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Tuesday, October 15, 2024 ..:: Victoria Terekiev - An Armenian in Moscow ::..   Login
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 Aram Khachaturian: An Armenian in Moscow - Masquerade Suite and Piano Works I Minimize


 

 

Aram Khachaturian: An Armenian in Moscow - Masquerade Suite and Piano Works I è, in ordine cronologico, il quinto e ultimo CD da solista di Victoria Terekiev (anche se Postcards from Italy è un quattro mani con Gilda Buttà), pianista di sangue ritmico, tre quarti bulgaro e un quarto italiano, come lei stessa ama definirsi. Un lavoro che segna l'inizio di un'importante avventura discografica: l'integrale delle opere per pianoforte del noto compositore, pianista e didatta sovietico di etnia armena. Ho già dichiarato in diverse altre occasioni l'importanza che attribuisco ai vari elementi che costituiscono il prodotto finale, il disco, non escluse le note allegate e l'immagine di copertina. Qui vediamo la pianista tenere nel palmo della mano destra una miniatura della Cattedrale di San Basilio, eretta sulla Piazza Rossa di Mosca tra il 1555 e il 1561, un gesto che non va certamente trascurato, simboleggiante il dono fatto all'ascoltatore di un qualcosa che proviene da terre lontane. E significativa è anche la grazia con cui la sorregge, l'espressione di tenerezza disegnata sul suo volto, come di donna che ammira rapita la propria creatura. In una recente intervista la pianista ha svelato lo stretto legame che sussiste tra la musica che suona e le sue origini, quelle che solitamente chiamiamo il "DNA", da cui la capacità di comunicare con autenticità un determinato repertorio. Victoria confessa il suo amore senza riserve per la musica del '900, il secolo breve, intesa non settorialmente ma nel suo complesso. E tutti sappiamo quanto sia artisticamente intricato quest'importantissimo periodo storico.

Sono dati che rendono i contorni di quest'impresa discografica via via più definiti, così da rivelarla frutto non solo dell'urgenza di esternare una creatività interpretativa, ma anche di una meditata riflessione. A monte di quest'ultimo disco c'è dunque un progetto bulgaro cui lei tiene molto, cominciato con Pancho Vladigerov: Aquarelles (Miniatures for Piano), recensito su queste pagine nel maggio 2019. Non casuale è quindi l'intenzione di seguire quell'itinerario nell'Est Europa che oggi la conduce sino a Chačaturjan, identificando una relazione tra quest'ultimo e il bulgaro Vladigerov. Un accostamento che definire incidentale sarebbe ingiusto, oltre che fuorviante, per il fatto che tra i due compositori pressoché contemporanei non solo si manifestarono vedute musicali simili ma l'espressione di quella grande nostalgia tipica dei paesi dell'Est Europa. Questo è senz'altro il dato preponderante nella scelta del compositore di Tbilisi, poi c'è la tendenza a utilizzare un bacino tematico derivante dal canto popolare, cosa di fondamentale importanza nei compositori di quell'area geografica. Victoria Terekiev ama questa musica perché è ricca di dinamica, di colori e anche per la spiccata teatralità, tutti elementi che trovano singolare coincidenza con la sua arte pianistica, sempre e comunque caratterizzata da una grande intensità espressiva. Per quanto riguarda l'attitudine teatrale basti un solo esempio, la Suite orchestrale Masquerade, poi trascritta per il pianoforte tra il 1941 e 1942, per comprendere quanto questa debba essere compenetrata nell'interprete, quel pianista che deve muoversi come un attore sul palcoscenico.

Il percorso che lei da diversi anni ha deciso di seguire con determinazione si discosta dalla sua prima esperienza discografica solistica, Malipiero: Piano Works; è subito dopo questa che ha voluto dedicarsi all'interpretazione della musica pianistica novecentesca in ambito est europeo. Il coinvolgimento diretto con la sensibilità di chi ascolta è ciò che lei sopra ogni cosa desidera, una volontà che traspare dalle sue stesse parole: "Spero che all'ascoltatore, di qualsiasi tipo esso sia, arrivi non solo la brillantezza che c'è in questa musica, ma anche il senso profondo della sua malinconia. Quando incido un disco, specialmente questo che amo tantissimo, mi auguro che a chi lo sente possa arrivare tutto." Aram Khachaturian: An Armenian in Moscow è un album che vuole altresì presentare l'autore sotto una luce che non sia quella solita, derivata dall'enorme popolarità del suo pezzo più famoso: la Danza delle sciabole (o Danza delle spade) dal quarto atto del balletto Gayaneh, molto spesso utilizzata negli spettacoli circensi o in numeri d'attrazione, di magia o acrobazia che siano. L'immagine che trapela da questo disco è per nostra fortuna tutt'altra e rende giustizia a un compositore poliedrico, dalla storia complessa. Aram Il'ič Chačaturjan (1903-1978) nacque a Tbilisi, capitale della Georgia. Trascorsa la Rivoluzione d'ottobre e la proclamazione della Repubblica Socialista Sovietica della Transcaucasia, di cui facevano parte la Georgia e la Repubblica di Armenia, nel 1924 si trasferì a Mosca, dove frequentò i corsi dell'Accademia musicale Gnesin, la quale portava il nome del noto compositore e didatta Michail Fabianovič Gnesin.

Dopo poco s'iscrisse al Conservatorio di Mosca e frequentò i corsi di Mjaskovskij e Dmitrij Borisovič Kabalevskij, studiando in particolare violoncello, pianoforte e composizione. Già in occasione del saggio musicale al termine degli anni di Conservatorio ebbe modo di distinguersi per il suo talento, imponendosi all'attenzione dell'opinione pubblica per l'originale inventiva stilistica, aperta alla ricerca di un linguaggio innovativo. Così Chačaturjan si fece notare negli ambienti musicali moscoviti, amato anche per il suo carattere simpatico e allegro. Il mondo armeno ha sempre esercitato una notevole influenza nella sua cultura, in particolar modo il canto e le danze popolari. Fu anche un dotatissimo pianista, strumento cui dedicò diverse composizioni, insieme alla viola, violoncello e violino (e all'orchestra). Nel 1933 sposò la musicista Nina Makarova, alla quale resterà legato per tutta la vita. Si trattò di un legame forte e appassionato che influì anche sul suo percorso creativo. Nell'anno 1936 la Russia sovietica fu sconvolta dalla repressione operata da Stalin, migliaia di persone vennero arrestate e mandate nei Gulag delle isole Solovki poiché oppositrici del regime, cosa che coinvolse anche storici dirigenti comunisti e uomini di cultura. Chačaturjan rimase tuttavia immune alle famigerate purghe staliniane e proseguì la propria attività. Molti anni dopo Karen Surenovič Chačaturjan, suo nipote e musicista, dichiarerà che Aram non fu coinvolto nei processi staliniani perché la sua musica era sostanzialmente ispirata al canto popolare e alle tradizioni dell'Armenia.

In realtà il compositore si tenne lontano dagli ambienti più strettamente legati al contenzioso politico-culturale e dalla battaglia finalizzata a imporre il realismo socialista nella vita artistica e non del tempo. Ciononostante Chačaturjan fu ugualmente colpito dalle critiche di formalismo, che gli furono rivolte nel 1948 da Tichon Nikolaevič Chrennikov, ai tempi appena eletto segretario dell'Unione dei compositori sovietici. Non ebbe dunque, come diversi altri suoi colleghi, evidenti dissidi con la "Nomenklatura", ottenendo dallo stato sovietico i più alti riconoscimenti, come il premio Lenin e il premio Stalin. Oltre alla citata Danza delle spade, un'altra sua opera famosa fu il Concerto per pianoforte e orchestra, noto anche per l'utilizzo del Flexatone. Celebre è anche la Toccata per pianoforte in mi bemolle minore (del 1932), presente in questo CD. Certo, la sua musica tradisce in più occasioni un carattere illustrativo, una comunicativa spontanea, immediata, alquanto distante da quella di Šostakovič, suo contemporaneo, che era carica di significati culturali complessi e di più larghe vedute. Non possiamo però negare che la sua musica fu nel complesso molto godibile, ritmicamente vitale e gravida di felici idee, soprattutto ricca del "melos" della sua terra d'origine, l'Armenia, dal cui repertorio folkloristico attinse a piene mani. Un Paese dalla storia tormentata, le cui vicende non mancarono di riflettersi nell'arte del compositore, che riuscì a sviluppare una pari abilità nell'esternazione di frangenti drammatici, nei nostalgici come in quelli più schiettamente ottimistici. La sua stessa famiglia fu costretta a riparare nel Governatorato di Tiflis dai territori sotto la dominazione degli Zar.

Un popolo orgoglioso l'armeno; le sue prime sollevazioni patriottiche contro gli ottomani, alla fine dell'Ottocento, avevano portato a persecuzioni e massacri, così molti che abitavano le valli ai piedi del monte Ararat dovettero lasciare la terra natale per emigrare nelle province della vicina Russia. Senza dimenticare che Chačaturjan, insieme ai coevi Sergej Prokof'ev e il citato Dmitrij Šostakovič, fu il fondatore del movimento russo I Titani, coincidente con il periodo di crisi del linguaggio sovietico. Com'era nelle mie aspettative, l'interpretazione di Victoria Terekiev non porge una scialba parvenza del più autentico spirito di Aram Chačaturjan, ma si rivela una sorta di lama che penetra nella sua carne viva per raggiungere le radici di quella profonda "Melonkholia" che, insieme a tante altre emozioni, solo un artista dell'Est Europa poteva esprimere così compiutamente. Waltz-Caprice è la prima delle ventidue tracce che compongono il CD. Nella terza misura c'è una splendida frase melodica (due crome, una terzina e altre due crome) che nella sua sinuosità pare racchiudere tutto un mondo di elegante nostalgia, non disperante ma fiera delle sue origini. Segue una fibrillante Dance dal vivacissimo ritmo di 6/8, anche questa emblematica di una musica viva e vitale, a tratti sferzante e dalla scrittura impervia, che assume quasi carattere di violenza. Ma c'è subito un cambio di tempo: alla terza misura il 6/8 diventa un 9/8, con delle note veloci (accordi alla mano destra) palleggiate tra le due mani, che suonano come delle scudisciate, mentre alla battuta 27 c'è quasi l'accenno a un'accorata preghiera.

 

Aram Il'ič Chačaturjan

Dalla forza trascinante della breve Dance si passa all'energia visionaria del più sviluppato e articolato "Poem", otto minuti d'immersione in un mondo poetico popolato da sentimenti ardenti, a tratti sferzanti, che regolarmente risolvono nell'incanto sonoro. È una composizione dagli echi skrjabiniani, movimentata da improvvisi soprassalti ritmici ed espressivi (due elementi che in Chačaturjan vanno spessissimo a braccetto) messi sulla carta con una scrittura eminentemente tardoromantica, pur se in ogni frangente limpida, scevra da torbidità. Accanto a tali capolavori la pianista bulgara colloca altre opere dell'autore, non meno belle, che dimostrano la sua ammirevole capacità di muoversi tanto nelle forme più elaborate quanto in quelle più minute e all'apparenza semplici, come il Children's Album (1947), qui presente nel suo primo libro. Con assorta cantabilità esordisce l'Andantino. Triste è "Oggi non si va a passeggio", brano in 3/8 Allegro moderato dove si affaccia la delusione per la passeggiata negata. Il tempo di 3/8 conferisce un andamento incalzante, quasi icastico, anche se lievemente trattenuto. "Ljado è malato" ha la profondità espressiva, la severità di un corale bachiano trasposto in chiave moderna. L'uso del pedale amplifica l'eco del suono, trasportandolo in mistiche regioni di dolore. Festoso e anche sbarazzino è Compleanno, in tempo di  3/4, un Valzer non privo di beffarda ironia, dotato di un rutilante movimento interno. Straordinaria è la progressione discendente di accordi alla misura 61, sino alla 64, alla fine della quale si ristabilisce la paciosità turbata da un episodio più mosso, una tranquillità a onor del vero solo apparente poiché costantemente percorsa da tensioni interne che a un certo punto erompono, per poi regredire.

Sono questi i brani che rievocano alla mente le analoghe atmosfere di Šostakovič, dove però il sarcasmo è certamente più greve, diventa tenebroso e cupo, mentre in Chačaturjan viene in ogni caso conservata quella leggerezza che invita a non soffermarsi troppo nell'angoscioso crogiolo. Lo Studio tradisce la forte affezione dell'autore per la didattica, un Allegro moderato in 3/4 "pp marcato" che fa pensare a un qualcosa di demoniaco, stringente da togliere il respiro e presago de L'escalier du diable di György Ligeti, piuttosto che presentarsi come un niveo pezzo per fanciulli. Delicato, intimistico si affaccia Ritratto musicale, mentre meditativa è l'Invenzione (Adagio dal balletto Gayane), un brano che tradisce tutta la teatralità di cui era capace il compositore e la sua grande destrezza nel tratteggiare delle nitide immagini sonore. Ed è proprio qui che avviene un piccolo miracolo: con abile arte alchimistica Chačaturjan riesce a fondere mirabilmente il malinconico con il fiabesco, concependo un brano dalla visionaria lungimiranza. Un qualcosa in grado di trasportarci al di là e al di sopra di noi stessi. La fuga (ancora una rimembranza bachiana dopo il corale?) dimostra la sua grande bravura compositiva dell'armeno, qui chiamato a cimentarsi con una forma complessa, non facile né intuitiva. Di un marcato 3/4 è costituita l'intelaiatura ritmica della Marcia dei cavalieri, pezzo dal gusto militare; abbastanza rude nel carattere, dimostra come l'autore non volesse affatto escludere dal suo linguaggio anche una certa asprezza, che diventa a tratti selvaggia, con ricadute dissonanti e impellenti martellamenti ritmici.

La figurazione suggestiva del galoppo (una croma seguita da due semicrome) passa dalla mano destra alla sinistra, precisamente a battuta 28, per poi ritornare alla destra nel "a tempo". In modo popolare è il brano che conclude questo primo libro dell'album per bambini. Di ben altro spessore è l'irruente Toccata in mi bemolle minore (1932), che trascina l'ascoltatore in un vortice al quale non può sottrarsi. È uno dei suoi brani più noti, insieme alla Danza delle sciabole e al Concerto per pianoforte e orchestra. Per la sua energica caratterizzazione ritmica è paragonabile a quella scritta dal suo illustre collega Sergej Prokof'ev (Toccata in re minore Op.11), anche se manifesta una struttura più articolata, con un centrale Andante espressivo dall'indole skrjabiniana che con la sua cantabilità interrompe per breve tempo l'impeto di cui è pervasa. La Sonatina in tre movimenti (Allegro giocoso - Andante con anima, rubato - Allegro mosso) sembra fare il verso a quelle di W.A. Mozart, salvo avvedersi che si tratta di un classicismo stranito, dalla circense caratterizzazione ironica nel tempo iniziale. Nelle corde di Victoria Terekiev non manca anche una sottile ironia, un po' tranchant e a momenti sconfinante nel sarcastico, come nell'iniziale "Allegro giocoso" di questa Sonatina. Ma quasi subito la luce del suo strumento c'investe traghettandoci "d'emblée" in un mondo fatato (Andante con anima, rubato), prima dell'imperioso "Allegro mosso" finale. Tuttavia, l'ascoltatore che presume si prosegua sulla scia di tale "côté", viene spiazzato dal sincero lirismo dell'Andante con anima, rubato. L'Allegro mosso è una sorta di moto perpetuo in 4/4, dalla stringente dialettica, testimone della generosità espressiva dell'autore.

Se qualcuno non si fosse accorto della straordinaria "palette" coloristica nelle mani di Victoria Terekiev, in Masquerade Suite dovrà arrendersi all'evidenza. Sono musiche di scena per l'omonimo testo teatrale di Michail Jur’evič Lermontov. Tutto un gioco di luci e di ombre si appalesa nella lettura della pianista, accenti sfacciati e intime ritrosie che costantemente si rincorrono, giocano a rimpiattino riempiendo i nostri sensi con le variegate tonalità dell'anima. L'incipit è affidato all'enigmatico "Waltz", brano dal sapore vagamente esistenzialista, per transitare nelle regioni oscure (tenera è la notte) del "Nocturne". Toccante la "Romance" e anche molto divertente, liberatorio il "Galop" che conclude la suite con le sue "maldestre" e "ineleganti" dissonanze. I cinque temi che compongono la suite orchestrale, utilizzata pure come balletto, sono il Valzer, Notturno, Mazurka, Romanza, Galop finale. Svettano per l'ironia la Mazurka, Romanza e Galop, un vero distillato di spirito declinato al teatrale. Aram Khachaturian: An Armenian in Moscow è un disco dalle molteplici valenze. Innanzitutto si distingue per la scelta di un autore che, al di là della sua collocazione storica e valutazione critica, va riconosciuto nella sua peculiare originalità, per la felice sintesi che ha saputo realizzare fra la tradizione romantica russa e le istanze di un moderno rinnovamento strutturale, sviluppato di pari passo con una personalissima espressività. Un valore aggiunto rappresenta quello che con termine colorito potremmo definire un esaltatore di sapidità, cioè il continuo uso di temi popolari, non presentati "sic et simpliciter ma genialmente rielaborati nella timbrica. Se trasliamo il discorso sul versante orchestrale, rintracciamo la medesima ricchezza della tavolozza coloristica.

Perdonatemi se batto su questo punto, da tutti i musicologi ritenuto cruciale, ma l'importanza conferita da Chačaturjan alla grande risorsa del canto folkloristico, che generò in lui un interesse quasi scientifico, lo portò a dar vita, in Armenia, a un istituto del canto popolare da lui stesso diretto per molti anni e che per fortuna esiste ancora. Per noi melomani e cittadini dell'anima questo progetto discografico assume particolare rilievo. Se la musica di Chačaturjan ha avuto il merito di aprire una grande finestra sul popolo e la nazione armena, Victoria Terekiev, in qualità di sua raffinata cantrice va lodata per averci spalancato i battenti della sua musica. Non è poca cosa poiché si tratta di una produzione di grande valore artistico, per troppo tempo purtroppo rimasta nel limbo di un territorio musicale che non ha ancora ricevuto pieno riconoscimento. È un oblio che non merita assolutamente, per la ricchezza di accenti umani, per l'universalità dei sentimenti e anche per la scrittura, che ha la virtù di adattarsi camaleonticamente al frangente emozionale che ha attraversato in quel momento l'autore. Un eloquio che può diventare sferza, carico di un'ironia che può spingersi sino al sarcasmo, funambolico e imprevedibile nei suoi repentini scatti umorali. Intenso sempre e comunque. In quest'album emerge con completezza e autenticità la sopraffina arte pianistica di Victoria Terekiev, lo fa sotto una sembianza diversa dai precedenti album: donna fiera delle sue origini è qui impegnata a navigare in acque a lei familiari, da strumentista perfetta e in grado di affrontare con successo qualsiasi cimento musicale. Sapevo già della sua abilità a tratteggiare delle immagini dai contorni decisi, ma non ero del tutto consapevole del suo lato più intimo e lunare, che mostra in pieno in questo lavoro.

Lei ha in sé la forza di un'originalità che trascende ogni cosa, snobba eventuali stereotipi (spesso utilizzati per simulare una personalità che in realtà non si possiede) e i contegni più canonici esercitati al pianoforte. Non ne ha bisogno alcuno, tanto da sorpassare e modulare a suo piacimento la gamma di possibilità offerte dallo strumento che suona, sempre guidata dal suo indomabile istinto. Un pregevole Yamaha CFX è il pianoforte utilizzato in questa registrazione, che risale al marzo 2022. L'ingegnere del suono Fabio Venturi ne ha captato magistralmente il suono senza depauperamenti armonici e senza applicare indebite compressioni dinamiche, così da esaltare i connotati di vivezza e i forti contrasti che animano la musica di Chačaturjan. Molto belle e pregnanti le note di copertina, scritte da Chiara Bertoglio.

 




Alfredo Di Pietro

Gennaio 2023


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