INTRO
L'introduzione a quest'articolo sarà molto breve, in contrasto con il fluviale prosieguo. Rendere visita a Mirko è stata una tentazione che ho a lungo covata, mi ha sempre incuriosito la sua schiettezza, spinta in certi casi sino alla durezza, nei confronti di quelle che lui considera delle leggende metropolitane audio. Dopo un rapido interscambio di messaggi, ecco che mercoledì 19 dell'anno scorso ho deciso di andare a trovarlo presso la sua sede, a Villafranca di Verona. Lo scopo era di esplorare i suoi territori, conoscere più approfonditamente la sua storia professionale e anche umana. Si sa, a quattrocchi e davanti a un buon caffè ci s'intende meglio. Lascio dunque a lui la parola.
MIRKO MAROGNA, STORIA DI UN FELICE RENDEZ-VOUS TRA MUSICA, AUDIO PROFESSIONALE E DOMESTICO
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La passione per l'HiFi c'era già da bambino, incubata con lo stereo di casa. Ho avuto la necessità e la possibilità di lavorare nel mondo dell'Audio nella quasi totalità dei suoi ambiti, questa non è una prerogativa che possono vantare in molti. Prima facevo un altro lavoro, la mia famiglia aveva, e mio fratello ha tutt'ora, un'azienda di generi alimentari e anch'io ho operato in quel campo sino all'età di quarantaquattro anni. Dopo ho cambiato vita, decidendo di fare ciò che mi piaceva. Per un caso fortuito ho conosciuto una persona che come seconda attività faceva impianti audio professionali, con questa ho collaborato per un paio d'anni. Ho accolto la causa del professionale non solo per passione ma anche perché in questo non puoi raccontare certe fandonie che, purtroppo, mi trovo obbligato a leggere nell'ambito dell'alta fedeltà domestica. Ti trovi di fronte a dei professionisti, devi quindi abituarti a dire bianco al bianco, rosso al rosso e nero al nero, a comportarti insomma da persona seria, altrimenti sei costretto a chiudere la serranda. Tale scelta mi ha portato a percorrere una strada opposta a quella dell'HiFi casalinga, ma al contempo non mi sfuggiva che questa aveva una montagna di punti in comune con il professionale.
A volte sento dire che il professionale è un'altra cosa, ma in realtà riguarda sempre la riproduzione della musica, anche se ha un elemento molto diverso, l'unico che forse differisce dall'HiFi domestica, ovvero l'approccio a installazioni di tipo PA (Public Adress) e non in ambiente confinato. Un'attrezzatura dunque per fare concerti, da allestire in sale e teatri. Quando ci si reca ad ascoltare un'esibizione in un sala si paga un biglietto, e non è che quello seduto vicino al fonico spende una cifra e quello che invece è di lato ne spende un'altra. Questa è un'implicazione non da poco nell'ambito professionale, in cui la prima cosa da curare è che il suono emesso da un impianto in una sala dev'essere il più possibile simile in qualsiasi posizione ci si trovi. Ritengo questa la vera differenza esistente tra un impianto domestico, dove il suono viene percepito correttamente solo in un preciso punto d'ascolto, e un PA, che al contrario deve seguire una logica che per forza di cose deve accontentare tutti coloro che hanno pagato per essere presenti. Dico l'unica variabile poiché il suono dev'essere valido in entrambi i casi, anche se sussiste il rischio che il risultato ottenuto non soddisfi questa condizione.
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Se vogliamo dare un'altra categorizzazione, possiamo dire che un qualsiasi oggetto professionale è legato alla relazione tra spesa e ricavo, è perciò incongruo dotarsi di un cavo che costa diecimila euro quando chi paga il servizio ti dà la stessa cifra che darebbe a chi ne usa uno da pochi euro. È chiaro che la differenza tra investimento e incasso è una cosa di fondamentale importanza per chi vive di questo lavoro e può variare anche di molto, in un campo dove si bada essenzialmente al sodo. Traslando il discorso a un altro ambito, se uno compra un camion per fare dei trasporti deve sempre tenere a mente che ha la funzione di mantenimento della famiglia, ben sapendo che l'investimento deve avere come risultato un ritorno economico che sia attento alla relazione tra costo e ricavo. Diverso il discorso per un appassionato, il quale allestisce un impianto per appagamento personale e non per profitto economico. Non nego che mi sono divertito a usare cavi molto costosi in concerti dal vivo, addirittura ho spronato fonici anche di un certo rilievo a cambiarne uno di un mixer, per esempio. L'esperienza insegna che le differenze tra uno e l'altro esistono eccome. Piccola premessa: ai tempi dell'episodio che sto per raccontare non svolgevo la funzione di fonico, ma la demandavo a dei professionisti miei collaboratori.
Successe allora che cambiai due cavi di alimentazione, uno al mixer e l'altro al processore di sistema, senza dire nulla a loro. Quando il fonico accese l'impianto mi chiese subito cosa avessi fatto al sistema, tale era la differenza rispetto a prima. Non è vero quindi, come sostiene qualcuno, che i cavi non contribuiscono alla qualità del suono, la verità è che si presta molta più attenzione agli investimenti, ed è giusto che sia così. In altre parole, se esco con centomila euro di materiali e porto a casa un certo guadagno, se devo spenderne trecentomila per fare il medesimo lavoro è ovvio che il rapporto tra spesa e ricavo non rientra più in un'ottica di convenienza. Esistono davvero tanti punti in comune tra l'audio professionale e il domestico. Per inciso, ho voluto chiamare la mia azienda Esoteric Pro Audio affinché un appassionato di HiFi capisca subito di cosa stiamo parlando, cioè d'impianti esoterici, che sono quelli domestici di più alto livello. La mia idea di partenza era realizzare impianti per i concerti con una qualità, appunto, esoterica, credendo, nella mia probabile ingenuità, che l'esperienza accumulata nel domestico fosse fondamentale e prevalente nel portare a casa il risultato.
Peccato però che sia successo il contrario. Tutto ciò che ho imparato per raggiungere un livello professionistico mi ha fatto fare un enorme salto di qualità nel domestico, ritenendo erratamente che il travaso d'informazioni da questo al professionale fosse la carta vincente per progredire. L'esperienza mi ha insegnato che è l'audio professionale a essere la vera bussola per orientarsi. Un campo dove si bada al concreto, in cui ci sono delle cose che non puoi demandare al gusto personale ma devi poter quantificare in termini tecnici, come può essere un errore di fase, un filtro a pettine, elementi cioè non opinabili ma oggettivi. Se entro in una sala e dove c'è il fonico sento un equilibrio sul mixer che poi cambia completamente se mi sposto di tre metri, vuol dire che sono in presenza di un filtro a pettine, di un problema di fase. E non è che il tecnico di turno può dire che così gli piace di più. Nel momento in cui un audiofilo mi dice che gradisce un certo suono, io smetto di parlare perché non c'è più margine di discussione. Se invece mi si chiede cosa ne pensi a riguardo di una certa problematica, allora il discorso è possibile e può vertere su tantissimi argomenti. Una persona che è stata ieri ad ascoltare il sistema audio di riferimento che ho in casa mi faceva notare delle cose che per me erano sbagliate.
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Gli ho detto che nel mio percorso sono stato obbligato a rivedere drasticamente le mie convinzioni dopo aver avuto dei riscontri che non potevo ignorare. Durante l'ascolto lui ha apprezzato molto la musica classica, ha elogiato la prospettiva scenica ricostruita e la densità timbrica, denunciando allo stesso tempo un certo ingigantimento dei suoni. Di rimando ho controbattuto che tale fenomeno è un problema più nella testa dell'audiofilo che reale, giacché è molto più facile che accada il contrario, cioè un rimpicciolimento. Ho dimostrato l'infondatezza di questa sua critica semplicemente cambiando disco. Non mi si può venire a dire che il violino deve suonare grande quanto lo è nella realtà, poiché, anche mettendolo a suonare in un teatro, chi sente configura mentalmente le dimensioni dello strumento in base a quelle che effettivamente acquisisce. In altri termini, se questo violino suona in una chiesa, sembra grande quanto questa. Proviamo a bendarci gli occhi ed entrare in un qualsiasi ambiente, percepiremo immediatamente se si tratta di uno piccolo o grande in base ai tempi di riverbero. È un fenomeno che avviene per i suoni di alta come di bassa intensità, nella riproduzione musicale si generano delle microinformazioni che viaggiano completamente al di fuori della sorgente musicale, sono le più difficili da riprodurre, create appunto dall'ambiente.
Oggi sono in grado di riconoscere il suono di un impianto semplicemente sentendo quel secondo che precede la musica, in base a quanto in quel tempo, tra l'avvio della riproduzione e la prima nota, l'impianto sia capace di farmi avvertire la dimensione dello spazio dove il disco è stato registrato. Questa è la cosa davvero difficile da far arrivare, a differenza del messaggio primario. A volte mi capita di sentire catene a basso costo che suonano egregiamente, dove magari i diffusori sono dei piccoli Grundig pilotati da un buon amplificatore. Forse non ci crederai, ma si mangiano impianti da migliaia e migliaia di euro, anche se in questi non trovi quelle informazioni fini ambientali di cui parlavamo, e non può che essere così. Mi figuro una catena HiFi come una sorta di teletrasporto che a ogni cambio di disco deve fisicamente portarmi in un ambiente diverso, perché ogni ripresa è stata fatta in uno spazio differente, dando per scontate la resa dinamica e timbrica. I sistemi che posseggo sono molto vicini a una dinamica naturale, con la batteria viva, di grande impatto come dev'essere e paragonabile a quelle che ho nel mio teatro d'inverno due volte alla settimana. Un teletrasporto, è vero, che ti consente chiudendo gli occhi di trovarti esattamente nel luogo della registrazione, è qui che si raggiunge secondo me l'apice riproduttivo.
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Mi capita di sentire degli impianti che non si può dire suonino male, sono piacevoli ma talmente colorati che non si ascolta il disco ma una sua artefatta versione. Nel corso di una visita mi sono imbattuto in delle gloriose amplificazioni valvolari, dopo aver sentito qualche brano il proprietario dell'impianto mi ha invitato a esprimere un parere sul suono. Al che ho dichiarato di non aver ascoltato un brutto suono o mancante di fascino, ma che nei cinque dischi con cinque strumenti diversi mi è sembrato di sentire sempre la stessa registrazione. Alla base di un comportamento del genere c'è stata la volontà del progettista di ricreare una sorta di miraggio sonoro, non trascuriamo quest'elemento. Sono persuaso che la nostra immaginazione ridesti il risultato di certe "avventurose" soluzioni, mirate a riprodurre quel suono molto caldo e colorato che talvolta ostinatamente si ricerca. È evidente che un'impostazione di colore così spinta porta a interpretare tutto nella stessa maniera. La mia massima è che l'unica certezza in nostro possesso è la registrazione, cosa evidentemente diversa dalla musica dal vivo, con tutti i suoi pregi e con tutti i suoi difetti. Nel disco ritroviamo l'impronta che ha voluto dare l'artista ma anche con quella di chi ha curato il mastering.
Se dal vivo uno strumento si comporta in un certo modo, ma il fonico in studio ha voluto darne una rappresentazione diversa, l'esperienza fatta in teatro non conta più nulla semplicemente perché questo, oppure chi gli ha commissionato il lavoro, non voleva avere quella resa. Va da sé che in tal modo tutto diventa assolutamente discutibile. La domanda che sorge spontanea allora qual è? Alla luce di quello che si è detto, come si fa a capire se un impianto riesce veramente a riprodurre il disco o no? Il mio metro di misura si avvale di due elementi, il primo è riassumibile in un termine che forse non ha mai sentito dire da nessuno ed è il distacco timbrico. Quando sento suonare un pianoforte dal vivo, da una nota all'altra c'è una spiccata differenza di colore e se un impianto interpreta finisce per accomunare le timbriche di tutti i tasti. Lo stesso dicasi per una chitarra, che può avere le corde in nylon, nichel, budello o altro. Se si riescono a distinguere le differenze di suono dei vari materiali vuol dire che siamo in presenza di un impianto valido. Il secondo elemento è quello ho già citato parlando dell'ambienza, vale a dire la percezione del distacco esistente tra una registrazione e l'altra, che è tanto maggiore quanto più la catena è rivelatrice, non colorata e fedele.
Mi sono imposto di tener fede nelle mie creazioni a questi due criteri, i quali mi consentono di valutare una registrazione così com'è stata fatta, con i suoi pregi e difetti e, soprattutto, senza artificiosi imbellettamenti. Per questo ritengo sbagliato il desiderio di sentire bene tutti i dischi, anche quelli che gradevoli non sono, altrimenti non è più lecito parlare di alta fedeltà ma del famoso, o meglio famigerato, "My-Fi". Capisco che potrebbe essere anche una buona soluzione, guardando le cose non da tecnico ma da appassionato, auspicare un apparato di riproduzione che fa suonare bene ogni cosa. Il problema è che poi un disco registrato veramente bene viene riprodotto in un modo non veritiero, viene a mancare in buona sostanza quella fedeltà che è la sola in grado di far apprezzare ciò che realmente c'è in un disco. In un impianto molto impostato le circuitazioni delle elettroniche sono generalmente complesse, come certe realizzazioni valvolari giapponesi fatte secondo la credenza che un maggior numero di stadi migliori la qualità del suono. Se tuttavia andiamo ad analizzare più da vicino la situazione, notiamo che il segnale elettrico viene sottoposto a un numero più alto di passaggi, più a rischio dunque di perdere la sua integrità per il fatto che ogni transito aggiunge o sottrae qualcosa, comunque si allontana da quello originale somministrato all'ingresso.
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Laddove sento dei sistemi, anche costosissimi, che hanno questo tipo d'impostazione, stimati amplificatori strutturati secondo questa filosofia, mi rendo conto che sono sostanzialmente privi armonici. Alla nota fondamentale sovente aggiungono del colore, che scambiamo per ricchezza armonica, ma in realtà è soltanto l'esaltazione di una certa frequenza, un'aggiunta che va a truccare il suono e non è da ascrivere a una reale completezza degli armonici. Succede che gli audiofili non abituati a sentirli sull'impianto non si accorgono della loro mancanza, mentre io la percepisco immediatamente. Questa povertà è emersa anche durante il recente ascolto di un impianto parecchio costoso. Queste cose purtroppo non le dice nessuno, innanzitutto perché sono pochissime le catene al mondo in grado di una tale integrità armonica e secondo perché arrivare a riprodurli non può che essere frutto di una ricerca e di una metodologia molto più spinte del normale. Quasi tutti gli audiofili ricercano i cablaggi belli, ma prova a scoperchiare un amplificatore da duecentomila euro e troverai del comunissimo filo da elettricista. Il cablaggio viene molto spesso trascurato, ho personalmente provato su amplificatori da qualche centinaio di euro a cambiare il cablaggio, constatando un netto miglioramento del suono.
Certi audiofili allora continuano a spendere valanghe di soldi per i cavi di collegamento, di segnale, potenza e alimentazione, senza rendersi conto che i loro costosissimi amplificatori hanno al loro interno questi cavi da elettricista. Possiamo disquisire pure su quella che a mio parere è la nota più dolente in assoluto del settore, ovvero che il cliente viene lasciato in totale abbandono dopo la vendita, ma, e questo bisogna dirlo, per volontà del cliente stesso, il quale vuole poter dire che l'impianto suona bene perchè lui è stato bravo a metterlo insieme. Non ho mai conosciuto una persona che non pretenda di avere questo riconoscimento. È come un trofeo da esporre. Traslando il discorso, se tu hai comprato una motocicletta e questa non va bene, cosa fai? Torni dal rivenditore, gli fai presente il problema dicendo che lo hai pagato per quel bene. In HiFi questo però non succede. Ci sono appassionati che spendono cifre esorbitanti per un amplificatore o altri oggetti, vanno a casa e si autoinfliggono la colpa del fatto che non riusciti a farli funzionare al meglio, mentre sarebbe bene farsi sentire presso il negoziante. Vogliono essere autori del proprio risultato, combinando però solo danni e aggiudicandosi orgogliosamente quel minimo di buono che riescono a ottenere.
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È un modus operandi che fa chiaramente comodo ai negozianti, che così approfittano della perenne insoddisfazione del cliente cercando di colmarla con una produzione di oggetti in continuo aggiornamento. Questa è la ragione per cui in Italia, e non solo, c'è un vasto mercato dell'usato, alimentato prevalentemente da quest'ambiguità. L'audiofilo medio desidera emergere come esclusivo fautore del suo destino, non accetta che un professionista vada a casa sua e faccia funzionare l'impianto come si deve, poiché così non potrà più dire: "L'ho fatto io!". Nel professionale questo non succede, se qualcosa non va ti chiamano tirandoti anche le orecchie. Per ritornare al mio precedente discorso, un altro neo degli appassionati é pretendere di conoscere il suono aprioristicamente, cioè slegato dal contesto ambientale e dall'esecutore, un altro grosso errore. Ribadisco che un medesimo strumento, suonato non in un ambiente diverso ma in un angolo differente dello stesso spazio, cambia come dal giorno alla notte. L'unico metro di misura è quello di sentire questo distacco timbrico, quanto questo è maggiore migliore sarà la qualità dell'impianto. Se i suoni sono diversi a seconda dell'ambiente e di chi esegue, qual è quello giusto?
Ebbene, c'è la presunzione di valutare un parametro altamente instabile, che può cambiare anche di molto, ecco perché dico che l'unica certezza è quella della registrazione, che ha valore di riferimento per tutti. In definitiva, se nel mio impianto riproducendo un disco avverto più informazioni che nel tuo, puoi dire quello che vuoi ma suona meglio il mio. La maggior parte dei domestici non regge le dinamiche, difatti vai nelle fiere e senti quasi sempre registrazioni con una limitata escursione dinamica, magari dischi con pochissimi strumenti, i quali producono un'energia e una differenza tra suoni deboli e forti limitate. Vorrei vederli alle prese con un'orchestra sinfonica di grandi dimensioni, sprigionante una quantità di energia completamente diversa e che i sistemi domestici non riescono a seguire. È sin troppo palese che un autentico effetto "live" non può essere soddisfatto da loro. È lecito in queste condizioni parlare di alta fedeltà? Nella mia vita di fonico ho fatto anche registrazioni dal vivo per orchestre da camera o amplificate, ho visto direttori fare dei balzi incredibili sul podio per stimolare energia e salti dinamici. Alcuni dicevano, arrabbiandosi: C'è tutto scritto negli spartiti, non dovete inventarvi niente! Imparate a leggere!", pur avendo di fronte fior di professori che suonano all'Arena di Verona.
IL PALCOSCENICO
DELITTI, SEGRETI E ANEDDOTI
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Questo mixer che abbiamo davanti è un Midas XL3, apparecchio storico usato anche dai Pink Floyd nelle loro tournée degli anni '90, un banco che tra l'altro io ho pesantemente modificato, tanto da non c'entrare più nulla con l'originale. I mixer da "live" per aiutare un po' il lavoro del fonico hanno tutti i canali con una batteria di VCA (Voltage Controlled Amplifier/Amplificatore Controllato in Tensione) posta di solito al centro. Cosa sono questi VCA? Sono dei gruppi, per esempio ho dieci canali dedicati alla batteria, li assegno a un VCA e muovendo un solo cursore posso variare contemporaneamente il livello di tutti e dieci questi canali. Se voglio un po' più di batteria basterà quindi far scorrere un solo "fader" e non tutti e dieci. Ho un coro di cinque voci, se il suo livello mi sembra un po' basso gli assegno un VCA che ne modifichi il livello. In sostanza è uno strumento che facilita il lavoro al fonico. Un giorno avevo in corso un soundcheck, c'erano due chitarre elettriche alle quali decisi di assegnare un VCA, facendolo mi sono tuttavia accorto di un evidente impoverimento armonico del suono. Quando ho raccontato l'episodio ad alcuni amici professionisti, gente che ha fatto tournée mondiali, loro non ci volevano credere, ritenevano impossibile che tale fenomeno fosse occorso a un banco che ne era notoriamente immune.
Hanno però dovuto arrendersi all'evidenza: senza il VCA, quando toccavi una corda della chitarra sentivi liberarsi tutto un corteo di armonici, mentre con questo inserito il suono si smorzava immediatamente. Una volta ho dovuto prendere l'aereo e andare a Cagliari, non per colpa mia. Nella mia attività ho venduto parecchio per i "service", realtà che ogni giorno impiantano le loro apparecchiature in un posto diverso. Ce n'era una cagliaritana che doveva supportare un festival importantissimo, gli avevo venduto l'impianto da poco, loro lo montarono in un anfiteatro storico vicino alla città in cui c'erano tanti cunicoli che mangiavano letteralmente tutte le basse frequenze. Era venerdì e domenica doveva aver luogo il concerto. Andai lì con la mia Clio per fare le misure, verificando anche strumentalmente la critica situazione. Alla fine ho dovuto riparare facendo un enorme "notch" a 60 Hz, per consentire così alle altre frequenze di risalire. Ho dovuto pagarmi l'aereo e perdere due giorni di tempo perché il cliente pretese che il problema fosse risolto. Fu una criticità causata dal fatto che i subwoofer di mia produzione sono tutti a tromba, un tipo di caricamento che accentua una situazione del genere in quanto spinge il suono molto più lontano e con più energia.
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Sin'ora mi è capitata un'evenienza di questo tipo solo due volte, è successo anche in un locale di Vicenza che era fatto in un modo particolare, con all'interno un lungo corridoio che assorbiva le basse frequenze facendo da risuonatore di Helmholtz. Nel corso della mia esperienza ho portato a casa un solido "background", ho fatto centinaia e centinaia di concerti come fonico, trovandomi davanti ogni tipo di strumento e musicista. Nelle esibizioni dal vivo ci sono gli strumenti sul palco, conosci il gruppo musicale che fa l'apertura a un altro che è invece protagonista. Mi è capitato delle volte di sentire delle batterie identiche, suonate da una mano o da un'altra, che sembravano completamente diverse. La cosa più assurda mi è successa con un pianoforte elettrico durante un concerto di beneficenza di Pippo Pollina, un bravissimo cantautore italiano che vive in Svizzera e che in quell'occasione doveva condurre la presentazione di un disco inedito. Volle che in teatro ci fosse solo lui e il fonico, cioè io, perché il disco doveva ancora uscire e non doveva presentarsi il rischio che qualcuno filmasse o registrasse. Lui arrivò, io avevo già finito il soundcheck con la band che doveva esibirsi, si sedette al pianoforte, ricordo un Northstar, mise le mani sulla tastiera e suonò un accordo che mi lasciò scioccato.
Non era lo stesso strumento che conoscevo. Nelle mie molteplici esperienze musicali c'è stato un episodio che mi ha quasi commosso. Ricordo che un amico fonico un giorno mi aveva telefonato dicendomi che in serata a Verona sarebbe venuto un chitarrista al quale aveva promesso di collaborare. Questo fonico era un mio cliente e l'impianto glielo avevo fornito io. Capitò purtroppo che ebbe un improvviso contrattempo e chiese a me di sostituirlo come favore personale. Il chitarrista mi avrebbe poi pagato le spese per il servizio. Accettai chiedendogli chi fosse questo chitarrista, era Michele Ascolese, fratello del batterista jazz Giampaolo, strumentista di vaglia che aveva lavorato anche con Fabrizio De Andrè, Renato Zero, Ornella Vanoni e altri prestigiosi artisti. A sentire il nome, dissi al mio amico che sarei andato anche gratis. Mi recai allora sul posto, suonava un trio strumentale che eseguiva musiche di De Andrè, c'era pure il cantautore Mimmo De Tullio, poi diventato un mio caro amico, secondo me la voce più credibile per Fabrizio De Andrè, molto simile sia nel timbro vocale che nell'interpretazione. Feci il consueto soundcheck, avendo da gestire otto canali di mixer, tra chitarre, percussioni e altro.
A queste ultime c'era un ragazzo di Verona che, in realtà, era più una sorta di rumorista, fornito di tanti strumenti particolari autocostruiti. Impiegai ben due ore e mezza per portare a termine il soundcheck, Michele mi fece letteralmente impazzire, andava su e giù dal palco ascoltando e riascoltando, mai contento del risultato. Dopo svariati tentativi e aggiustamenti fu finalmente soddisfatto dell'equilibrio raggiunto. Terminato il tutto andai sotto il palco a ringraziarlo per l'esperienza fatta, con il relativo insegnamento, anche perché avevo iniziato a fare questo lavoro non da moltissimo, non più di tre o quattro anni. A fine concerto, mentre stavo occupandomi dei cavi, mi si avvicina l'organizzatore, in presenza anche di Mimmo e Michele che stavano rimontando gli strumenti, e dice "Ragazzi, volete un consiglio? Da oggi in poi quando volete fare concerti portatevi sempre dietro Mirko." Dopo l'esibizione rammento che m'invitarono nell'appartamento che avevano preso in affitto per la trasferta e lì siamo stati insieme sino alle tre di mattina. Michele ci raccontava di Renato Zero piuttosto che di Branduardi e altri. Mi trovavo insieme con questi personaggi, con alle spalle pochissimi anni di esperienza, in piena notte davanti alle bottiglie di vino, parlando come se si fosse tra amici. Fantastico!
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Questo è un episodio davvero memorabile, ma il bello deve ancora venire. In seguito ho fatto parecchie date con loro, pure una tournée qui in zona che era durata una ventina di giorni, con diversi concerti. Passa del tempo, arriviamo al 2016, ero in vacanza al mare nelle Marche e a un certo punto mi suona il telefono. Era proprio lui, Michele Ascolese, si trovava a Fasano, in Puglia, e avrebbe dovuto fare un concerto serale il giorno seguente, voluto da una persona che aveva soldi da spendere, una specie di rievocazione del celebre concerto tenuto da Fabrizio De Andrè al Teatro Brancaccio. Aveva chiamato i musicisti che suonarono in quell'occasione, erano presenti tutti tranne il bassista Stefano Cerri, nel frattempo purtroppo scomparso, e Mark Harris, che aveva declinato l'invito. Al basso fu convocato l'amico Max Gabanizza, bassista di Mauro Pagani, mentre era stato ingaggiato il secondo tastierista del gruppo Elio e le Storie Tese, tutti musicisti fenomenali insomma. Michele mi raccontò di prove disastrose per quanto riguardava la resa audio, tanto da non rendere possibile l'esibizione in quelle condizioni. Mi disse che c'erano due persone delle quali si fidava ciecamente, una era un ragazzo di Roma che lavorava anche ai miei dischi in studio e l'altra ero io.
Aveva comunque chiamato me per primo e voleva che lo raggiungessi il giorno seguente per collaborare al concerto. Non potevo dirgli di no, mi trovavo a metà strada e presi un treno per raggiungere quel posto, ritenendolo in quel momento il mezzo più idoneo e veloce per spostarmi. Gli chiesi di prepararmi il terreno poiché ero stato chiamato a sostituire una persona che non era stata ritenuta in grado di fare bene le cose. Mi trovavo in una situazione per certi versi imbarazzante, in cui mi si accollava una responsabilità non da poco. Mi sentii in dovere di dire chiaramente che se venivo era perché avevo deciso di prenderla, sentendomi capace di portare a casa un risultato, ma che non avrei tollerato alcuna intromissione o commenti sul mio lavoro, altrimenti non se ne sarebbe fatto nulla. Volevo in buona sostanza l'assoluta supremazia su tutti e tutto. Michele mi assicurò che tali volontà sarebbero state rispettate e che potevo chiedere quello che volevo come compenso per il mio lavoro, in considerazione della mia indispensabilità. Arrivai dunque sul luogo del concerto chiedendo una cifra più che modica perché, fondamentalmente, si trattava di un'esperienza che avrei pagato per farla, anche perché sapevo di questo concerto, ma non dei particolari.
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Quando sono salito sul palco ho trovato tutte le scalette dei brani stampate e affisse sui monitor, venendo a sapere, con commozione, quale musica sarebbe stata eseguita. Al mio arrivo fui accolto con grande calore umano, feci subito accendere l'impianto al service rimanendo alquanto sconcertato. Chiesi di spegnere due dei quattro subwoofer presenti onde evitare esagerazioni di Decibel, e di attivare il processore per consentirmi di tarare l'impianto. L'operazione mi fu negata poiché serviva un PC che non era lì ma a cento chilometri di distanza. Ho maledetto il momento in cui ho deciso di andare in quel posto. A mali estremi, estremi rimedi... avevo un po' di musica che conosco benissimo sul mio smartphone, mi collegai all'impianto e iniziai a fare qualche taratura, dopodiché mi venne vicino il cantante Mimmo De Tullio confessandomi che erano tutti dei bravi ragazzi, solo il batterista, Ellade Bandini, era molto esigente e se riuscivo a soddisfare lui il mio percorso sarebbe stato decisamente in discesa. Ellade è una persona di rara simpatia, era accanto a me a cena e non ti dico le burle che aveva messo su, sembrava di essere all'osteria.
Quando mi sono sentito pronto ho dato il via, Ellade allora si sedette alla batteria, ma a un certo punto chiamò un suo allievo lì presente chiedendogli di suonare, mentre lui scendeva in sala per rendersi conto di come avevo equalizzato lo strumento. Il ragazzo iniziò a suonare, io ero in fondo alla sala, finché Ellade si girò verso di me facendomi capire che era contento del risultato. Il concerto andò molto bene, in sala erano presenti mille persone, fu trasmesso anche da una televisione locale e registrato su una chiavetta USB. La cosa buffa è che mi chiamò il cantante dopo un po' di tempo, sorpreso di aver trovato l'audio della registrazione presa dal banco peggiore di quello ripreso dalle telecamere che erano in sala, non riusciva a spiegarselo e mi chiese quale fosse il motivo di questa disparità. Gli dissi che una cosa del genere era normale per il motivo che avevo dovuto attuare degli interventi molto complessi di equalizzazione per allineare l'impianto. Nell'ambiente il suono era buono, ma la registrazione presa dal banco risultava tutta sfasata. In un secondo momento il file salvato sulla penna USB è stato un po' ritoccato da lui per renderlo accettabile. Per me questa è stata un'esperienza incredibile, che non dimenticherò mai.
Adoro la musica di Fabrizio De Andrè ed essere insieme a dei bravissimi musicisti che ti trattano come uno di loro è stato per me molto gratificante. Passata la festa sono venuti fuori tutti gli altarini. Per dirtene una, Mimmo De Tullio l'anno scorso mi ha confessato che Michele Ascolese, se io non fossi andato ad aiutarli, sarebbe venuto lui in automobile a prendermi. Nel secondo concerto, una volta terminato il soundcheck, invitai Michele ad ascoltare il risultato, ma lui mi disse che non ne aveva bisogno, mentre la prima volta mi aveva fatto i raggi X. Non posso dire che all'inizio è filato tutto liscio, c'erano comunque delle cose che a lui non stavano bene, ma ne parlammo insieme per giungere alla soluzione dei problemi. Dopo quell'episodio ho fatto dei service a Parigi, due volte in Svizzera, ma quest'episodio che ti ho raccontato mi è rimasto nel cuore più di tutti quanti gli altri.
ESOTERIC PRO AUDIO
INIZI E SVILUPPI
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Ecco che arriviamo alla Esoteric Pro Audio, la cui nascita è stata favorita da un evento poco lieto. Lavoravo nell'azienda di famiglia e in un dato momento l'ho abbandonata, in seguito a una scissione che si è verificata tra noi. Mi sono imposto di non vedere più le stesse persone di prima e di non fare per nessun motivo ciò che facevo in precedenza. Non volevo in alcun modo dover giustificare le mie scelte e confrontarmi con persone che mi conoscevano prima, non desideravo insomma nessun tipo di legame. Era come se fossi morto e poi rinato a nuova vita. Un taglio netto che comunque mi è costato in quanto ho sempre svolto lo stesso lavoro da quando sono nato. È stato un passaggio critico durato quasi un anno, dove ho avuto il tempo di pensare a cosa avrei fatto. Un giorno mi chiama mia sorella, che è titolare di un'agenzia di pratiche auto, e mi dice: "Mirko, tu che sei appassionato di musica e alta fedeltà, c'è un mio cliente che mi parla sempre di casse acustiche. Non so di preciso cosa faccia ma mi piacerebbe farvi incontrare." Fui favorevole perché è sempre bello confrontarsi tra appassionati, lo chiamai al telefono e fissammo un appuntamento da lui per un lunedì sera. Aveva una concessionaria di automobili e andava da mia sorella per sbrigare delle pratiche.
Sopra lo stabile dove lavorava c'era un locale nel quale a tempo perso realizzava dei diffusori professionali. Scoprii una persona simpaticissima, onestissima e dotata di un entusiasmo quasi fanciullesco. In quel periodo ero a casa, annoiandomi non poco, per cui gli proposi di andare a trovarlo la mattina per mettere un po' in ordine il suo laboratorio, lasciai a lui la facoltà di decidere quale fosse la remunerazione adatta per questo mio servizio, al limite non avrei chiesto nulla perché almeno non stavo a casa a far niente. Cominciai allora a frequentarlo, a capire un po' di cose. Da commerciante di automobili era molto bravo nelle frequentazioni, nel ramo commerciale e nei rapporti con i fornitori. Sul versante audio conosceva tutti i produttori d'Italia in quanto comprava da quello che gli faceva il prezzo più conveniente, era a contatto con B&C, Faital, Eighteen Sound, Ciare. Insieme a lui sono entrato negli uffici di queste aziende, ho incontrato personalmente i loro direttori commerciali, se non i titolari. Questa persona, lo dico con gratitudine, mi ha introdotto nel campo degli altoparlanti e dei marchi che li producevano, dopo un paio di mesi che lo frequentavo avevo risolto nel frattempo tutte le mie questioni familiari.
Ho realizzato che mi sarebbe piaciuto svolgere quest'attività, d'altra parte non avevo mai fatto un giorno di lavoro dipendente in vita mia e non avevo alcuna intenzione di farlo, dichiarai quindi le mie intenzioni a Carlo, gli dissi che il lavoro mi piaceva e lo facevo volentieri, mi appassionava ma che non intendevo prestare servizio da dipendente. Gli proposi di metter su una società per dare maggior impulso al nostro progetto, mettendoci daccordo sul da farsi e tenendo presente che Carlo aveva già un'attività come concessionario d'auto. Chiarii che ero deciso a fare questo lavoro come primario, lui capì, accettò e abbiamo lavorato assieme per due anni, periodo in cui lui s'impegnava a fare un po' di noleggi, service, mentre io impararai prima a gestire le luci e poi a fare il fonico, sempre da autodidatta o rubando con gli occhi di qua e di là. Trascorsi questi due anni ci trovammo a essere talmente lontani negli obiettivi e nelle convinzioni che non avevamo più motivo di collaborare. Onestamente non avrei mai avuto il coraggio di lasciarlo perché gli riconoscevo il fatto di avermi dato una mano a ricominciare a vivere, a superare un drammatico cambiamento esistenziale. Così, quando lui mi accennò appena alla possibilità di dividerci, presi la palla al balzo.
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In due mesi abbiamo diviso tutto e nel marzo 2012 è nata la Esoteric Pro Audio. L'abilità con cui si muoveva aveva portato Carlo a conoscere un certo Mario Di Cola, un bravissimo ingegnere italiano che lavora con aziende di mezzo mondo, compresa la B&C, Powersoft, per aziende cinesi e brasiliane. Lui fa consulenze per realtà che producono componenti o sistemi audio finiti, è un professionista molto competente nato come fonico, lo ha fatto lungamente per Toto Cutugno ai tempi d'oro, in seguito è passato a svolgere l'attività di tecnico di missaggio e ha fondato un'azienda che faceva consulenze, la Contralto. S'interessò a noi, allora realizzavamo diffusori passivi, introducendoci in Powersoft, azienda con cui iniziammo a lavorare non avendo però né io né tantomeno Carlo le competenze adatte. Ci affidavamo a Di Cola per effettuare il "preset" delle casse acustiche, un giorno dovevamo farne uno per un prodotto nuovo, portai quindi questo nuovo diffusore a Treviso, dove risiedeva lui. Avevo un po' di fretta, gli dissi se magari potevo rimanere lì e aspettare che finisse il lavoro, che si trattasse di un'ora, due o anche un giorno. Mario accettò, quel giorno mi sedetti di fianco a lui mentre era alle prese con il DSP e la taratura di questo diffusore, gli facevo continuamente delle domande.
In quel giorno è come se avessi frequentato cinque anni di università, lui se ne accorse e non ha più voluto che gli stessi vicino mentre faceva i setup, avendo capito subito che gli stavo rubando il mestiere. Per me comprendere una cosa non è la fine ma l'inizio di un percorso, per un certo periodo sono stato in piedi giorno e notte, continuavo a smanettare sui DSP, finché non ho deciso di prendere in mano personalmente i preset. Avevamo una decina di diffusori in produzione, li ho considerati uno alla volta, anche perché i preset fatti da Mario Di Cola erano stati salvati e non rischiavo di perderli. Li ho rifatti poi io integralmente, giungendo a far suonare ogni progetto meglio di quanto non avesse fatto lui. Inutile dire che ero molto soddisfatto del risultato. Nel momento in cui è nata l'azienda non m'interessava più tenere dei rapporti con Di Cola, perché orgoglioso come sono le cose devo farle io e non accetto che le faccia qualcun'altro al posto mio, ma nel frattempo ho portato a casa una montagna d'informazioni. Nei due anni di collaborazione con Carlo non ho guadagnato nulla, anzi ho probabilmente rimesso dei soldi, però ho imparato molto. Con la Esoteric Pro Audio c'è stato un florilegio di progetti, che nel tempo ho perfezionato, come fanno un po' tutti.
La passione non mi ha mai abbandonato, ho proseguito in tutti questi anni a giocare con l'HiFi domestica, in buona compagnia con un amico che frequentava Be Yamamura. Aveva addirittura approntato in casa sua una camera in più, visto che trascorreva con lui due, tre mesi all'anno per costruirgli questo grande impianto. Io lo vedevo e ci parlavo molto spesso, tante volte discutevamo sull'alta fedeltà. Ho conosciuto Be Yamamura negli anni '90, quand'ero un ragazzo che andava in giro per negozi, in quel momento lo vedevo come un Dio, dopo siamo arrivati a parlarci in maniera schietta e professionale, disquisendo su alcune problematiche. Yamamura capì che avevo intrapreso il discorso sul digitale, quando lui già implementava il DSP negli impianti più grandi, adoperando un processore che in realtà non era di sua creazione ma aveva fatto costruire dalla Sony insieme alla realizzazione di un software gestionale che funzionava in automatico, con tutta una serie di equilibri che lui stesso aveva specificato. L'elemento che ci mise in contrapposizione derivò dal suo convincimento che fosse più vantaggioso utilizzare pendenze poco elevate nei filtri, mentre io asserivo il contrario, ma lo dicevo perché avevo imparato a gestirle.
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In realtà avevamo tutti e due scoperto la stessa cosa, ovvero che quando si progetta un filtro divisorio si riesce a mettere perfettamente in fase la frequenza d'incrocio, quello è abbastanza facile, ma con la controindicazione che poi ti trovi con degli errori di fase due ottave prima e due dopo. Secondo Yamamura più il filtro è dritto, cioè meno pendenze ha che si allungano, meno problemi di rotazione di fase si hanno al di fuori del taglio. Io allora cosa ho fatto? I filtri fanno girare la fase? Bene, allora voglio imparare a farla girare a mio favore e non contro di me. E ci sono riuscito. Oggi si può dire qualunque cosa dei miei sistemi, ma non che non siano perfetti, ho imparato a gestire le pendenze e le relative rotazioni di fase facendomi approntare dei software specifici, senza adoperare i filtri FIR. Questa è stata la mia vera genialità. Tra un po' andremo ad ascoltare l'impianto con le Kora a tre vie nella mia sala d'ascolto, a casa ne ho uno a otto vie che è più coerente di un "Full Range". Lì ci sono voluti veramente anni di lavoro, di prove. Tre mesi fa ho aggiunto a questo metodo un'altro particolare che va a supportare e non a sostituire la tecnologia principale. Si reso necessario perché a un certo punto ho dovuto arrendermi al fatto che ci sono le tolleranze e gli altoparlanti di una certa marca e modello non suonano tutti uguali.
Una variabilità nei parametri che si riflette inesorabilmente sulla stereofonia poiché avendo due diffusori che non hanno lo stesso suono non avremo mai un'immagine olografica credibile e il fatto che la cassa scompare. Questo può verificarsi quanto più il canale destro e sinistro suonano uguali.
ESOTERIC PRO AUDIO
UNA FAMIGLIA DI OGGETTI VOTATA ALL'AUDIO SENZA COMPROMESSI
Pure per quanto riguarda la mia produzione di alta fedeltà vorrei partire dall'inizio. Anche quando progettavo e realizzavo sistemi professionali il mio cuore batteva costantemente per l'HiFi, decisi quindi di fare un monitor da studio in quanto era fondamentalmente l'oggetto più simile a quello di un sistema domestico. Ne vendetti alcuni in Giappone; dopo averli visti in esposizione a una fiera di Francoforte un giapponese s'innamorò di questi diffusori e ne comprò parecchi esemplari, inducendo dei suoi amici coreani a fare altrettanto. Il passaggio alle amplificazioni fu quasi naturale. Per una logica imprenditoriale di commercio, misi in un telaio gli stessi amplificatori che erano montati dentro i diffusori PA, dei Powersoft in Classe D a quattro canali da 350 Watt con un DSP. Sono elettroniche che qualcuno potrebbe considerare ridicole in un ambito HiFi, in quanto poco costose e fatte per pilotare delle casse che dovevano essere vendibili, dunque con un prezzo di mercato vantaggioso per l'acquirente. Quando però ho sentito il risultato mi sono fatto molte domande. Visto che con così poco sono riuscito a ottenere così tanto, se io sviluppo questa tecnologia per metterla alla pari di quella della Classe A, ai preamplificatori e alla miglior produzione mondiale di alta fedeltà domestica, cosa ne verrebbe fuori?
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La ritenevo insomma un cavallo vincente. Questo fu il primo pensiero, ma non è stato affatto facile passare dalle parole ai fatti perché bisognava trovare un'azienda che soddisfacesse le mie esigenze, non avendo io l'attrezzatura né le competenze per produrre amplificatori. Avevo semplicemente in testa il suono che desideravo, ma arrivare a realizzare gli amplificatori, DSP, software gestionali e firmware ci son voluti alla fine due anni di lavoro, una specie di calvario. Ho incontrato casualmente un'azienda che si è resa disponibile all'operazione e da lì è iniziato un percorso con vari passaggi evolutivi, sino al terzo. Non intendo rivelarti qual è il nome di quest'azienda, anche perché non fa audio, ma prodotti elettronici di alta tecnologia per conto terzi. Lo ritengo un grande vantaggio perché non c'era alcun pregiudizio audiofilo dietro il progetto, ma solamente la volontà di realizzare un prodotto che fosse tecnologicamente ineccepibile. Mi trovavo a dialogare e confrontarmi con persone non particolarmente interessate alla qualità sonora. Si partiva quindi dal giusto, che io avevo il compito di far diventare pure bello.
Ho lavorato molto sul loro progetto, quando sono arrivato alla meta ho detto loro di produrmi una scheda amplificativa e un'altra contenente il DSP, avendo cura di mettere i vari componenti elettronici collegati tramite dei ponticelli, in modo tale che potessi agevolmente sostituire ciò che desideravo. Potevo quindi cambiare gli operazionali, i condensatori e tutto quello che c'era a bordo, al fine di raggiungere il suono desiderato. Mi sono dedicato a questo lavoro durante i lunghi mesi dell'infausto periodo del COVID 19, diversamente non avrei avuto il tempo necessario per riuscire a ottenere la pasta timbrica che esigevo. Ho preso preliminarmente una montagna di roba, centinaia di tipi di condensatori, ho provato tutti gli operazionali che ci sono sul mercato, mi sono informato sull'intervallo dei valori utili dei condensatori, onde non compiere errori e magari stravolgere il progetto. Ho comunque voluto sporadicamente sforare da questi limiti per rendermi conto del risultato e alla fine in un punto solo c'è stato un valore che era parecchio fuori dal range indicatomi. Valore che l'azienda produttrice ha poi approvato. Di una stessa marca ci sono vari modelli di capacità, non riusciresti a immaginare quanti ne ho provati.
La cosa straordinaria è che sarebbe troppo comodo prendere i più costosi, o quelli con i dati di tabella più elevati, per avere un suono di alto livello, purtroppo questo non succede, o non sempre. Dopo questa ricerca spasmodica ho voluto verificare l'indole timbrica ottenuta con delle registrazioni fatte da me insieme ad amici che suonavano degli strumenti, trombe, pianoforti e altro. Ho fatto quindi delle riprese cui è seguita la riproduzione con questi amplificatori, così da poter avere dei riferimenti certi sui quali valutare il suono. Ho sentito un certo strumento, che ho contestualmente registrato, con lo scopo di arrivare ad avvicinarmi il più possibile a ciò che avevo sentito dal vivo. Ho ancora dei prototipi originali, che non sono nemmeno lontani parenti di quelli che alla fine ottenuto. Quando sono tallonato da un progetto vengo completamente assorbito dal lavoro, non ci sono giorni o notti, tralascio il sonno, il bere, l'alimentazione. Stavo facendo un progetto nuovo e uscii la sera a cena con la famiglia, mio figlio allora era piccolo. Verso le 23 - 23,30 ritornammo a casa e dissi a mia moglie Micaela di perdonarmi perché non potevo andare a letto: dovevo obbligatoriamente recarmi in laboratorio.
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Lei eccepì che era sabato, era arrivata la mezzanotte, ma io dovetti per forza andare. Ho poi fatto le otto di mattina. La mia era una necessità, non perché volessi guadagnare dei soldi ma perché avevo fatto un taglio drastico e drammatico con la mia vita precedente, dovevo capire chi fossi. Per me era questione di vita o di morte. Non appena terminato il lavoro di selezione ho presentato a quest'azienda la "lista della spesa", dicendole che gli amplificatori dovevano essere equipaggiati con i componenti scelti da me. In qualche modo mi sono sentito partecipe del progetto. Ritornando a bomba ai diffusori, ho fatto un ulteriore passo scegliendo di gestire singolarmente i componenti e lavorare alle loro tolleranze, su questa logica attualmente non faccio più un preset uguale su entrambi i diffusori, ma prima considero la tolleranza di tutti gli altoparlanti. Prendo la curva della prima via e la ricopio sulla prima del diffusore controlaterale, cosi faccio con la seconda e terza via, singolarmente, fino a ottenere una risposta che combacia perfettamente. Il risultato non è che l'impianto suona diversamente ma che diventa estremamente più coerente.
Tuttavia la cosa più straordinaria, e quando l'ho vista sono rimasto molto colpito, è che per ricopiare perfettamente la curva non dovevo fare solo punti di equalizzazione ma anche spostare il filtro di crossover, probabilmente perché le impedenze delle bobine mobili degli altoparlanti hanno dei valori diversi. Sulle casse che ho qui un taglio del canale destro è spostato di 500 Hz rispetto al sinistro poiché solo in questo modo la curva viene ricalcata perfettamente. E non dimentichiamo le tolleranze del 20% dei condensatori. Secondo me non è giusto né possibile parlare solo di misure, il corretto punto d'incrocio, per esempio, non potrà mai indicartelo una misura, devi ascoltare con attenzione per poi deciderlo. Non è possibile a mio parere partire dallo sbagliato per arrivare al bello, ma piuttosto partire dal giusto per conseguire il bello. Se io ho un impianto che non è gradevole da sentire ma a livello strumentale è corretto, sposto gli incroci, ma non posso renderlo sbagliato perché così mi piace di più, c'è qualcosa che non torna in questo ragionamento. La prima cosa da fare su un impianto è renderlo perfetto strumentalmente, solo in seconda istanza lo si fa suonare bene. In ultimo, alcuni tendono ad attenuare le alte frequenze, ma questo è semplicemente il sintomo di un qualcosa che non va, tipo un sistema che strilla, per cui si sente il bisogno di abbassare il livello di acuti che danno fastidio.
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DALLA GRAMMATICA ALLA PRATICA
L'ASCOLTO
L'IMPIANTO
Lettore di file e streamer di rete Multiplayer Volta
Audio Manager Fibonacci (Tre vie per ciascun canale)
1 Amplificatore finale di potenza mono Caravaggio Hybrid Amplifier (Prima via Kora: woofer da 12 pollici)
1 Amplificatore finale di potenza stereo Caravaggio Hybrid Amplifier (Seconda e terza via: 1 midrange da 6,5 con caricamento misto dipolare/tromba e 1 tweeter caricato a tromba)
Diffusori Kora Speaker System
ESOTERICO? ED ESOTERICO SIA!
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Prima di raccontare le mie impressioni d'ascolto è interessante fornire qualche cenno tecnico sull'impianto, interamente Esoteric Pro Audio, a cominciare dal Lettore di file e streamer di rete Multiplayer Volta, un computer che lavora su Sistema Operativo Windows ottimizzato per utilizzo audio. Ha il telaio sospeso in aria su campi magnetici, due le alimentazioni, una switching e l'altra ultralineare, determinanti come sappiamo per la qualità del suono. Molta attenzione è stata prestata alla scelta di tutte le parti, a iniziare dalla scheda madre, processore, memorie RAM e di archiviazione, che sono NVMe (Non-Volatile Memory express). Il Volta è configurabile a richiesta sia nella quantità di spazio di archiviazione che nelle uscite, tramite schede PCIe. Presente all'interno una sofisticata scheda audio Lynx AES16e con uscite AES/EBU. Vero cuore e centrale di gestione dei diffusori Kora è l'Audio Manager Fibonacci, apparecchio dedicato alla gestione dei processi audio per la multiamplificazione attiva. Le sue schede hanno le piste dorate su tutti gli strati, i DAC sono in grado di un campionamento pari a 32 bit/768 kHz, dispone d'ingressi bilanciati analogici e digitali (AES/EBU). Fiore all'occhiello l'alimentazione ultralineare con trasformatori dedicati per ogni tensione.
La caratteristica principale di quest'apparecchio è che il processamento dei segnali avviene mediante elaborazione in virgola mobile (floating point) a 32 bit. Il Caravaggio Hybrid Amplifier viene rilasciato in due versioni, una stereo da 700 Watt per canale su 4 Ohm e una mono da 1400 Watt su 8 Ohm. La Classe in cui lavora è la D, mentre tre sono gli alimentatori: uno switching di potenza e due ultralineari per le basse tensioni dedicate ai buffer (da questo la denominazione Hybrid). Ognuna delle schede a bordo ha la caratteristica di avere le piste dorate su tutti gli strati. Particolare cura è stata prestata alla scelta dei condensatori per il filtraggio dell'alimentazione switching, ritenuti fondamentali per l'impostazione timbrica dell'apparecchio e per la capacità di riprodurre i transienti in tutta la loro ampiezza. Di questo particolare ha ampiamente parlato Mirko Marogna nell'intervista. Il cablaggio interno è fatto a mano utilizzando rame monocristallino purissimo isolato in teflon, ideale per non avere perdite nei trasporti di correnti e segnali. Non da meno il telaio, costruito con tre differenti materiali: grafite, alluminio e acciaio inox, tutti smorzati con materiale antivibrante.
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A dar la voce alla catena, infine, c'erano i Kora, sistemi a 3 vie senza crossover passivo, nati per essere triamplificati e gestiti attraverso un audio manager (il Fibonacci nel nostro caso). Frutto di un progetto complesso, volto a mettere insieme la sospensione pneumatica, il dipolo e la tromba.
Di seguito le sue specifiche tecniche complete:
- Sistema audio a 3 vie triamplificato
- 1 woofer da 12 pollici con magnete in Ferrite caricato in sospensione pneumatica
- 1 midrange da 6,5 pollici con magnete in Alnico e caricamento misto dipolo/tromba
- 1 tweeter da 1 pollice caricato a tromba
- Mobile in legno massello e MDF
- Risposta in frequenza 17 Hz - 25 kHz allineabile con audio manager fino a +/- 0,5 dB
- Efficienza variabile per le 3 vie da allineare con audio manager
- Cablaggio interno in rame monocristallino a purezza elevata
BRANI ASCOLTATI
Fausto Mesolella - Tulipani
Geoff Castellucci - Wicked Game
Gianmaria Testa - La tua voce
Miroslav Vitous/Jan Garbarek/Chick Corea - Medium
Anouar Brahem/Richard Galliano/Franois Couturier - Comme un départ
Yamamoto Tsuyoshi - Midnight Sugar
Allan Taylor - The Beat Hotel
Archie Sheep - When Things Go Wrong
Claudie Salmieri - Les Tontons Makroude
Enzo Pietropaoli & Adriano Viterbini - Black Hole Sun
Eiji Oue & Minnesota Orchestra - Rimsky-Korsakov - The Snow Maiden
The All Star Percussion Ensemble - Canon in D
John Williams/London Symphony Orchestra - The Throne Room & End Title
Wood Quartet - Equi-Libri
Wood3 - Cinque
Valentina Mattarozzi/Massimo Tagliata/Max Turone - L'importante è Finire
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Nella sala d'ascolto EPA l'ordine e il silenzio regnano sovrani. Ci sono alle pareti dei pannelli fonoassorbenti di varie dimensioni, ai lati e davanti ai diffusori dei diffrattori acustici in legno e accanto alle Kora due anfore con dentro delle canne di bamboo. Il tutto è molto scenografico, a favore di un impianto che ha invece molta, molta sostanza. Mentre scrivo queste note penso che forse ogni mia parola, dopo aver ascoltato il lungo racconto di Mirko Marogna, risulta posticcia, un'inutile aggiunta a qualcosa che soltanto l'ascolto è in grado di palesare. Ecco il dilemma di ogni recensore audio, anche se in realtà io mi considero soltanto un appassionato un po' grafomane, che il grande Quirino Principe ha ben sintetizzato nella frase "Tanto più un musicologo è grande tanto più marcata è la croce del suo fallimento." Basta sostituire musicologo con recensore audio e il gioco è fatto. L'ora e quaranta abbondante passata a dialogare con Mirko, sulla sua storia, esperienze e convinzioni, si è rivelata un ottimo preludio all'ascolto. Una vita passata sui palchi, in laboratorio, a cercare spasmodicamente di abbattere quel sottile ma pertinace velo che si frappone tra l'evento dal vivo e la sua riproduzione, ha lasciato una profonda traccia in lui e la lascia anche in chi ascolta questo straordinario impianto.
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Il primo brano che sentiamo è Tulipani di Fausto Mesolella, chitarrista, compositore e arrangiatore italiano purtroppo non più tra noi. Vengo trasportato immediatamente in uno spazio ideale, dai contorni ben definiti, la catena che ho davanti esibisce senza titubanze di che pasta è fatta. La chitarra ha una definizione folgorante, parlerei (forse a sproposito) di realtà aumentata, tale è la nitidezza con cui posso entrare direttamente nella cassa armonica dello strumento, vibrare io stesso insieme a ogni corda pizzicata. In assoluta trasparenza emerge quel tappeto di particolari armonici fini che definisce perfettamente la personalità sonica di voce e chitarra. Il merito va anche attribuito (ma non solo) alle straordinarie prestazioni del midrange, geneticamente superiore grazie alla sua costituzione fisica, con il suo enorme motore e la membrana molto leggera, caratteristiche che lo rendono estremamente veloce, reattivo a ogni minimo stimolo elettrico. Intrisa di profondi armonici bassi e la voce di Geoff Castellucci in Wicked Game, cantante capace di un'estensione vocale di ben quattro ottave e che il sistema EPA riproduce suscitando in me una viva emozione.
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A risaltare qui è la superbia della gamma bassa, estremamente profonda e al contempo articolata, che riesce nel difficile compito di dipanare con la massima chiarezza delle linee melodiche che con un "normale" impianto casalingo si correrebbe il rischio di ridurre a un'informe poltiglia, soprattutto se viene trascurata l'ottimizzazione acustica dell'ambiente. Potrebbe essere questo Wicked Game un brano "killer", da scegliere per testare eventuali "défaillance" e mascheranti rigonfiamenti nella gamma bassa. Con La tua voce di Gianmaria Testa alla bellezza del suono si aggiunge una sublime poesia, appare qui un terso cielo azzurrino. Artista raffinato, amava circondarsi e collaborare solo con musicisti di alto livello, oltre che con poeti e scrittori. Tra l'altro la sua sottile malinconia ha favorito l'unione artistica con Fausto Mesolella, musicista che ha dato il "la" a questo avvincente ascolto. La sua vocalita si avvale di uno tra i "middle ground" più luminosi ed espressivi che abbia mai ascoltato. Tutto ciò che gravita intorno non soffre mai di scalini, ma viene compreso nell'alveo di un'inflessibile coerenza timbrica. E qui ha buon gioco il "manico" di Mirko, il suo orecchio che sa discriminare, conducendo così all'attivazione di tutta quella serie d'interventi mirati proprio a rendere timbricamente armonioso il messaggio musicale.
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È la volta del brano Medium di Miroslav Vitous, Jan Garbarek e Chick Corea. Anche in questo caso tutti i parametri del suono sono massimizzati, portati all'acme e controllati con fermissime redini. Tutto acquisisce una particolare presenza e lucidità, da monitor di razza, ma senza avere quella fredda analiticità che talvolta hanno i sistemi di questi tipo. Qui troviamo anche del calore, un'assoluta pertinenza coloristica, nessun fenomeno di attutimento o semplificazioni di sorta sull'innervatura fine del suono. Percuotete un piatto di batteria, avvicinate l'orecchio al suo bordo, aspettate che ogni più piccola vibrazione bronzea si estingua e capirete cosa io realmente voglia dire. Comme un départ è il brano d'apertura di Komsa, quarto album del musicista jazz tunisino Anouar Brahem, un lavoro ricchissimo di pigmenti timbrici, dove emerge da protagonista la fisarmonica di Richard Galliano. Entrare in un contatto talmente intimo e immersivo con il soffio generato dal mantice dello strumento è un'esperienza che ogni audiofilo dovrebbe fare. Una sorta di educazione alla verità del suono, una lezione che farebbe crollare all'istante certe false certezze, di quelle che tanto fanno arrabbiare Mirko. Midnight Sugar di Yamamoto Tsuyoshi esprime un jazz di alta classe, zucchero per le orecchie.
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Tutti giapponesi i bravissimi musicisti che hanno collaborato alla riuscita di questo disco, compreso il batterista Tetsujiro Obara. Da giovane ho studiato e suonato la batteria, conosco bene quel frusciare di spazzole sulla pelle del rullante, che le Kora restituiscono con autenticità e inusitata ricchezza di nuance, permane (e questo è uno degli "atout" che mi hanno più affascinato di questa catena) quella meravigliosa sensazione di presa diretta con il suono, quella stretta vicinanza con le più intrinseche vibrazioni di strumenti e voce che fa la differenza tra un impianto onesto e uno di superiore caratura. A Mirko deve piacere molto il suono della chitarra, vista la presenza di questo strumento in molti dei pezzi che ha scelto. Qui è tuttavia la voce che principalmente mi colpisce; dopo qualche battuta ricevo una sorta di scossa elettrica nel percepire lo sbalzo plastico all'ingresso della voce di Allan Taylor in The Beat Hotel. Emerge prepotente ed espressiva dal tappeto di strumenti, così come avviene nel brano seguente, When Things Go Wrong, dov'è però il sassofono tenore del grande Archie Sheep ad ammaliarmi con le sua sensualità e i suoni talvolta striduli. Musica che sa di un lungo vissuto, come quello che occorre per concepire impianti come questo, non frutto di casualità ma bensì di un lungo lavoro di sintesi tra esperienza, sensibilità acustica e amore per la musica.
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Ritornano le percussioni, un altro vertice di questa seduta d'ascolto. Le pelli in Les Tontons Makroude di Claudie Salmieri sono tese, velocissime e reattive. Ogni brano ascoltato viene a supporto delle qualità sonore di questa catena, ne evidenzia quelle particolari caratteristiche che altrimenti potrebbero sfuggire, come il "punch" espresso dalla cassa della batteria di Palmieri, una botta secca e profonda che arriva allo stomaco, controllatissima, che sembra provenire direttamente da un concerto "live, con me spettatore seduto nelle prime file. Qui si conciliano a meraviglia la concretezza, la forza prorompente di un setup professionale, con quella raffinatezza tipica dei sistemi HiEnd, bisogna darne pieno atto al suo creatore. Prima di soddisfare la mia richiesta di ascoltare della musica sinfonica, Mirko m'invita a sentire il contrabbasso di Enzo Pietropaoli in Black Hole Sun. Con The Snow Maiden di Rimsky-Korsakov la Minnesota Orchestra diretta da Eiji Oue l'impianto dà il meglio di sé in termini di pacoscenico tridimensionale, una registrazione tra l'altro gettonatissima nelle fiere audio. Se prima ho parlato di presenza, qui è lecito mettere in risalto le doti di prospettiva scenica delle Kora, giusto per non dare a chi mi legge l'impressione di aver sentito un'elettroacustica si analitica, ma che tende ad appiattire la prospettica proiettando ogni cosa in avanti.
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Non succede assolutamente in questo sontuoso brano, dove non fatico a riconoscere i piani sonori dei fiati, degli archi e degli altri strumenti. C'è molto rispetto per il respiro del suono, dell'ambienza, in un sistema così rivelatore che sarebbe un errore valutare affrettatamente. Non dobbiamo mai dimenticare che a monte c'è una registrazione, che l'ingegnere del suono di turno ha voluto connotare in un certo modo. Il suggestivo Canon in D de The All Star Percussion Ensemble appare come una specie di trattato sui colori strumentali e apre la strada ai fasti orchestrali di The Throne Room & End Title con la London Symphony Orchestra diretta da John Williams. È forse questo il momento più esaltante, apoteotico, dell'intero ascolto. Non che il pregresso fosse da meno ma qui si viene quasi sopraffatti dalla "grandeur" di suono espressa da un impianto che con totale abnegazione si mette al servizio delle musica. Si ritorna alla fascinazione di sonorità più intime e particolari con il Wood Quartet impegnato nel brani Equi-Libri. Enrico Breanza (chitarra), Marco Pasetto (clarinetti, ocarina e sax soprano), Gianni Sabbioni (contrabbasso) e Massimiliano Zambelli (percussioni) sono i musicisti coinvolti in questo disco, testimone di uno smalto timbrico mai svilito da semplificazioni, approssimazioni o sfrondamenti armonici che ne depauperino la ricchezza.
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Il quartetto diventa un trio in Wood3, disco dal quale ascoltiamo il brano Cinque, con il contributo di Marco Pasetto, Enrico Breanza e Andrea Oboe. Ultimo pezzo ascoltato è L'importante è Finire, con Valentina Mattarozzi, Massimo Tagliata e Max Turone. A malincuore mi allontano da questa mirabolante sala d'ascolto e dalla sede della Esoteric Pro Audio, una realtà che mi ha fatto compagnia in questo lungo viaggio nella storia di Mirko Marogna, corroborato dall'ascolto di una catena che difficilmente dimenticherò. Sono le idee che fanno la storia, anche quelle che paiono irrealizzabili ma che prendono forma grazie alla perseveranza dell'operato di un professionista. Lascio Villafranca di Verona con un pensiero in testa, un dilemma che mi ha seguito sino al rientro a casa: quale sarebbe stata la prestazione di quell'impianto se l'autore non vi avesse infuso il suo ideale di suono e la grande esperienza accumulata sul campo dei concerti dal vivo. Quale se non avesse avuto a cuore il trasporto delle potenti emozioni che solo un ascolto dal vivo può suscitare? Albo signanda lapillo...
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Alfredo Di Pietro
Marzo 2025