservatorio di Castelfranco Veneto sotto la guida del Maestro Massimiliano Ferrati, uno dei maggiori pianisti sulla scena concertistica mondiale. Altri nomi hanno contribuito al suo perfezionamento, citiamo i Maestri Filippo Gamba e Jerome Rose. Prestissimo, quando aveva appena undici anni, inizia a partecipare a numerosi concorsi nazionali e internazionali, in cui afferma il suo valore vincendo oltre trenta primi premi assoluti, alcuni di grande importanza. Debutta al Teatro la Fenice di Venezia all'età di quindici anni e appena un anno prima da solista con l'orchestra, interpretando il concerto di Mozart K 488 al teatro Comunale di Belluno, sua città natale.



In tempi più recenti, nel 2019, vince una borsa di studio per partecipare all'"Ikif International Piano Festival" di New York. Nel 2020 conquista il primo premio al "W.A. Mozart International Piano Competition" di Lugano, questo gli dà la possibilità d'incidere il suo primo album "Humoreske" per l'etichetta KNS Classical. Stasera è stato qui con noi nell'evento conclusivo del "Premio Alkan", un riconoscimento che gli darà l'opportunità di registrare due dischi in collaborazione con la "2erre Studio e Produzioni Musicali", la stessa che ha videoripreso questa Serata di Gala. Inoltre. Prossimamente debutterà in concerto all'Auditorium dell'orchestra "La Verdi" di Milano. Onore a lui e un grande grazie a chi ha ideato e realizzato questo bellissimo Premio! Consentitemi una piccola considerazione personale. Grande può essere la fascinazione generata da un interprete dotato di estrema valentia digitale. Tuttavia, se per virtuosismo intendiamo la trasformazione di una persona in una sorta di "Cyborg" con velocissime e infallibili dita d'acciaio, il Premio Alkan non credo voglia assecondare tale linea di pensiero. Esso vuole piuttosto promuovere non un pianismo fondato sull'esternazione del sensazionale in musica, ma uno che confidi nel virtuosismo come formidabile strumento per sviscerare con la massima energia, nitidezza, precisione ed efficacia quanto di bello e grande contiene un'opera musicale.




Alfredo Di Pietro

Luglio 2021


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